Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 06/02/2010, 6 febbraio 2010
ASSEDIO DELLA STRISCIA DI GAZA IL PIANO B DI ISRAELE
Sono sorpresa che poco o nulla si sia detto e scritto su un nuovo massacro che stiamo perpetrando ai danni delle persone che abitano nella striscia di Gaza. Nel silenzio, nell’indifferenza, con la complicità di tutti, stiamo uccidendo un milione e mezzo di persone. L’ultima cattiveria in ordine di tempo è la costruzione di un muro di acciaio intorno ai confini con l’Egitto, muro che dovrebbe difendere gli egiziani dal fondamentalismo islamico. Certamente non tutti gli abitanti di Gaza sono integralisti, ma il muro contribuisce a mantenere tutta la popolazione in una prigione a cielo aperto: senza viveri, senza acqua, senza luce, tagliati fuori dai contatti con il mondo. Murati vivi.
Laura Sciacca.
lsciacca@hotmail.com
Cara Signora, nella sua lettera, che ho dovuto accorciare per ragioni di spazio, vi sono due parole che non avrei usato. La prima è «massacro». Non credo che contro gli abitanti di Gaza vi siano intenzioni omicide e penso che le istituzioni umanitarie, fra cui in particolare quelle dell’Onu, stiano facendo del loro meglio per sovvenire ai bisogni elementari della popolazione. Se usiamo questa parola per gli abitanti della Striscia, di quali parole dovremmo servirci per definire la tragedia del Darfur? La seconda parola che non avrei usato è «indifferenza». Credo piuttosto che dietro le vicende di Gaza vi sia una strategia condivisa dalle due maggiori potenze della regione (Egitto e Israele) e tacitamente accettata, per ragioni diverse, da altri Paesi del Medio Oriente, dall’Europa e dagli Stati Uniti.
Mi spiego meglio. Dopo il fallimento della strategia militare israeliana, tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, le scelte possibili, per Israele, erano due. La prima consisteva nel riconoscere che Hamas è il legittimo rappresentante della maggioranza degli abitanti di Gaza (se non addirittura di una buona parte dell’intera popolazione palestinese) e che i negoziati sarebbero stati utili soltanto dopo la ricomposizione di un fronte comune fra l’organizzazione islamica e il governo cisgiordano di Mahmud Abbas: una ricomposizione che occorreva quindi, per quanto possibile, favorire. La seconda consisteva nel passaggio al «piano B», vale a dire alla prosecuzione della guerra con altri mezzi. stata scelta, come è noto, la seconda strada. Comincia da quel momento il grande assedio di Gaza che lei ha descritto nella sua lettera.
Come in ogni assedio, i prigionieri devono organizzare, per rifornirsi, qualche sortita e lo hanno fatto aumentando il numero dei tunnel che corrono sotto il confine tra la Striscia e l’Egitto. Ma il governo del Cairo decide di tappare il buco con un muro di metallo che scende di qualche metro al di sotto della superficie. Lo scopo dell’assedio, naturalmente, è quello di spingere la popolazione a ribellarsi contro Hamas: una organizzazione che è ormai il principale avversario di Israele nella regione e ha, agli occhi dell’Egitto di Mubarak, il difetto di essere strettamente imparentata con la Fratellanza musulmana, storica organizzazione islamista del Medio Oriente. Il mondo sta a guardare. Qualcuno condivide la strategia degli assedianti. Altri non vogliono guastare i propri rapporti con Israele e con le comunità ebraiche nei loro Paesi. Altri ancora non vogliono guastare quelli con l’Egitto. E l’assedio, per ora, continua. Sul suo esito non sono in grado di fare previsioni. Tutto dipende in ultima analisi dalla capacità di resistenza degli assediati.
Sergio Romano