Cecilia Zecchinelli, Corriere della Sera 10/02/2010, 10 febbraio 2010
LA MILIZIA BRACCIO ARMATO DEL REGIME
Senza divisa, aspetto modesto, giovane e barbuto. Armato di coltello o di mazza, a volte di pistola, magari in moto con un compagno uguale a lui. Soprattutto, brutale nel cacciare e picchiare dissidenti. Le immagini dei miliziani iraniani pro regime sono state viste da tutti nel mondo, dopo mesi di scontri con l’Onda verde documentati da valanghe di video e di foto. Basiji è una parola quasi familiare, come jihad o talebano, anche se di loro si sa poco.
Odiati in Iran dall’élite e dall’opposizione, temuti da chiunque osi trasgredire, criticati da governi e organizzazioni internazionali, i Basiji sono per una parte dell’Iran – quella al potere e i suoi sostenitori – un’istituzione quasi sacra. Creature di Khomeini, come l’esercito dei Pasdaran da cui in teoria dipendono, che già nel 1979 dichiarò che «un Paese con 20 milioni di giovani deve avere 20 milioni di soldati e 20 milioni di miliziani: così non sarà mai distrutto». Anche il nome risale all’Imam: Basij-e mostaz’afin, la «mobilitazione degli oppressi».
Da allora la milizia paramilitare volontaria ha cambiato molte pelli. I suoi aderenti sono stati l’«onda umana» nella guerra contro l’Iraq, i ragazzini che cantando le lodi al martire Hussein, con una «chiave del paradiso» in plastica al collo, s’immolavano nei campi minati e sotto gli spari, preparando il terreno ai soldati. Tornata la pace, nel 1988, si sono specializzati nella «tutela della morale islamica» in patria, arrestando ragazze malvelate e ragazzi trasgressori. Entrati nelle università, con quote agevolate, lottano senza pietà contro l’«occidentalizzazione» e le proteste. Sono presenti anche nei licei e nelle medie. E ancora: organizzano eventi sportivi «sani» e letture del Corano, sono attivi nella lotta alla droga, piaga enorme in Iran nonostante le condanne a morte. Lavorano perfino come volontari della protezione civile dopo le catastrofi naturali. Molti ruoli, molte storie.
Solo la fedeltà assoluta e acritica alla Repubblica islamica è rimasta inalterata, la dedizione alla Guida suprema a cui rispondono. Con l’arrivo al potere di Mahmoud Ahmadinejad nel 2005, lui stesso un ex basiji, il legame con il regime s’è perfino rafforzato, hanno visto un revival. E la minaccia costituita dall’opposizione li ha spinti alla reazione più feroce. «Sono loro e le forze speciali dei Pasdaran che intrappolano e uccidono i dimostranti – spiega Mohsen Sazegara, già vicino a Khomeini e membro del governo, ora esule in Usa’. Così il regime evita ogni responsabilità per gli omicidi, può dire "non sappiamo chi sia questa gente"».
Chi siano e quanti siano è comunque un mistero: all’inizio erano maschi sotto ai 18 anni e oltre i 45, donne di ogni età. Venivano dalle campagne o dai ghetti urbani. Poi questi limiti sono caduti. Oggi i Basiji sono dispersi in una miriade di brigate, gruppi che nascono, muoiono, risorgono, a volte composti da poche persone, sempre ospitati in moschea. Il regime dichiara che sono quasi 14 milioni, 5 dei quali donne, ma i membri attivi sarebbero 400 mila. Li guida, almeno questo è noto, il comandante Mohammad Reza Naqdi, dal glorioso e inappuntabile curriculum ufficiale, «eroico» come la milizia al suo comando. Ma accusato dall’opposizione di abusi e torture.
Cecilia Zecchinelli