Niccolò Zancan, La Stampa 7/2/2010, pp. 12-13, 7 febbraio 2010
GIURO DI DIRE BUGIE, SOLTANTO LE BUGIE (+
due interviste) -
Silenzio in aula, prego. Articolo 497 comma 2 del Codice Penale, il testimone legga ad alta voce: «Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza». Il microfono fischia, la voce si impaccia, qualcuno tentenna sul significato della parola «consapevole». Poi iniziano a piovere menzogne.
Il giudice di Aosta Eugenio Gramola - sì, quello del caso Cogne - ha lanciato l’allarme: «Ci prendono per imbecilli. incredibile come mentano con facilità davanti al giudice. Sfrontati, fantasiosi. Senza la minima cura per la plausibilità del racconto. Orari impossibili, contraddizioni lampanti, pasticci. L’incidenza dei falsi testimoni è molto superiore a una media fisiologica, si attesta tra il 70 e l’80 per cento».
Quasi una tara
Sette su dieci mentono, in Valle d’Aosta. Sembra uno di quei casi in cui la geografia potrebbe significare qualcosa. L’Italia un Paese di bugiardi, quasi una tara nel codice genetico: «Chi mente al giudice è furbo - dice Gramola -. Essere bugiardo fa ridere, piace, non comporta disvalore sociale. Mentre indicare la menzogna come un grave atto contro la Giustizia è da biechi moralisti e puritani».
Totò e Peppino erano all’avanguardia, è risaputo. «Caffè, panini, false testimonianze!», urlavano nel 1959 nel film «La Cambiale». Proprio a Napoli, alla fine di gennaio, hanno scoperto un mercato in fervente attività. Centinaia di specialisti aspettavano davanti al portone d’ingresso della sede dei Giudice di Pace in via Foria. Tariffe trattabili, da 100 a 25 euro, a seconda dell’impegno. Perché bisogna pur sempre studiare un minimo la parte, imparare i nomi, mandare a memoria gli orari, mettere a fuoco le circostanze, prima di entrare in scena e recitare.
Cifra abnorme
Secondo le statistiche, la metà delle cause civili pendenti davanti ai giudici di pace (in nove casi su 10 sono risarcimenti di sinistri stradali) si svolgono nel distretto di Napoli: quasi 600 nuove pratiche al giorno. Una cifra abnorme. Lì, davanti all’ex caserma Garibaldi, gli investigatori hanno scoperto un’industria della menzogna. Ogni giorno si aggiustavano cause e si procuravano rimborsi. Specialità della casa: truffe alle assicurazioni, falsi incidenti, cause di lavoro. Un fenomeno non quantificato e raramente perseguito (pena prevista da due a sei anni di carcere).
Il ministero di Grazia a Giustizia non ha dati aggiornati: 50 condanne passate in giudicato nel 2007 per falsa testimonianza, 300 nel 2005. Molti procedimenti si perdono lungo la strada, senza arrivare a sentenza definitiva. Eppure: «La falsa testimonianza negli incidenti stradali ormai è un fenomeno sociale. Nel Casertano abbiamo avuto un recordman con più di 300 menzogne accertate». Antonio Coviello è professore di marketing assicurativo all’Università di Napoli, ma anche un ex ufficiale della Guardia di Finanza. Certe cose le ha verificate sul campo, prima di teorizzarle. Ha scritto un saggio assieme al vicequestore Maurizio Vallone, dirigente della Squadra Mobile di Napoli, dal titolo significativo: «Truffa in nome della legge».
Caos organizzativo
Ecco un passaggio: «Il fenomeno dei falsi testimoni è direttamente commisurato allo stato di assoluto caos organizzativo in cui operano i giudici di pace e gli uffici sinistri. Infatti è soltanto in una situazione di assoluta disorganizzazione che può proliferare un tale fenomeno, che ormai assume proporzioni eccezionali». Peculiarità italiana? «Sicuramente siamo un popolo propenso all’inganno - dice il professor Coviello -: questo è un dato di fatto. A Napoli ci sono coinvolgimenti a tutti i livelli: una parte di carrozzieri, una piccola parte dei giudici di pace che lavorano a gettone, una piccola parte di avvocati che lavorano solo con le assicurazioni. Persino lo Stato ha da guadagnarci: un terzo dei premi incassati dai cittadini finisce nelle casse sotto forma di imposte». C’è un antidoto? «Basterebbe istituire un registro dei testimoni». Nel frattempo, nascono delle professionalità.
A Roma, durante un’indagine del pubblico ministero Pietro Saviotti su diverse agenzie investigative che facevano affari illegali - ricatti, accessi a banche dati protette, spaccio di notizie «sensibili» - viene intercettata questa conversazione fra due detective: «Ho chiamato e gli ho detto: ”Robbé, è mezz’ora di lavoro”. Quanto? Mille euro. E io allora gli ho fatto: ”Ce voi annà?” E lui: ”Eh sì che ce vado”». Mille euro più spese pagate - albergo e ristorante - per una bella falsa testimonianza in Tribunale.
Forme peculiari
Nel Casertano sono stati scoperti intrecci criminali inediti: il clan dei casalesi alleato con la mafia nigeriana, proprio sul ramo delle truffe alle assicurazioni. Falsi incidenti in Africa, per falsi automobilisti italiani, suffragati da false testimonianze incrociate e concordanti, per rimborsi da spartire.
