Francesco Manacorda, La Stampa 9/2/2010, pagina 9, 9 febbraio 2010
LA SPAGNA IN ROSSO VA ALLA GUERRA DELL’EURO
Piove sulla città, anche se in Borsa spunta un timido rialzo; morale generalmente basso e disoccupati vicini al 20% ma ristoranti pieni, pure quelli non a buon mercato. Strana guerra, la prima guerra dell’euro che il governo Zapatero combatte nelle accoglienti trincee di Madrid e sul fronte esterno, quello dei temuti e misteriosi mercati globali. Una guerra che si dipana tra sospetti di congiura internazionale, tentativi di capire chi e che cosa abbia inesorabilmente cambiato segno all’ex miracolo spagnolo e fosche previsioni.
«Questa è la prima grande crisi dell’euro», dice secco Juan Iranzo, direttore generale dell’Istituto de Estudios Economicos, fucina di ministri del Partito Popolare, «e tutta l’Europa dovrebbe fare qualcosa». Nel suo ufficio al quinto piano di Paseo de la Castellana - la strada dove si concentra tutto il potere economico spagnolo, tanto che il Decathlon locale non vende scarpe da ginnastica ma mazze da golf - Iuan Ignacio Crespo, che guida gli analisti di Thomson Reuters, trova analogie con i movimenti speculativi contro la sterlina, la lira e il peso del ”92, quando appunto l’euro non esisteva: «In realtà è difficile capire perché i movimenti speculativi si stiano concentrando sulla Spagna, ma una possibile ragione è che il governo non è stato molto lineare nelle ultime settimane».
E in effetti... il deficit pubblico che era al 9,5% e si scopre improvvisamente all’11,4%, il lato oscuro del sistema bancario, che finora ha retto meglio del resto d’Europa ma che ha sulle spalle il peso dell’enorme crisi del settore immobiliare e - avverte Luis de Guindos ex sottosegretario all’Economia con Aznar e ora direttore dell’Ie Business School - «quest’anno deve rinnovare debiti per 320 miliari su mercato internazionale. Se i mercati cominciano ad avere la percezione che il rischio spagnolo aumenti saranno problemi anche per loro». E poi la crescita bloccata e le previsioni che danno Madrid, unica capitale dell’eurozona, in recessione anche nel 2010. Anche per questo i Popolari all’opposizione chiedono a gran voce ce il premier Zapater affronti un dibattito in aula.
Anche per questo i pezzi grossi del ministero dell’Economia spagnolo sono sbarcati ieri a Londra per spiegare ai mercati e all’odiato Financial Times che il piano di stabilizzazione fiscale da 50 miliardi già annunciato verrà reso ancora più duro se l’economia non girerà abbastanza. Ma intanto il numero due dei Socialisti al governo, José Blanco grida al complotto: «Niente di quello che sta accadendo è frutto del caso o innocente, ma tutto risponde a interessi particolari». Al complotto, in realtà, credono in pochissimi, così come nessuno pensa che la Spagna sarà mai costretta ad uscire dall’euro: «La possibilità è prossima allo zero», taglia corto l’analista di una grande banca. Ma è vero che la speculazione degli ultimi giorni è diventata lo specchio nel quale si riflette un paese che non si riconosce più. Stretta tra le cifre del deficit e quello dei disoccupati - quasi il doppio della media europea - c’è la sconfessione della promessa zapateriana di «un’uscita sociale dalla crisi». E un modello morbido di concertazione con i sindacati sbatte la faccia contro gli spigoli dell’economia. Sul tavolo, in queste settimane, c’è la riforma delle pensioni e quella del mercato del lavoro. Iranzo ha ricette radicali: «Noi proponiamo l’innalzamento dell’età pensionabile a 70 anni e pensiona calcolata su tutta la vita lavorativa. E una riforma del mercato del lavoro che favorisca la mobilità in uscita».
Nella sede del Ccoo, il maggiore sindacato, di radici comuniste, il membro dell’esecutivo Fernando Lezcano avverte: «Il nostro timore è che questa pressione esterna porti il governo a una politica economica più dura e autoritaria, a prendere misure impopolare, senza tenere in conto la stabilità sociale». Non è un timore, ma una speranza per de Guindos, che alcuni indicano come possibile ministro in un assai ipotetico governo dei Popolari: «Non si possono convincere contemporaneamente mercati e sindacati. Il vero problema è che la Spagna va incontro a diversi anni di crescita bassa e i mercati già scontano questo scenario. La sola alternativa per il paese oggi è acquistare credibilità, anche con scelte difficili». S’infrange quindi senza più speranze il celebrato modello spagnolo? «Non era un modello, ma un mosaico - risponde Victor Perez Diaz dal suo centro studi Analistas socio-politicos - spesso incoerente. E negli anni passati il dinamismo dell’economia ha nascosto molte debolezze, ad esempio quello di un’occupazione spesso precaria e poco qualificata». Adesso invece, «proprio negli ultimi due mesi, il paese sta capendo la gravità della crisi, che ha sottovalutato per più di un anno. Nell’ultima ricerca sul campo, che abbiamo fatto a fine 2009, solo il 20% degli intervistati era fiducioso che il governo potesse risolvere la situazione economica». Una disillusione per la politica che non ha bandiere: «Il discredito per Zapatero è enorme, ma non si traduce certo in un maggior consenso per i Popolari».
Francesco Manacorda