Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  febbraio 07 Domenica calendario

I PEZZI DEDICATI DALLA STAMPA AL CONGRESSO DELL’IDV


5/2/2010
FABIO MARTINI
Raccontano che a Tonino, ogni tanto, piaccia riservare al suo amico-rivale Luigi De Magistris un soprannome sulfureo. Nelle riunioni a porte chiuse, Antonio Di Pietro ogniqualvolta si riferisce a De Magistris, lo evoca così: «Allora glielo dite voi a ”Why not” che...». Oppure: «Su questa questione bisognerà sentire che ne pensa ”Why not...”, che è il nome di un’inchiesta giudiziaria (condotta proprio dall’ex pm napoletano) che via via ha perso per strada gli indagati più illustri. Poiché non girano voci su influssi iettatori attribuiti a De Magistris, chi conosce Di Pietro assicura che la rimozione del cognome nasca da certa diffidenza per il rivale emergente, ma nulla di più. La prova provata che il dualismo tra i due ex pm non sia ancora approdato all’antagonismo dovrebbe venire dal congresso dell’Italia dei Valori, che si svolgerà da stamani fino a domenica vicino l’aeroporto di Fiumicino, in un albergone per facoltosi turisti in transito.
Per il partito di Di Pietro si tratta di una prima volta. In dieci anni di vita l’Italia dei Valori non si era mai cimentata in un congresso e non solo per l’evidente carattere personale e carismatico del movimento, ma anche per effetto di uno Statuto, che fino ad una recente modifica aveva impedito una seppur minima dialettica interna. Sotto un involucro presidenzialista, lo Statuto dell’Idv ha espresso per diversi anni una sostanza aziendalista per via dei poteri assoluti attribuiti al ”Presidente fondatore” (cioè Di Pietro), il quale è stato titolare «esclusivo» della «ripartizione» dei finanziamenti al partito, della «supervisione» sugli iscritti, della composizione delle liste, della possibilità di cambiare lo Statuto. E tutti questi poteri spettavano a Di Pietro «fino a sua rinuncia». Teoricamente a vita. Il congresso è dunque chiamato ad una svolta democratica, ma sono tutti pronti a scommettere che nessuno metterà in discussione la leadership di Di Pietro, neppure con un diverso parere.
E d’altra parte i possibili sfidanti sembrano difettare sia delle firme necessarie, sia dei «titoli». Franco Barbato, il vulcanico deputato campano che aveva annunciato di voler sfidare Di Pietro, pare non abbia trovato il necessario appoggio tra i delegati. Chi non ha mai lanciato guanti di sfida è Luigi De Magistris, che per parte sua, pare non risulti iscritto all’Italia dei Valori. Dunque, un dipietrista indipendente, che in una recente intervista ha esposto il suo progetto: trasformare l’Idv in un partito più grande, un’unica area che comprenda anche tutti i comunisti e i movimenti, dai «viola» ai grillini. Una carriera giudiziaria molto controversa (e imparagonabile a quella di Tonino), De Magistris è personaggio ambizioso, ma non sfiderà Di Pietro: l’impetuoso consenso popolare (414mila preferenze alle Europee contro le 395mila di Tonino) e l’età (ha 42 anni, 17 anni in meno dell’altro) consigliano prudenza. Sarà dunque un congresso elettorale, una passerella per il leader, per gli emergenti (il presidente dei deputati Massimo Donadi, il sempreverde Leoluca Orlando, Luigi De Magistris, l’ex Cgil Maurizio Zipponi che ha in mano tutte le liste regionali), per i personaggi che si ”sono fatti da soli”, come il romano movimentista Stefano Pedica e per i più vicini a Di Pietro, come Silvana Mura e Claudio Belotti. Sul piano politico, rispetto alle pulsioni «uliviste» di Renato Cambursano e a quelle sinistrorse di De Magistris, è destinata a prevalere una larghissima maggioranza favorevole ad un’alleanza-competizione col Pd.

