Varie, 8 febbraio 2010
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Graner Charles
• Pittsburgh (Stati Uniti) 1968. Caporale dell’esercito americano, poi radiato e condannato a dieci anni di reclusione per le torture di cui fu responsabile nel carcere iracheno di Abu Ghraib • «[...] il soldato statunitense che appariva in molte delle foto raccapriccianti delle torture inflitte ai detenuti iracheni nel carcere di Abu Ghraib che avevano provocato un vero e proprio scandalo [...] considerato il capobanda dei torturatori. Nelle foto appariva spesso con la soldatessa Lynndie England, che [...] ha avuto un figlio di cui è il padre [...]» (G. S., ”il manifesto” 8/1/2005) • «[...] ”Fui assegnato ad Abu Ghraib per il mio curriculum”: ex marine nella prima guerra del Golfo in un carcere militare nel nord dell’Arabia Saudita, quindi secondino in un penitenziario della Pennsylvania. Tipo lesto ad apprendere, zelante nell’eseguire, è al turno di notte nel braccio di massima sicurezza ”1 Alfa”. ”I nostri prigionieri erano nella esclusiva disponibilità degli ufficiali dell’intelligence militare, degli agenti della Cia, di quelli di Fbi, del Dipartimento del Tesoro e persino di personale civile a contratto. Ci dissero che erano detenuti ad alto valore di intelligence. Soprattutto, che non erano tutti uguali. Esistevano quelli con un nome e i ”fantasmi’ [...] Non venivano registrati. Saltavano l’ufficio matricola entrando da un ingresso secondario del braccio. Della loro sorte nessuno doveva sapere [...] Per ogni detenuto del braccio 1 Alfa, le squadre Tigre preparavano un trattamento individuale che prevedeva gradi crescenti di privazione del sonno e del cibo, tecniche di pressione fisica e psicologica, uso selettivo dell’isolamento diurno e notturno [...] Mi venivano indicati i prigionieri da ”trattare’. Per quanti minuti nell’arco delle 24 ore dovevano restare svegli, in quanti secondi gli era concesso mangiare [...] I sottoposti al trattamento dovevano essere spogliati e non dovevano dormire. Avevano un tempo massimo per mangiare di cinque minuti e uno minimo di venti secondi. Normalmente, dovevo sottrargli il cibo dopo il tempo stabilito e quindi urlargli che erano troppo lenti nel deglutire. L’ordine era terrorizzarli, perché come ho imparato in 14 anni da secondino è peggiore la punizione che si minaccia di quella che si soffre [...] Dovevamo umiliarli sessualmente e picchiarli ogni qual volta non avessero obbedito ad un ordine intimato per tre volte consecutive. Dovevano essere percossi sulla faccia, a mano aperta. Con forza tale che il prigioniero fosse in grado di sentire ogni volta dolore [...] Ad Abu Ghraib abbiamo fatto cose indicibili, sopportabili solo con l’assuefazione, con l’idea che ci fosse qualcosa di divertente [...] Abbiamo commesso atti criminali. Ma per me, allora, erano ordini, anche se ne dubitavo [...]” (Carlo Bonini, ”la Repubblica” 16/1/2005).