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 2010  febbraio 08 Lunedì calendario

AGCOM, LA DOPPIA VELOCIT DI UN CONTROLLORE SCOMODO

Tolto il «Premio speciale Una Fiaba per la vita» consegnatogli lunedì scorso alla Camera per la sua produzione poetica e che lo consacra «punto di riferimento della letteratura italiana e internazionale», sono giorni duri per Corrado Calabrò, presidente dell’AgCom.
Le tensioni attorno alla sua Authority si stanno intensificando e hanno toccato un apice la settimana scorsa con lo scontro sul decreto Romani.Tutti i media hanno riportato i giudizi sferzanti di Calabrò sui vincoli che il decreto vorrebbe porre a Internet, ma questo clamore ha un po’ nascosto lo sgambetto istituzionale del viceministro alla Comunicazioni, che ha presentato il disegno di legge senza prima inviarlo all’AgcCom per un parere.
E da qualche giorno prima ad attaccare Calabrò era stato Antonio Catricalà, presidente dell’Antitrust, che ha tacciato di cartello l’ipotesi del presidente di AgCom di promuovere una società della banda larga con dentro tutti gli operatori tacciandola di cartello. E un’altra bordata è arrivata nelle scorse settimane da un pezzo da novanta delle strategie del centrodestra sulle tv: Antonio Pilati, ex commissario AgCom, estensore non ufficiale della Legge Gasparri, oggi commissario dell’Antitrust e pretendente ufficiale alla successione di Calabrò tra due anni (maggio 2012). Più che un assalto sembra un accerchiamento quello di cui è fatta oggetto l’Authority che governa le tlc e, soprattutto, le televisioni.
Non è una partita semplice, ma alle mediazioni spericolate l’AgCom è abituata fin dalla nascita, 13 anni fa. Una nascita con un vizio di fondo. L’Agcom è infatti una proiezione in piccolo del Parlamento. Un presidente e 8 membri che secondo una legge non scritta spettano metà alla maggioranza e metà all’opposizione. Il numero doppio di commissari (l’Antitrust ne ha 4) rispetta proprio l’esigenza di aver bisogno di più poltrone per poter rappresentare la complicazione cronica della politica italiana. Anche se viene giustificata dal fatto che l’Authority si occupa di due settori, tv e tlc, di cui oggi si vede chiaramente la sovrapposizione crescente, ma che nel 1997 non era così automatico associare.
La duplicità l’AgCom se la porta dietro quindi fin dal concepimento. E a due velocità è sempre stata la sua azione. Lo si può misurare nei fatti, con i diversi risultati ottenuti nel campo delle tlc e in quello delle tv.
Nelle telecomunicazioni i prezzi al consumo sono scesi. La regolamentazione del mercato per pilotare l’uscita dal monopolio, che è la ragione della nascita di tutte le autorità di vigilanza europee, ha funzionato. E non solo nei prezzi: lo spacchettamento nella rete fissa, il cosiddetto unbundling, ha dato ai concorrenti di Telecom Italia la possibilità di affittare in modo trasparente l’ultimo miglio di cavo telefonico, quello che va a casa degli utenti; nel mobile provvedimenti ancora più pressanti hanno introdotto via via condizioni sempre più favorevoli agli utenti per passare da un operatore all’altro in cerca di condizioni di servizio migliori. Sono scese le tariffe delle telefonate, degli sms, del roaming internazionale. E se sulla rete fissa Telecom Italia ha ancora una quota di mercato superiore al 70%, questo vuol solo dire che il compito dell’Authority non è ancora finito.
