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 2010  febbraio 07 Domenica calendario

LE NUOVE REALTA’ CHE MUTANO LA MENTE

Tanti e inediti sono i segnali dell’assedio che l’iperrealtà muove alle nostre coscienze. Avatar, per esempio, la colossale e anticonformista produzione Usa, che gioca con la dimensione virtuale, con un triplo salto mortale. Perché ci sono gli occhialini tridimensionali che ti trasportano dentro la storia, con tutti i tuoi sensi, quasi con il tuo corpo, e ti pare di toccare l’immenso albero delle anime e di saltare e volare insieme ai protagonisti sugli uccelli del cielo. Ma c’è anche il viaggio in un’altra vita possibile attraverso l’avatar perfetto, alto, bello e nobile, che ti rapisce in un universo parallelo. E ancora c’è l’avventura su un altro pianeta, in un mondo futuribile.
Un bel ping pong, insomma, fra tre gradi di iperrealtà; ma, tutto intorno a noi, non c’è solo il pullulare di film 3D da Alice in Wonderland a Piovono
polpette a Up (e adesso persino Tinto Brass annuncia di volersi dedicare al fenomeno, a modo suo), ci sono le playstation e i videogiochi, ci sono le consolle
wii fitness, nuovi gadget per adulti che fanno fare ginnastica come in un gioco e correggono meglio del
personal trainer: ad ogni errore bisogna stare all’erta mentre in una classe la si può anche fare franca. E ci sono le webcam, telecamere sul computer che magari aiutano a tenere viva una relazione a distanza, ma spesso la spoetizzano con la loro virtualità: «Che fesseria, è tutta una plastica» dice Zinos, il ristoratore-protagonista di Soul Kitchen mentre accarezza sullo schermo il viso della fidanzata volata a Shangai e, dopo essersi illuso per un attimo, si rende conto che in realtà non tocca il suo viso, ma solo lo schermo. E poi ancora c’è Facebook, Second Life, la fuga sul Web... Una vita virtuale ci scorre vicina e parallela e ci travolge. O forse ci siamo già dentro a tal punto che solo a sprazzi riprendiamo coscienza e rientriamo nella realtà?
Il dilemma essenziale è se tutta questa tecnologia che pervade le nostre vite non metterà alla fine in scacco la nostra modalità di comunicare. O se invece darà vita a un nuovo modo di farlo, all’avvio di una nuova mutazione antropologica che magari si compirà nel giro di più generazioni, come è stato suggerito da alcuni scienziati a Davos.
Di sicuro il sistema delle nuove tecnologie sta ridisegnando tutto il mondo delle relazioni umane, della conoscenza e del linguaggio. L’assedio di queste funzioni multitasking e la sostanziale incapacità di attenzione multipla del cervello umano mettono a dura prova l’adulto contemporaneo, che comunque, se non ha seri problemi psicologici, è capace di difendersi, concedendosi adeguate pause e tempi di recupero. Quelli che invece sono più esposti alle malattie dell’attenzione sono i bambini, specialmente da zero a tre anni, e la prima spia è proprio l’impoverimento e il ritardo del loro linguaggio, secondo quanto dicono parecchie ricerche, l’ultima delle quali, condotta dalla psicologa britannica Jean Gross, ha appurato che un bambino su sei ha difficoltà a parlare e ad ascoltare.
La televisione e il computer non possono sostituire l’empatia, il calore e la reattività che implica il rapporto umano, il coinvolgimento dei cinque sensi. E i genitori distratti che, mentre parlano con i figli, rispondono al telefono o giocano con l’iPhone, non sanno che stanno mettendo a rischio il loro sviluppo. Tanto più che il marketing, silenziosamente invasivo, ha capito che sono loro il target perfetto: «C’è già la baby tv, ora vogliono dare il computer ai neonati, ma non sanno che il bambino ha bisogno di un terreno condiviso: a partire dai nove mesi comincia a interagire in maniera triadica, ha bisogno cioè del faccia a faccia con la mamma e di essere coinvolto in una situazione empatica per elaborare la relazione e la conoscenza. La tv non permette di mettere in atto questa triangolazione perché non risponde», spiega la psicologa dello sviluppo Anna Oliverio Ferraris, fresca autrice di Chi manipola la tua mente? .
«I nostri ragazzi passano una media di sei ore davanti ai vari schermi e quando i genitori sono con loro, sono perlopiù interrotti e distratti. Ormai l’esperienza più rara nelle famiglie è proprio quella di avere momenti di attenzione congiunta», ha scritto su
The Guardian la giornalista-saggista Madeleine Bunting. Non si tratta di rimpiangere le cene con tutta la famiglia intorno al camino, ma si tratta più pragmaticamente di intervenire per non lasciarli soli e anche (perché no?) di interromperli, come suggerisce Oliverio Ferraris, magari per farli giocare all’aperto. «Le pause sono importantissime, è bene insegnarle anche a loro». Perché non provarci, magari funziona, visto che lo ha fatto il padre di tutti i computer, Bill Gates, che ai due figli ne ha limitato l’uso a 45 minuti, 60 nei giorni festivi, eccezioni ammesse se lavorare sulla Rete è richiesto dai compiti scolastici. Qualcuno più smaliziato ha detto che l’abbia fatto per lanciare un suo prodotto, Parental control, ma intanto l’ha fatto. Altrimenti il rischio è quello di creare piccole monadi chiuse in se stesse, atomi alla deriva che vanno a formare folle solitarie intrappolate in inquietanti forme di autismo sociale e di solipsismo di massa. Condannati a un isolamento sociale che alla lunga modifica le attività funzionali del cervello, come ha illustrato John Cacioppo, psicologo all’Università di Chicago, nel libro Solitudine.
Che fare? «Guai a dimenticare la forza delle emozioni, si rischia l’ontologia grigia, un mondo senza colori», risponde il filosofo della scienza Giulio Giorello, «ma è difficile ora per noi dire di più, non sappiamo come esprimerci perché siamo ancora dentro la rivoluzione». E Giorello ricorda come lo stesso Platone, trovandosi a vivere il primo grande passaggio dalla parola orale a quella scritta, difendesse, nel Fedro, la prima, paventando che in quel passaggio si potesse impoverire lo sviluppo del pensiero, in quanto nel dialogo ci possono essere dialettica e chiarimento, mentre lo scritto cristallizza. «Insomma – conclude Giorello’ Platone difende la cultura orale, e il paradosso è che lo fa in un testo scritto».
I timori e le apocalissi annunciate si sono ripresentate poi, puntuali, con l’apparire della stampa e, ora, con le nuove tecnologie. Ma più che la paura serve un atteggiamento di vigile sorveglianza. «La storia ci insegna che il nuovo è andato ad aggiungersi, non a sostituire» interviene il filosofo e artista, Tomás Maldonado, che già nel 1997 aveva pubblicato Critica della ragione informatica, testo di disamina dall’interno dei rischi tecnologici, con titolo ispirato alla Critica della ragion pura del sommo filosofo («ma il riferimento a Kant voleva solo essere ironico», minimizza lui). «E adesso la sfida è quella di tutelare i meccanismi di formazione della conoscenza nelle nuove generazioni. A meno che non accettiamo l’idea che anche il cervello umano sarà superato. Ma io faccio fatica: secondo me, il nostro cervello resta la cosa più formidabile che esiste». Pensiamoci su. Anche se, per sapere chi avrà ragione, si dovrà aspettare che passi qualche generazione.
Maria Luisa Agnese