Vittorio Feltri, il Giornale 7/2/2010, pagina 1, 7 febbraio 2010
LO SCIPPO (CON SCASSO) DEL CORRIERE A RIZZOLI
Nelle pagine interne oggi il Giornale propone una storia italiana utile più di un trattato scientifico a dimostrare che nel nostro Paese la realtà supera l’incubo. Anche il più tetro. E per capire che alla fine la Giustizia trionfa. Ma proprio alla fine. Che ahimé arriva dopo ventisei anni e rotti di nequizie talmente gravi da rendere inadeguato qualsiasi risarcimento.
E la storia di Angelone Rizzoli, ex (e futuro, stando ai documenti) proprietario ovvero maggior azionista del Gruppo Rizzoli quando questo era la più importante impresa editoriale nazionale (la seconda in Europa), un fatturato all’epoca (1981) strabiliante: 1.000 miliardi di lire con otto quotidiani, tra cui Il Corriere della Sera, 25 periodici, una sezione libri, cartiere, case cinematografiche. L’uomo, nipote del mitico fondatore e suo omonimo, era potente e invidiato, giovane e intelligente: quanto basta e avanza ad alimentare in parecchia gente il desiderio di spolparlo.
Lo hanno spolpato in fretta, spedito in carcere, processato e, come dicevo, assolto dopo anniventisei. Sarebbero sufficienti questi pochi elementi sintetici per montare uno scandalo e costringere le autorità preposte a intervenire drasticamente allo scopo di punire i responsabifi e, pur tardiva- mente, a riconsegnare il maltolto alla vittima. Einvece nessuno ne parla. Ufficialmente perché è roba vecchia, perché il mondo va così, è materia troppo complessa eccetera.
Il vero motivo del silenzio però è un altro: molti di coloro che, d’intesa fra loro, hanno sottratto l’impero al legittimo Imperatore sono vivi e vegeti, occupano posti di rilievo, hanno ancora in mano le leve economiche e finanziarie, sono in grado di esercitare un controllo sui mezzi di comunicazione e, soprattutto, temono di dover pagare il fio, quindi cercano di non svegliare il can che dorme e gli somministrano ogni dì massicce dosi di sonnifero. Si vede che sottovalutano Angelo Rizzoli, e sbagliano. Uno che ha sopportato per oltre cinque lustri torture divario tipo, ha rifiutato scorciatoie, soluzioni pasticciate e prescrizioni andrà fino in fondo e otterrà quanto gli spetta: la restituzione del bottino.
Illusione? Non credo. Adesso le carte sono state ripulite dalla polvere e dalla muffa, e se è vero che c’è sempre un giudice onesto da qualche parte, prima o poi la verità sarà premiata. E allora chi ha sgarrato dovrà riparare. Personalmente non mi addentro nei dettagli dell’intrigo e neppure ripercorro l’odissea dell’editore; provvede l’ottimo Nicola Porro, che è un esperto a raccontare la vicenda dati alla mano, e son sicuro vi si rizzerann i capelli ad apprendere le angherie inflitte a Rizzoli. Voglio solo stimolare l’attenzione dei lettori su un caso emblematico non esclusivamente di ordinaria ingiustizia, ma di banditismo finanziario in cui figurano protagonisti del grande giro bancario, - mattatori dell’imprenditoria, frequentatori di salotti buoni fuori e brutti dentro. Cinismo, crudeltà e avidità sono gli ingredienti di questo «affaire» misconosciuto al vasto pubblico perché si è svolto nel silenzio degli ovattati palazzi dei poteri forti, ed è stato tenuto pressoché segreto grazie - a complici servizievoli.
Sembra il canovaccio di un film noire. Viceversa è la fredda cronaca di un delitto infame che grida vendetta. Chine ha ordito la trama si prepari a risponderne.
Ho un ricordo vivido e triste. Carcere di Bergamo, primavera 1983. Sono lì per lavoro. Accompagnato dal direttore, percorro un corridoio quando mi viene in mente che tra i detenuti c’è il mio editore. Chiedo di potergli parlare, anche solo di salutarlo, un minuto. Il direttore nicchia, i regolamenti non consentirebbero. Insisto. Insisto tanto finché sono accontentato. Vedo a distanza Angelo Rizzoli, al quale ero abituato a cedere il passo incontrandolo sullo scalone del Corriere. Cammina lentamente e si avvicina. Ci stringiamo la mano. Imbarazzato farfuglio qualcosa. Angelo sorride, forse capisce il mio stato d’animo e dice che sta bene. E più disinvolto dime: «Presto finirà tutto».
Sono trascorsi quasi ventisette anni, altro che «presto finirà tutto». Rizzoli innocente è stato in prigione tredici mesi, la famiglia distrutta, il patrimonio ingoiato dalle banche, il secondo Gruppo editoriale europeo sbranato da lupi vestiti d’agnelli.
E tutti zitti, liberi e ricchi.
The end? Un corno. La reputazione ad Angelone è stata restituita. Gli spetta il resto.
Nel nostro piccolo, vigileremo.
Vittorio Feltri