Se si passa invece nel campo della tv, lo scenario è molto diverso. Qui si è fatto molto poco. Forse molto rispetto al campo minato che è in Italia tutto ciò che riguarda la tv e gli interessi di Mediaset. Ma poco davvero rispetto a quel che si sarebbe potuto e dovuto fare. Prima di tutto un definitivo piano di assegnazione delle frequenze. Basta guardare che cosa è successo con il passaggio al digitale terrestre. Le frequenze digitali sono state assegnate solo ai soggetti che già trasmettevano sull’analogico, ragione per cui l’Italia è tuttora a rischio di apertura di una procedura di infrazione al momento solo sospesa. Il massimo che Calabrò è riuscito a fare è un catasto delle frequenze, niente di più della fotografia dell’esistente, molto meno di un ”piano regolatore’ che è invece ciò che servirebbe. E sulle frequenze (poche) che verranno liberate con la digitalizzazione delle tv, si è scelto di assegnarle non con un’asta competitiva, come hanno fatto negli Usa, ricavandone 19 miliardi di dollari, ma con un beauty contest che finirà per essere sostanzialmente a costo zero (Mediaset è pronosticata tra i partecipanti).
Certo, ci sono poi tutti i classici limiti sostanziali di ogni istituzione italiana. L’Agcom non ha mai raggiunto il suo organico pieno fissato in 400 unità, e solo da un anno ha raggiunto quota 300 ma con una quarantina di contratti a termine (anche se tutti laureati e pare di ottimo livello). Poi ha uno scarso potere deterrente, perché le multe sono irrisorie. Anche se va detto che a furia di multe irrisorie Telecom Italia ha cumulato tra maggio 2008 e maggio 2009 sanzioni per oltre 3 milioni di euro, mentre nel 2009 Mediaset per i suoi ripetuti sforamenti dei tetti di affollamento degli spot ne ha pagate per un quarto: 800 mila euro.
Ma questa asimmetria evidentemente non basta se quello a cui si sta assistendo è un continuo tentativo di svuotamento delle competenze dell’Autorità. Già prima di Natale il ministero ha avocato a sé l’ambito delle autorizzazioni alle nuove tv satellitari: nuovi bouquet, o magari nuovi canali di Sky dovranno ora passare per il governo e non più per l’AgCom. Come d’altra parte è già accaduto per le tv terrestri: basta ricordare il caso di Cielo, il canale digitale terrestre di Sky: è stato Romani a tenerlo in bilico per un mese, facendo loro perdere tutta la pubblicità natalizia. Adesso per l’AgCom il nuovo rischio è il compito che il decreto Romani vorrebbe assegnarle in tema di lotta alla pirateria. Un compito che qualcuno ha già ribattezzata da vigile urbano della Rete, paralizzando quindi tutta la sua attività nel controllo delle attività di streaming di contenuti video nei portali Internet.
Se questi sono i nemici dell’AgCom, ci sono però anche altri fattori che giocano a suo favore. Intanto la legislazione europea, che ha istituito con una legge del novembre scorso il Berec, l’organismo che riunisce tutti i vari regolatori nazionali delle comunicazioni. Calabrò è riuscito a muoversi abbastanza bene, pur con qualche minore incidente di percorso, nei confronti di Bruxelles.
Ma a suo favore gioca soprattutto una certa confusione che domina il campo governativo: allo svuotamento di poteri fanno resistenza anche i commissari della maggioranza (che sono 5 e non 4 perché il mastelliano Roberto Napoli ha cambiato casacca con la caduta del governo Prodi nel 2008). E poi ci sono le ambizioni di Antonio Pilati, che nel 2012 vuole arrivare a capo di ua AgCom ridisegnato ma non inutile. E comunque Calabrò può comunque contare sempre sull’amicizia di Gianni Letta.
Infine la vicenda Telecom. Se la fusione con Telefonica si farà, il governo non può rinunciare a un’autorità di controllo sulla rete. Certo, si può portare tutto nel ministero, ma così il controllo sarebbe più esplicitamente politico e meno «oggettivamente» di mercato. E poi, alla fine, l’idea di Calabrò di una società per le sole reti ottiche con Telecom e tutti potrebbe rivelarsi davvero la quadra del problema. Meglio andare cauti. (s.car.)