Lara Ricci, Il Sole-24 Ore 7/2/2010;, 7 febbraio 2010
DATECI UNA CHANCE DI DEMOCRAZIA
La strada che dall’aeroporto porta a Johannesburg è sventrata dai lavori per gli imminenti mondiali di calcio. L’11 febbraio saranno passati vent’anni da quando Mandela è tornato un uomo libero, mentre oltre 15 ne sono trascorsi dall’insediamento del primo esecutivo eletto da tutti i sudafricani, bianchi e neri, e altrettanti dalla coppa del mondo di rugby che sancì la vittoria arcobaleno degli Springboks e del neoeletto presidente Mandela. Da allora il partito al governo è sempre stato l’Anc,l’African National Congress.
Vicino all’università, iltaxi si ferma in un quartiere di ville sprofondate in alti giardini: Parktown West. Sono davanti alla casa di un’anziana donna bianca, Nadine Gordimer, vate e vestale del moderno Sudafrica. Con la sua prosa epica ha raccontato la lotta all’apartheid e la difficile costruzione di un nuovo paese. «La sua scrittura magnifica è stata di grande beneficio per tutta l’umanità», scrisse il comitato dei Nobel quando le assegnò quello per la letteratura nel 1991, due anni prima che il suo amico e compagno di partito, Nelson Mandela, vincesse quello per la pace.Non c’è campanello. All’interno di una casa semplice ed elegante, mi accoglie una donna minuta dallo sguardo fermo, che non può avere 87 anni. Eppure è lei. Sua figlia vive in Italia, insegna inglese in una scuola di Mondovì, racconta davanti a un panettone.
A cosa sta lavorando attualmente?
Non ne parlo mai prima di aver terminato. Neppure a mio marito raccontavo quello che facevo, non mi sono mai confrontata con lui. E a volte servono due anni per finire un romanzo. Lui era la prima persona che li leggeva. Ma ha sempre rispettato il fatto che la scrittura fosse qualcosa di privato.
Lei ha sempre tenuto separate le sue dichiarazioni politiche dalla sua narrativa.
Come essere umano, come cittadina del mio paese, sono stata coinvolta in tutto quel che avveniva intorno a me, molto significativo dal punto di vista politico. Non era possibile avere una vita privata. Vivere durante il periodo dell’apartheid mi ha fatto intendere le idee politiche come parte della mia vita, proprio come alcune persone vedono la religione parte della loro. Io sono atea, ma penso che certe convinzioni impongano una direzione alla vita. E per me, nella condizione di conflitto in cui ero nata, essendo parte di una società che opprimeva gran parte della popolazione, era naturale considerami coinvolta. Durante l’infanzia ero circondata dall’enclave bianca. I miei genitori, come molti altri, non si mescolavano con nessuno che non fosse bianco. Appena ho cominciato a percepire che c’era qualcosa di strano e sbagliato in questo è iniziata la mia educazione politica. E da adulta sono diventata membro dell’African National Congress. Ma non ho mai permesso a me stessa di trasformare la mia scrittura in propaganda politica. Dovevo mostrare la vita e le persone nella loro complessità. E i miei compagni politici hanno rispettato questo proposito. Quando ho mostrato le debolezze e gli errori del movimento di liberazione, non mi è mai stato contestato.
Quale è stata la prima esperienza che le ha fatto ritenere sbagliato il modo in cui viveva la popolazione bianca?
Quando ero bambina vivevo in un piccolo paese: una notte fummo svegliati da un rumore che proveniva dal cortile, dove si trovavano le stanze della servitù. Allora avevamo una donna cui io ero molto affezionata: tutto quel che possedeva era stato distrutto dalla polizia. Volevano accertarsi che non fabbricasse birra, perché all’epoca ai neri era vietato comprare alcol e molti la producevano in casa. Mia madre e mio padre non sfidarono la polizia, che era fatta di bianchie di neri agli ordini dei bianchi. La polizia non trovò nulla e se ne andò, ma fu un episodio molto triste, che ispirò uno dei miei primi racconti. così che diventai consapevole di quel che non andava nella nostra società, del razzismo. Lo vidi accadere nella mia casa. Poi, quando avevo 20 anni e prendevo il treno ogni giorno per andare all’universitàa Johannesburg, per la prima volta diventai amica di un nero, anche lui scrittore. Andammo a Soweto, il ghetto dei neri, entrai nelle loro case e vidi come vivevano.
Nei suoi libri si trovano spesso figure eroiche. Chi sono gli eroi oggi?
Chiunque combatta contro il razzismo e l’oppressione in ogni paese. Perché è sempre pericoloso. Oggi non ci sono più forme di oppressione aristocratiche, ma esistono nuove forme di prevaricazione. Che dire ad esempio dei dittatori? Anche in Italia ne avete avuti. E della corruzione? Anche da noi ora ce n’è, eppure non pensavamo potesse arrivare nel nuovo Sudafrica. Ed è una grande disillusione vederla in coloro che avevano lottato per l’indipendenza.
ancora in contatto con Mandela?
Si, ma ora lo vedo raramente, è anziano e ha bisogno di tranquillità.
Si dice che lei fu una delle prime personeche lui volle vedere quando uscì di prigione, 20 anni fa.
