Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  febbraio 10 Mercoledì calendario

COME SALVARE LA SOMALIA DAL FANATISMO ISLAMICO

Come dice Jay Bahadur sull’International Herald Tribune, per combattere i pirati somali bisognerebbe cercare alleati somali sulla costa. La sua tesi è il risultato di una visita in Puntland, dove però pare si sia fatto circuire dalla leadership di quella regione in cerca di finanziamenti esteri. In realtà essi non sono così lontani come dicono dai pirati e sarebbero capacissimi di giocare su due tavoli. Più delicata è poi un’altra questione. La Somalia è stata un Paese piuttosto secolarizzato, legato alla realtà tribale del clan piuttosto che alla religione islamica, ma ora l’ideologia islamica, nella sua versione estremistica, acquista proseliti. L’appoggio al governo di Mogadiscio, per quanto sia esso debole, costituisce il migliore ostacolo all’estensione ulteriore del fenomeno. Anche il presidente Sheik Sharif Ahmed mira a un governo con una impronta religiosa islamica. Ma la sua versione dell’Islam è di gran lunga più moderata, a questo punto praticamente filo-occidentale, e favorire uno spezzettamento della Somalia potrebbe danneggiare ulteriormente il suo governo. C’è poi la questione dell’apparato finanziario e organizzativo che si è creato dietro i pirati, non certo in grado, da Eyl o altrove in Somalia, di gestire una macchina divenuta ricca e complessa. Come con Al Qaeda, individuare e colpire i suoi organizzatori contribuirebbe alla diminuzione della pirateria somala.
Carlo Calia
carlo.calia@gmail.com
Caro Calia, grazie per la sua lettera, informata e interessante, che ho dovuto purtroppo accorciare. Sulla tattica e sull’affidabilità dei dirigenti del Puntland, è probabile che lei abbia ragione. Ed è giusto che la principale strategia dei Paesi interessati al futuro della Somalia sia quella di sostenere il Transitional Federal Government (governo federale transitorio) asserragliato in un quartiere di Mogadiscio. questa la tesi dell’articolo del ministro degli Esteri italiano Franco Frattini e del segretario generale della Lega Araba Amr Moussa, apparso sul Corriere della Sera del 31 gennaio. Ma Frattini e Moussa lasciano intendere che l’impresa non sarà facile. Occorre un maggiore impegno dell’Europa. Occorre un’azione congiunta di tutte le istituzioni interessate alla Somalia, dall’Unione Africana all’Unione Europea, dalla Lega Araba all’Onu. Occorre dare una migliore assistenza umanitaria alle popolazioni, rafforzare i gruppi di sicurezza somali e sostenere la missione militare dell’Unione Africana (Amison). Frattini e Moussa pensano a una conferenza internazionale, nello stile di quelle organizzate per l’Afghanistan. Ma la difficoltà del percorso è implicitamente dimostrata da un passaggio dell’articolo in cui è detto che l’Italia intende riaprire la sua ambasciata a Mogadiscio «non appena le condizioni lo consentiranno».
 importante comunque che l’articolo pubblicato dal Corriere sia firmato da un italiano e da un egiziano. Quando l’Italia, negli anni Ottanta dell’Ottocento, decise di estendere la sua influenza dall’Eritrea alle coste occidentali del Golfo di Aden e dell’Oceano Indiano, trovò sulla sua strada l’Egitto che esercitava allora una sorta di protettorato sul porto di Mogadiscio e sui sultanati di Obbia e Migiurtina. Non più divisi dalle loro contrastanti ambizioni coloniali, i due Paesi (uno prevalentemente cristiano, l’altro prevalentemente musulmano) stanno cercando di lavorare insieme per impedire che la Somalia diventi un avamposto del fanatismo islamico nell’Oceano Indiano.
Sergio Romano