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 2010  febbraio 06 Sabato calendario

SUPER BOWL, L’AMERICA VISTA DAGLI SPOT

Se guardi dentro il Super Bowl ci trovi l’America o meglio l’America in pausa, quella che vuole prendersi una tregua dal mondo. Non importa chi si sta giocando la partita più vista dell’anno, contano quei 30 secondi di altro che si intromettono nello spettacolo, la pubblicità più cara della televisione. Domani a Miami i New Orleans Saints giocano contro gli Indianapolis Colts ed è la prima volta dal 1993 che al Super Bowl accedono le teste di serie. Eppure si parla d’altro.
Si discute sullo spot antiabortista perché Focus on the Family, una delle associazioni più conservatrici degli Usa, ha impacchettato un filmato che ha per protagonista Tim Tebow, star della squadra di football del college di Florida, e sua madre. Lei ricorda che il medico le aveva consigliato di interrompere la gravidanza, invece è nato un futuro campione. Ma lo slogan non è piaciuto e la promozione è stata declassata, fuori dalla partita e dentro all’attesa, fascia meno caliente. In più c’è stato qualche ritocco alla sceneggiatura, la signora Tebow non pronuncia più la parola aborto, si limita a celebrare il «diritto alla vita». Squalificato invece il sito per appuntamenti gay e la Cbs, l’emittente che quest’anno ha i diritti della gara, ne esce spiegando che prima di accettare inserzionisti si verificano i bilanci e l’indirizzo e mancrunch.com non li ha a posto.
Due casi etici in un solo Super Bowl sono un dato fuori controllo perché il partitone è cresciuto con la birra Budweiser, il Big Mac che Michael Jordan e Larry Bird si sono contesi a forza di canestri impossibili (1993), la Diet Coke con cui l’allora ideale fidanzato d’America Michael J. Fox cercava di fare colpo sulla vicina di casa (1989). In alternativa i macchinoni, e quest’anno tocca alla Dodge Charger della Chrysler. Non si parla di politica, non si toccano temi scivolosi, si evita la religione e anche il sesso. Il seno di Janet Jackson scivolato di straforo dentro lo show in diretta durante l’intervallo del 2004 non è l’unico caso di puritanesimo spinto. L’anno prima hanno bandito la procace signorina protagonista dello spot di godaddy.com, un’attraente imbranata che per esibire la canotta con il nome del sito (un concentrato di occasioni per l’e-commerce) rischiava di restare in topless dentro un tribunale. Nella stessa edizione vergogna e squalifica anche per la pubblicità progresso pagata dalla Peta, associazione per i diritti degli animali. Il motto era «I vegetariani lo fanno meglio» e le ragazze che si lanciavano ortaggi invece dei palloni da football erano tutte da copertina. Non sono andate in onda e si sono prese il titolo di pubblicità più vista on line, così il professore di psicologia dell’università di Tampa, Stephen Blessing, ha scritto un saggio sulla fortuna degli oscurati.
Non conta passare davvero in tv durante il match ma occupare il Super Bowl prima che inizi. Quando l’arbitro fischia, il solo personaggio attraente dentro la tv diventa il quarterback, l’attenzione va catturata in anticipo. Regola che vale almeno per i comuni mortali, per chi si è svenato per prenotare uno spazio e non ha mezzi per inventare un micro film capace di reggere l’impatto.
I ricchi invece costruiscono, entrano dentro la partita con lo stile da kolossal e gli effetti speciali. La prima volta è successo nel 1984, e l’anno è fondamentale: lancio del primo computer Macintosh, trama che ricalca proprio «1984» di Orwell, regia di Ridley Scott e messaggio complicato che sfida i temi basici cavalcati dai concorrenti. Un esempio mai imitato perché è passato in tv due volte. Tanto complesso da funzionare solo dentro un Super Bowl: la Apple ha sfidato l’epica con uno spot sullo stesso registro e gli Stati Uniti per un attimo hanno perso il conto delle yard. Poi si è tornati alle parodia di «Er» sfruttata da una compagnia di assicurazioni e alla comicità, cavallo di battaglia dell’eterna birra. Spariti i divi, domina la voglia di certezza, ma le pubblicità sociali si insinuano e provano a spezzare l’assuefazione da «come eravamo». I creativi assistono al dibattito sul controllo delle nascite e meditano di cambiare il menù per gli americani in pausa, forse non più solo football e bei tempi.
Giulia Zonca