Fui una delle prime che incontrò. Lo conoscevo da molto tempo, da quando era sotto processo. Lo conobbi in tribunale e il nostro rapporto continuò. Poiché il mio libro, La figlia di Burger (Feltrinelli, 1992), venne contrabbandato in prigione, lui lo lesse in carcere e, tramite il suo avvocato difensore, Nelson mi scrisse una lettera per dirmi quanto avesse lo apprezzato. Dopo la liberazione l’ho visto abbastanza spesso. Non riesco a immaginare cosa sarà questo paese quando lui non ci sarà più. Anche se non ha più una vita pubblica, Mandela è sempre con noi, così come lo era quando restò in prigione tutto quel tempo, 25 anni sull’isola e due in altre carceri.Sapevamo che lui c’era e che prendeva parte a tutto quel che accadeva qui.
Dopo oltre quindici anni di governo dell’Anc, qual è il bilancio tra i sogni e quel che è stato fatto?
Quando c’è una lotta di liberazione si pensa sempre che, raggiunto l’obiettivo, sarà tutto meraviglioso. In questo paese fu la prima volta che tutti votammo. Quella notte, dopo le elezioni, abbiamo festeggiato, ci siamo ubriacati, baciati e abbracciati. Finita la festa c’è sempre, però, la "mattina dopo", il mal di testa e tutto il resto. Ma allora non avevamo pensato a cosa avremmo fatto dopo, avevamo solo una cosa in mente:liberarci dell’apartheid. Non c’era tempo di preoccuparsi delle cose che ci avrebbero creato difficoltà. Ma voglio ricordare al mondo occidentale che noi a gennaio abbiamo celebrato i primi 15 anni dalla fine dell’oppressione dei neri, che iniziò nel 1652: a noi si chiede di aver cambiato tutto in 15 anni. Ma io rispondo: «give us a chance». Dateci una possibilità, voi che in Europa avete avuto centinaia di anni per creare le vostre democrazie, ancora lontano dall’essere perfette. Non è una scusa per giustificare quello che non abbiamo raggiunto.
Quali sono le urgenze?
Abbiamo costruito migliaia di case, ma tantissima gente ne è ancora senza. Siamo indietro nei servizi,come l’acqua e l’elettricità. Abbiamo fatto solo una piccola parte di quel che serve. Mancano le scuole, le classi sono troppo numerose, spesso i professori non sono abbastanza preparati. Nelle campagne talvolta non ci sono neppure i bagni. Un paese che non sa offrire educazione non si può sviluppare. C’è crisi al momento, ma la situazione è migliore di prima, perché ora un ragazzo che proviene da una famiglia con appena un po’ di soldi, può andare a scuola, laddove ci sono i servizi. Ma se nasce nelle township, non ha accesso a niente, lo stato non arriva. Abbiamo anche problemi con gli ospedali: sono accessibili a tutti, ma sovraffollati e senza personale sufficiente. Abbiamo fatto alcune cose buone, nel limite dei pochi soldi che avevamo e del breve tempo a disposizione. Eppure, come in altri paesi, ci sono sempre abbastanza soldi per la difesa e per gli equipaggiamenti militari, che non ci servono.C’è sempre una sproporzione tra questi fondi e quelli per l’educazione. Ma c’è una cosa, senza prezzo, che non avevamo: una stampa libera.
C’è chi sostiene che è in preparazione una legge per mettere in piedi una sorta di censura. vero?
falso, non abbiamo alcun tipo di censura. L’unica cosa vietata è incitare alla violenza. Per esempio, quando il nostro attuale presidente non era ancora alla guida del paese ma occupava già posti molto in alto nel governo, diede una festa nella sua bellissima casa. Al termine, una ragazza figlia di uno suo stretto compagno nel movimento di liberazione, si è fermata per la notte e lui ha avuto un rapporto con lei. Lei lo ha denunciato, dicendo che l’aveva violentata. In tribunale lui ha affermato che non era violenza, poiché lei era vestita in modo provocatorio. Inoltre, siccome le aveva dato il bacio della buonanotte, ha detto che era nella sua cultura, la cultura zulu, far sì che se una donna è eccitata – e non so come potesse essere eccitata da un bacio delle buona notte ”,debba essere soddisfatta. In ogni caso, Zuma sapeva che lei era Hiv positiva, ma ha avuto un rapporto con lei senza preservativo e ha dichiarato che, dopo il rapporto, si è fatto una doccia per prevenire l’infezione. Che massaggio è questo per i giovani? Da allora, un vignettista di Città del Capo, Zapiro, pubblica una vignetta in cui, a prescindere dall’argomento, ogni volta Zuma compare con una doccia sopra la testa. Zuma lo ha denunciato e c’è chi lo ha accusato, quando Zuma non era ancora presidente ma era candidato, di «assassinio del personaggio politico », e per un certo periodo Zapiro ha smesso di disegnarlo, per riprendere proprio in questi giorni, sempre con la stessa doccia, alludendo non più al sesso ma alla corruzione. Zapiro non è stato fermato, e la stampa continua a pubblicarlo. Questa è libertà di stampa. Inoltre, da noi la stampa può seguire le udienze in tribunalee Zuma non possiede televisioni e giornali.
Lei ha rifiutato un premio per scrittrici donne: come mai?
Perché non credo ci siano differenze nel cervello di uomini e donne che rendono di-verso il modo di scrivere. Non esiste un premio per scrittori uomini, né per gay o lesbiche: perché devo ricevere un premio per il fatto di essere donna? Io sono una scrittrice, non una donna scrittrice.