ANDREA TARQUINI, la Repubblica 8/2/2010, 8 febbraio 2010
EVA BRAUN ANTISEMITA E AMBIZIOSA VOLEVA ESSERE LA FIRST LADY - BERLINO
Non fu la modesta ragazzina di campagna bavarese, non visse indifferente alla politica, non accettò mai un ruolo passivo nell’ombra. No, al contrario: Eva Braun fu dall’inizio una nazista convinta, e al tempo stesso una donna di carattere, sognava di diventare la first lady del Reich millenario dopo la sognata vittoria in guerra. E il suo amore con Adolf Hitler non fu poco più che platonico, bensì concreto, fisico. Lui amava il sesso con lei, e lo facevano spesso e con foga sul divano.
Lei, agli occhi di lui, era la donna della vita. Lo rivela per la prima volta una nuova biografia della compagna del Führer, che sta per uscire in Germania. "Eva Braun: Leben mit Hitler", autrice la storica Heike Goertemaker, editoriale C. Beck, Monaco.
Goertemaker, studiati carteggi segreti del regime e appunti personali di Hitler e della sua amante, racconta la storia tra i due in modo inedito. «Lei condivideva, dall’inizio, la visione del mondo di Hitler e i suoi obiettivi politici», scrive la storica. Eva Braun visse 33 anni, la metà dei quali al fianco del tiranno. Dal libro che sta per uscire, emerge per la prima volta come seguace convinta del mostruoso progetto totalitario dell’uomo della sua vita, e come donna giovane ma ambiziosa, decisa a diventare la first lady anche pubblica del "Reich millenario".
Quando il premier inglese li visitò e guardò il divano, lei mormorò: «Ah, se solo l’ospite sapesse quante ne ha viste quel sofà...».
Si conobbero a Monaco, nell’ufficio del fotografo-editore Heinrich Hoffmann, nazista della prima ora. Hitler, ancora leader d’opposizione, notò la giovanissima Eva. «Permetta, posso invitarla all’Opera?», le disse lui galante e sedotto. La conquistò subito, ma preso dalla politica la trascurò a lungo. Due volte lei, che dapprima sognava una carriera nel cinema, tentò il suicidio per mostrare a lui che voleva più attenzione. Alla fine lo convinse. Lui le comprò una casa a Monaco, poi al Berghof, il rifugio-bunker di montagna del dittatore, lei, "segretaria privata", divenne signora e padrona di casa. Tra i nazisti era proibito parlare di politica in presenza delle mogli, amiche, amanti o di donne in generale, ma Eva era presente quando il ministro degli Esteri Ribbentrop preparava il negoziato cruciale con il collega sovietico Molotov, il patto di non aggressione con cui Berlino e Mosca si spartirono la Polonia.
Disinvolta, amante della fotografia, sportiva, pronta a farsi fotografare in costume da bagno e a fotografare con la Rolleiflex regalatagli da Adolf sua sorella nudista, Eva Braun era troppo anticonformista rispetto all’ideale di donna sottomessa del regime. Ma era decisa a imporsi. E lei per Hitler significava molto, annotò Albert Speer. Probabilmente, scrive la storica, Eva condivise anche l’antisemitismo virulento dell’uomo che amava, e il programma dell’Olocausto che lui realizzò. Gli fu leale fino alla morte.
«Solo la signorina Braun e la mia cagna mi sono restate fedeli», avrebbe detto lui negli ultimi giorni nel Bunker. Lei si addestrava al tiro con la pistola, «per me è naturale morire come ho vissuto, accanto a lui». Il 30 aprile 1945, seduta vicino a lui sul divano in una stanza del Bunker, Eva si uccise col cianuro. Adolf si tolse la vita due minuti dopo.