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 2010  febbraio 08 Lunedì calendario

IL PATTINAGGIO NON E’ FATTO PER LE MASSE

L’uomo che ha messo la faccia sulle Olimpiadi del 2006 ha aspettato quattro anni per una sensazione e ora che ha davanti quello che cercava si sente pronto: «Finalmente». Enrico Fabris lo ripete due volte mentre si concentra sull’idea che i Giochi sono dietro l’angolo. «Finalmente. Ho aspettato con ansia».
In questi giorni, quante volte ha pensato alle tre medaglie vinte a Torino?
«Ci ho pensato tanto in questi anni, ma non nell’ultimo periodo. Ho voglia di futuro e di quel che si prova solo durante un’Olimpiade. Per il pattinaggio di velocità è un momento unico e sto parlando di magia».
Dopo i successi di Torino credeva che il suo sport avrebbe avuto più visibilità?
«No, so di non essere un calciatore. Non sono uno che cerca soldi e attenzioni, cerco serenità e soddisfazioni. Forse subito dopo quelle vittorie ho creduto che sarebbe stato più facile allenarsi, che un impianto in Italia ce lo avrebbero lasciato. Ormai è andata».
In questi mesi però avete usato l’Oval di Torino.
«Ha riaperto un mese e mezzo, tra settembre e novembre, non esattamente quello che ci aspettavamo. Non ci sono gli interessi, pace».
Altre medaglie a Vancouver possono cambiare qualcosa?
«Ne dubito e sinceramente non pattino per il movimento, lo faccio per me. Può darsi che il post Torino si potesse sfruttare meglio ma è il passato, andiamo avanti».
Va bene, allora scelga solo un’immagine del 2006 da tenere con sé per quest’avventura.
«La premiazione in città, in piazza Castello, la folla, scene irripetibili. Ecco, quello me lo tengo davanti agli occhi. Qualsiasi cosa succeda non si ripeterà. Il resto no. Le gare, i successi, le sensazioni, quelli li voglio nuovi».
Cosa ha fatto in questi quattro anni?
«Ho vissuto, ho gareggiato, mi sono allenato molto, mi sono fidanzato, ho avuto qualche momento difficile quando mi sembrava di non avere abbastanza fame per reggere la fatica. stato un attimo».
 stato quando all’inizio dell’anno arrivava spesso lontano dai primi?
«Sì, mi sono spaventato. Non tanto per i risultati, perché sapevo bene che fisicamente non era quello il periodo in cui dare il meglio, ma per la testa. Temevo di aver perso qualcosa, invece no. Di colpo ho ripreso a divertirmi e quindi anche a dare il massimo. Sui pattini serve equilibrio, devi stare in pace altrimenti non combini niente».
E la testa come la allena?
«Con il training autogeno e senza che diventi una dipendenza. Si tratta solo di una tecnica di rilassamento: respingi il nervosismo, liberi i muscoli e le energie».
Il fidanzamento ha cambiato i suoi ritmi?
«No. Lei sarà a Vancouver, con la mia famiglia e il fan club, una quindicina di persone».
Sente sempre l’heavy metal prima delle competizioni?
«Certo, soprattutto durante il riscaldamento. Gli Ac/Dc funzionano come molla».
Che libro si è portato a Vancouver?
«Prima di trasferirmi in Canada ho letto molto Mauro Corona, uno scrittore friulano. Anche se l’ho già finito ho con me il suo ultimo libro. Mi fa sentire a casa e non solo per i luoghi, proprio per il mondo placido che racconta. Credo che si sia un po’ perso il senso, stiamo degenerando: consumismo, frenesia, fretta inutile, eccesso. In quei libri ritrovo valori che mi somigliano. Ha una scrittura particolare, non proprio per tutti».
Si definirebbe no-global?
«Le etichette stanno sempre strette, c’è qualcosa di quella filosofia che mi interessa, tutto qui. Insomma ho scelto uno sport di nicchia, allenamenti lunghi e solitari, ghiaccio, non proprio cose che interessano alle masse. E mi riconosco molto in questo sport».
Rispetto a Torino avrà avversari più forti?
«Ci sono i giovani e Shani Davis è cresciuto tanto».
 stato il primo nero a vincere un oro olimpico sul ghiaccio ed è ancora l’unico ad alti livelli, mai nessun buu dagli spalti?
« uguale a me, facciamo la stessa fatica».
Anche Balotelli corre come gli altri eppure qualcuno gli urla cori razzisti.
«Bisogna essere piccoli e ignoranti per reagire così e non cerchiamo scuse, il giocatore antipatico eccetera. Se uno fa buu a un ragazzo di colore è solo stupido. Meglio essere chiari».
Giulia Zonca