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 2010  febbraio 05 Venerdì calendario

LA VOLPE TREMONTI E L’UVA DELLA CRESCITA - A

Giulio Tremonti il Pil non piace, come ha ricordato su queste pagine Carlo Stagnaro dell’Istituto Bruno Leoni lo scorso 19 gennaio. E il Pil, dopo il -1 per cento del 2008, è sceso di quasi il 5 per cento nel 2009 per un totale di poco inferiore al 6 per cento nel biennio. Si tratta di una caduta record, mai vista in Italia in tempo di pace nel lungo periodo per il quale le statistiche sul Prodotto interno lordo sono disponibili sul sito della Banca d’Italia, cioè dal lontano 1936. Se escludiamo la riduzione del Pil che si verificò dopo la conclusione della Prima guerra mondiale, dovuta al venir meno della spesa bellica, e se consideriamo che nella cosiddetta ”Grande depressione” dell’ultima parte dell’Ottocento caddero i prezzi ma il Pil rimase sostanzialmente fermo in termini reali, dovrebbe trattarsi del peggior risultato degli ultimi 150 anni dopo il triennio recessivo che fece seguito alla crisi finanziaria del 1929. E non ci si può neppure aggrappare al detto ”mal comune, mezzo gaudio” da - to che in Italia il tonfo è stato ben maggiore rispetto agli altri grandi paesi: secondo l’ultimo Economic outlook dell’Ocse Stati Uniti e Francia avrebbero subìto nel biennio una riduzione del Pil pari solo a un terzo di quella italiana (rispettivamente il 2,1 e il 2 per cento), la Spagna pari a meno della metà (-2,7 per cento) e Germania e Regno Unito circa due terzi (rispettivamente 3,9 e 4,1 per cento) Tra le maggiori economie solo il Giappone è andato altrettanto male dell’Italia (-6 per cento). Bisogna inoltre considerare che nel biennio 2008/09 nel nostro paese non solo si è ridotta del 6 per cento la torta sulla quale basiamo il nostro benessere materiale ma, per effetto della crescita dei residenti, è anche aumentato di circa l’1,5 per cento il numero dei commensali a essa interessati; la fetta di torta media pro-capite si è pertanto ridotta del 7 e mezzo per cento, un dato che dovrebbe attrarre in via prioritaria l’attenzione preoccupata di chi ha la responsabilità della politica economica. Stupisce in conseguenza dover scomodare Esopo e osservare Tremonti negli inediti panni della volpe di fronte all’irraggiungibile uva, la crescita economica, ormai da troppo tempo sfuggita alla presa dei governi del nostro paese. Il declino relativo dell’Italia in termini di Pil pro-capite non è un fenomeno recente e la recessione del 2008/09 lo ha solo accentuato, non provocato. Se poniamo uguale a 100 il Pil pro-capite per l’insieme dei 27 paesi che formano l’Unione europea, il dato dell’Italia era pari nell’anno elettorale 2001 a 118 mentre quello dei 15 paesi che facevano parte dell’Unione prima dell’allar - gamento, quindi comprensivi dell’Italia, era pari a 115. Il nostro paese aveva pertanto un vantaggio di 18 punti percentuali rispetto al valore medio dell’Unione e di 3 punti percentuali rispetto a quello dei 15 stati della parte occidentale. Nel corso della prima metà del decennio, tuttavia, la scarsa crescita economica dell’Italia ha progressivamente eroso tale margine: nell’anno elettorale 2006 il vantaggio del nostro Pil pro-capite rispetto alla media dei 27 paesi si era ridotto dal 18 a solo il 4% mentre la forbice con i 15 paesi era divenuta negativa di otto punti percentuali. Con la recessione internazionale, infine, il Pil pro-capite dell’Italia è sceso nel 2009 al 98% della media dei 27 paesi, quindi al di sotto di essa, e nell’insieme degli otto anni considerati si è ridotto di 20 punti percentuali. Di fronte a dati così negativi la disquisizione sull’ido - neità del Pil a rappresentare adeguatamente il benessere appare fuori luogo, un po’ come se ci preoccupassimo di avere i capelli fuori posto quando ci troviamo nel bel mezzo di una tempesta. Gli economisti che studiano la relazione tra economia e felicità hanno dimostrato attraverso numerose analisi empiriche che l’alto reddito non garantisce la felicità, tuttavia non hanno mai riscontrato che la felicità possa accrescersi quando il reddito diminuisce. In conseguenza, mentre a fronte di un reddito pro-capite elevato dovremmo chiederci se esso generi un livello adeguato di felicità, possiamo invece essere certi che la riduzione, prodotta dalla recessione, di un reddito medio già piuttosto basso in partenza abbia reso gli italiani sia più poveri sia più infelici.