Marco Ferrante, Il Riformista 5/2/2010, 5 febbraio 2010
MIRAFIORI E LO STATO, STORIA DI UN MATRIMONIO MUTUO SOSTEGNO. COM’ DIFFICILE LA RELAZIONE TRA L’ECONOMIA PUBBLICA E QUELLA PRIVATA. CONVERSAZIONE CON IL POLITOLOGO LUCA GERMANO
Sergio Marchionne ha detto alla Stampa che gli incentivi prima o poi vanno eliminati, Silvio Berlusconi ha risposto che prende atto che c’è qualcuno a cui non servono e Marchionne nel pomeriggio si dice pienamente d’accordo con Berlusconi, se eliminasse gli incentivi. Forse governo e Fiat si stanno avviando verso la rimozione di un alibi reciproco, gli aiuti, gli incentivi, il residuo di un antico rapporto di mutuo scambio. Luca Germano, politologo dell’università di Trieste, si occupa di rapporti tra governo e grande impresa.
Nel 2009 ha scritto per il Mulino un libro sulle relazioni tra la Fiat e lo stato italiano (Governo e grandi imprese - La Fiat da azienda protetta a global player, 22 euro, 245 pagine). Dice: «non so se siamo al divorzio, non credo che si possa davvero prescindere dagli incentivi, sia per le condizioni generali del mercato, sia per la Fiat. Quest’ultima potrebbe farlo solo alla condizione di ridurre la produzione interna». Germano crede che l’immagine della separazione o del divorzio non sia adatta alla realtà attuale delle relazioni tra Fiat e stato. Spiega: «Ricordiamoci sempre che non ci sono aiuti diretti né le protezioni di un tempo. Gli incentivi sono un sostegno ai consumi, che genera un ritorno di gettito Iva, e che si rivolge a tutto il mercato dell’auto».
Le fasi dei rapporti tra Fiat e Stato sono grosso modo tre. La prima è quella che va dalla fondazione alla seconda guerra mondiale. La Fiat, come tutta la grande impresa meccanica, ma con dimensioni superiori, beneficia delle politiche di armamento di due guerre mondiali. Il secondo periodo è quello che va dal dopoguerra al romitismo (pur con varie declinazioni), è la fase dell’egemonia della Fiat sul sistema economico e finanziario nazionale. Germano spiega che cos’è stata la Fiat nel sistema misto italiano: «è stata un traino delle politiche di sviluppo e ha goduto di protezioni di ogni genere, riguardo all’ingresso di terzi nel mercato, al fisco che penalizzava le grosse cilindrate, agli incentivi per gli impianti, alla costruzione di un sistema di ammortizzatori sociali ritagliato sulle sue esigenze, fino alla prima ondata di incentivi della metà degli anni Novanta. Nel sistema misto rappresenta una gamba del potere economico, l’altra sono le partecipazioni statali. Ma è il traino di un sistema economico costruito sulla motorizzazione di massa». Poi arriva la crisi degli anni 2000. «La Fiat - continua - si libera della sua condizione, dalla sua specialità con la grande crisi interna che culmina con la morte di Gianni Agnelli, e che corrisponde all’apertura del mercato europeo. Ma da quella crisi esce con le sue gambe». Prima con il piano di salvataggio finanziario predisposto da Paolo Fresco e Luigi Gubitosi, fatto anche di dismissioni, e poi con Umberto Agnelli e con l’arrivo di Marchionne: «Oggi direi che per Fiat, la fama di beneficiaria di risorse pubbliche è largamente condizionata dal passato».
Alcuni osservatori molto sostanzialisti ritengono che potrebbe essere considerata una forma di protezione pubblica - o un residuo di quella protezione - anche la vicenda equity swap su cui è in corso un processo: cioè il contratto che nel 2005 al momento dell’ingresso delle banche nel capitale della Fiat consentì all’azionista di riferimento, la famiglia Agnelli, di restare sopra il 30 per cento senza obbligo di offerta pubblica d’acquisto, sulla base decisiva di un preventivo parere favorevole della Consob. Dice Germano: «è un ragionamento suggestivo. Forse sì da un certo punto di vista, ma sempre restando nel sostanzialismo, bisogna tenere conto che senza equity swap la Fiat che esce dalla crisi e si proietta nel gioco globale con l’acquisto Chrysler non esisterebbe. Questo lo ha detto anche Marchionne».
Com’è la dialettica negoziale tra l’azienda e il governo in questo momento? Secondo Germano il governo ha pochi strumenti d’iniziativa, perché gli incentivi agiscono sulla domanda e perché non esiste una politica industriale. E in questo momento le politiche industriali sono difficili perché le risorse pubbliche disponibili sono scarse e ci sono poche idee. C’è una vecchia ipotesi di doppia combinazione: incentivare le auto di piccole dimensioni con motorizzazioni ecologiche e dincentivare l’uso urbano delle auto medie soprattutto nei centri storici. Dice Germano: «Sì, questo genere di cose si potrebbe fare. Il punto è però che non mi pare stiano particolari proposte politiche».
Siamo in una fase di stabilizzazione della peggiore crisi economica dal 1929. Recessione a meno 3,5 in America, meno 4,1 in Europa, quasi meno 5 in Italia. Nell’auto - l’industria dell’industria in tutto il mondo si deve tagliare la capacità produttiva del 30 per cento. In questo quadro come sono i rapporti tra economia pubblica e imprese? «Quello italiano è un caso specifico - dice Germano - perché il sistema misto è una particolarità molto italiana. In Francia esistono campioni nazionali protetti, ma proiettati alla conquista di altri mercati. In America si torna a una logica di aiuto temporaneo in un momento eccezionale, non in contraddizione con la loro cultura del mercato». L’America ha messo in piedi un programma di aiuti solo per l’auto da 125 miliardi compresi quelli dell’amministrazione Bush e la Francia ha varato un piano complessivo di aiuti dove sommando le varie voci si superano i 10 miliardi di euro per i prossimi cinque anni, con il vincolo di riportare le produzione in patria chiaramente contro le regole del mercato interno. Ma la commissione ha lasciato fare, perché il sistema è profondamente disorientato. Ora il problema per tutto l’occidente sarà quello di uscire progressivamente dagli incentivi. «Gli incentivi in fondo sono degli sgravi fiscali a posteriori. Tanto vale farlo a monte. Dobbiamo conservare i quartier generali in Italia e sapere che le produzioni devono andare dove il costo del lavoro è più basso».
Di Marco Ferrante