A Palermo il clima è diverso, nel senso che il reato assume forme peculiari: «Qui la situazione è quasi paradossale - dice il pm Paolo Guido -. La falsa testimonianza spesso non è frutto di un accordo, ma di un condizionamento ambientale. Il teste più che falso, è reticente. Predomina il pensiero: ”Ma chi me lo fa fare?”». Qual è il paradosso siciliano? «Sono più affidabili i pentiti che adempiono a un contratto e sanno bene quanto rischiano in caso di menzogna - spiega il magistrato - piuttosto che le persone ritenute, per così dire, attendibili. Facciamo salti mortali per contrastare dichiarazioni che sconfessano dati di fatto».
False testimonianze. Piccole e grandi. Celebri e appena scoperte. Due operai e due dirigenti della Thyssen avrebbero concordato una ricostruzione della situazione in fabbrica, antecedente alla tragedia, molto edulcorata. I carabinieri in servizio alla caserma di Bolzaneto con i loro «non ricordo», «non c’ero», «non ho visto». Il caso dell’avvocato inglese David Mills, condannato a quattro anni e sei mesi con l’accusa di aver accettato somme di denaro per testimoniare il falso in due processi in cui era imputato Silvio Berlusconi.
Storie significative
Dall’alto della civilissima Valle d’Aosta, al cospetto di storie magari più piccole eppure significative, il giudice Gramola ha un guizzo d’orgoglio: «Certe volte, più che a testimoni ci troviamo di fronte ad amici delle parti in conflitto. E questi bugiardi sono poi magari gli stessi che si scagliano contro una giustizia che non funziona».
Niccolò Zancan
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Come si riconosce un bugiardo?
«Può bastare lo sguardo. Quando andiamo a cercare informazioni che riemergono dalla memoria, gli occhi si muovono verso sinistra rispetto all’interlocutore. Quando invece virano a destra, significa che il cervello va "in costruito": sta immaginando. Ma sono indizi, devono essere esplorati. E per un mancino è al contrario».
Valter Romani, 45 anni, esperto di comunicazione e consulente aziendale, ha scritto il libro «Scacco alle bugie» (Bruno Editore).
Quali sono i segni più evidenti di una menzogna?
«Gli scarichi tensionali: il prurito al naso è un segno di rifiuto. Lo schiarimento della voce significa imbarazzo. Bisogna trovare le incongruenze fra il detto e il pensato, per avvicinarsi alla verità. Il cacciatore di menzogne deve incalzare, rifare le stesse domande sotto angolazioni diverse. Deve stanare la spontaneità».
Quanto è importante la postura delle mani?
«E’ importante. Se sto interrogando una persona e questa allarga le braccia verso l’alto, come a dire ”è tutto quello che so”, è un conto. Se tiene le braccia conserte in difesa è un altro. Nascondere la bocca dietro alle mani è un segno importante dell’inconscio».
L’inconscio finisce per dominare sempre?
«Soltanto chi è molto tranquillo riesce a far prevalere la razionalità».
Perché allora vince spesso il bugiardo?
«Perché negli ambiti giudiziari nessuno si occupa di comunicazione non verbale. Manca del tutto questo tipo di competenza. Ma la componente verbale è solo il 7 per cento».
Da che cosa è composto il resto della comunicazione?
«Il 38 per cento è il paraverbale legato al parlato: tono, voce, ritmo, pause, scioltezza, tentennamenti. Poi c’è il non verbale, il restante 55 per cento: dalla gesticolazione alla prossemica. E’ evidente che, se si tiene conto soltanto della comunicazione verbale, finiscono per sfuggire molte informazioni».
In conclusione quanto è attrezzata la giustizia contro i bugiardi?
«Quando si parla di giustizia, bisogna farsi il segno della croce: il sistema giudiziario italiano ha un alto tasso di fallibilità».
N.Zan.
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«E’ un problema che non si risolverà mai, un fenomeno antico che ha assunto proporzioni gigantesche. In Italia la falsa testimonianza è diventata quasi un’istituzione».
L’avvocato napoletano Mario Tuccillo è un penalista di grande esperienza, lavora anche come consulente legale per diverse compagnie di assicurazione.
Avvocato, chi sono in genere i falsi testimoni?
«Personaggi che vivono alla giornata, certamente dei nullafacenti. Si arrangiano, questo è pacifico. Ma distinguerei: c’è il falso testimone, che magari si presta a fare una cortesia a un amico. E c’è il falso testimone ricorrente. Ci sono i professionisti e gli improvvisati. In ogni caso, è un fenomeno molto grave».
Perché i falsi testimoni non vengono «sgamati»?
«Ad essere buonisti, il numero è talmente elevato che non ci si fa caso».
Non incappano in strafalcioni?
«Certo: cadono in contraddizione, dicono stupidaggini, alcuni vanno a casaccio, non ricordano niente. Ma mediamente sono ben istruiti».
Eppure riescono a vincere anche grazie al numero?
«Fanno leva anche sulla calca, sul numero dei processi: migliaia da mattina a sera. Non è che le prove vengono raccolte con la tranquillità e il tempo necessari».
E’ una peculiarità di Napoli?
«Confermo, ma è un fenomeno che esiste ovunque».
I condannati per falsa testimonianza?
«Non pochi, pochissimi».
Che cosa servirebbe?
«Ridisciplinare tutto. Nei paraggi dei giudici di pace bisognerebbero sorvegliare di più, ci vorrebbe un impegno massiccio delle forze dell’ordine. Credo che, non senza estrema fatica, potrebbero individuare molti truffatori».
Un antidoto?
«Serve maggiore attenzione da parte di tutti. I falsi testimoni di professione sono sempre gli stessi».
N.Zan.