Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 31/1/2010, pagina 80, 31 gennaio 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
18 aprile 1861
Due italiani, anzi tre
Il primo derby politico dell’Italia unita si consuma fra i velluti di palazzo Carignano, nell’ex salone da ballo dove ha sede la Camera dei Deputati. L’onorevole Garibaldi vi irrompe in camicia rossa e poncho grigio sulle spalle, accusando con la sua voce bellissima «la fredda e nemica mano di questo ministero», cioè Cavour, di aver boicottato la spedizione dei Mille l’anno prima, a costo di provocare «una guerra fratricida». Il presidente del Consiglio si difende con rabbia: «Non è permesso di insultarci!». Stima il Generale, al quale riconosce il merito storico di aver rivelato al mondo che gli italiani sanno combattere. Ma l’impresa meridionale di Garibaldi ha scompigliato i suoi progetti, originariamente limitati alla costruzione di un Regno del Nord. Lo scontro pubblico fra i due padri della Patria è la migliore smentita alla tesi di chi immagina che Garibaldi avesse aggredito i Borboni d’accordo con Cavour. La realtà è che il pragmatico Conte, preso atto dei primi successi dei Mille in Sicilia, si era subito premurato di volgerli a proprio vantaggio. E, con la scusa di imbrigliare la rivoluzione garibaldina, che poi non era neanche troppo una scusa, aveva mandato l’esercito al Sud.
A scontrarsi nell’aula di palazzo Carignano non sono soltanto due visioni dell’Italia, ma due modelli di italiano. L’uno, Cavour, è preparato, concreto, frequenta le élite e ama il suo Paese come può amarlo uno straniero («Meno male che abbiamo fatta l’Italia prima di conoscerla», gli scappa detto a Firenze, e chissà cosa avrebbe aggiunto se fosse sceso più giù). L’altro, Garibaldi, è improvvisatore, idealista, seduce le folle e ama il suo Paese come può amarlo un avventuriero di gran cuore.
Ciascun lettore si eserciti pure a trovare i loro epigoni nella storia patria. Ma non dimentichi l’esistenza del terzo italiano, interpretato nella circostanza dal colonnello Nino Bixio. Il quale, al culmine del litigio, si alza dal suo scranno parlamentare, rende omaggio a Garibaldi come soldato e a Cavour come politico, li induce a fare la pace e ottiene per sé la promozione a generale. Alla fine il vero padre della Patria potrebbe essere lui. L’eterno democristiano.