6/2/2010
MARIA GRAZIA BRUZZONE
ROMA - E’ un Di Pietro stranamente moderato, dai toni sobri persino sugli attacchi di cui è oggetto in questi giorni, quello che parla in conferenza stampa nel bel mezzo del primo congresso del suo Idv. «Un partito ormai maggiorenne, che compie oggi i suoi 18 anni anche se è nato 9 anni fa», esordisce senza nascondere il suo orgoglio. Un Di Pietro stratega, piuttosto. Parla della «nuova fase» che inizia adesso, con paletti chiari. Un programma, che illustrerà oggi, e un «recinto» di alleanze. E qui, chiarita la «collocazione definitiva» nella coalizione di centrosinistra, ribadisce con forza «l’asse stabile e paritario» stabilito col Pd, già annunciato nella conferenza stampa con Bersani la scorsa settimana. Per Di Pietro sembra essere una strategia di lunga scadenza, volta a costruire un «percorso di alternativa». «Il giorno in cui si potrà arrivare a una fusione tra Pd e Idv sarà un giorno molto importante», si spinge addirittura a dire. Anche se non dimentica il suo partito, che alle prossime politiche ha l’obiettivo di arrivare alle due cifre: il 10%, magari di più.
I 3600 delegati a congresso, molte facce nuove e molti giovani, dovranno approvare programma, alleanze e codice etico, che sono i punti della sua mozione. «Volevate la democrazia? Mo’ eccola». Il partito sarà meno personale, il nome Di Pietro sparirà dal simbolo, salvo che sulle schede elettorali. Di mozione ce n’è un’altra minoritaria, presentata da Barbato, rappresenta l’anima più di sinistra che in realtà guarda piuttosto a De Magistris. Ma l’ex magistrato napoletano per ora si tiene fuori, si considera indipendente, non è neppure iscritto, per ora. Dice che vuol restare a fare il deputato europeo, anche se è «a disposizione». E nega la competizione con Di Pietro (entrambi ci scherzano sopra), anche se non si risparmia qualche stoccatina «Voto Di Pietro ma io sono più giovane», facendo balenare l’ipotesi di una candidatura per la successione. Ma sulle alleanze e sullo stesso Idv hanno idee diverse. De Magistris considera l’Idv «baricentro tra Pd e sinistra radicale», «che però deve farsi riformista e abbandonare vecchie ideologie», l’Udc non gli piace «almeno, quella di Cesa e di Cuffaro: senza di lui non sarebbero neppure in Parlamento», si spinge a dire. Il Di Pietro in versione sobria resta sul vago. L’Idv non sarà un «partito di magistrati», guarderà socialisti, laici, cattolici. Quanto all’Udc, solo «non ci piacciono alcune persone».
E alle regionali? In Calabria l’Idv ha scelto Callipo, Di Pietro si augura che il Pd converga. In Campania sarà il congresso a scegliere fra tre ipotesi. No a De Luca, il candidato del Pd. «Ma allora qualcun altro dovrà candidarsi per noi», osserva Di Pietro, forse alludendo a De Magistris, che su De Luca è negativo: «Cosa ne penso? Male». Sì a De Luca senza condizioni. La terza ipotesi Di Pietro la caldeggia, pur senza dirlo: sì a De Luca ma con tre paletti. «Casa di vetro» e ramazza per spazzar via la burocrazia, dimettersi in caso di condanna, impegno a confrontarsi «nel» processo: «nessun legittimo impedimento di giornata».
Sullo scandalo di questi giorni, Di Pietro tiene fuori il Corriere (autore dello scoop), forse nemmeno querelerà. Ma dopo le regionali farà un’inchiesta sua, personale, annuncia, per capire «chi c’è dietro». Di certo, sostiene, si vuol screditare Mani Pulite e lui, per vari motivi: perché è contrario a ripristinare l’immunità e perché per il nuovo Lodo Alfano costituzionale l’Idv farà di tutto per andare al referendum.

7/2/2010
MARIA GRAZIA BRUZZONE
ROMA - Al primo congresso dell’Idv ormai «maggiorenne» è la giornata di Bersani e di Vendola, accolti da un lunghissimo applauso (con Vendola, idolo per la resistenza ai vertici Pd, i delegati fanno gara per una foto insieme, con Bersani è abbraccio con Di Pietro); è la giornata di De Luca, il sindaco di Salerno candidato del Pd a governatore della Campania che Di Pietro genialmente ha invitato a parlare e alla fine i delegati accettano di appoggiare per acclamazione. Ed è la giornata di Di Pietro, naturalmente, che verso quelle convergenze ha spinto e quell’«asse a tre» con Bersani e Vendola sta realizzando intorno alla nuova parola d’ordine del partito: «alternativa» di governo per «buttare a mare Berlusconi», da costruire tutti insieme, basta con «l’opposizione solo di pancia e di piazza». Un progetto di cui la Campania è un «test nazionale», piaccia o no a De Magistris, che non si è voluto candidare e si ritrova isolato (a parte Diliberto).
«Se vuoi fare l’opposizione che urla solo nelle piazze va bene, c’è lo zoccolo duro che ci vota, può essere il 2 o l’8%, dipende dal mal di pancia di quel momento, ma è solo un voto... di diarrea politica», arringa il leader dell’Idv, ritrovando i toni coloriti di sempre. Ma questo non basta più, per «battere politicamente Berlusconi». «Per fare opposizione basta la rete, per fare alternativa ci vuole un partito, e non la possiamo fare da soli. Serve un patto, un incontro fra le nostre regole e quelle degli altri, un programma alternativo alle destre fatto da persone per bene, anche con Rifondazione, Sinistra e libertà, e l’area moderata, sfondando le barriere ideologiche». Idem per le regionali, e la Campania: «Da sola l’Idv può prendere anche due punti in più perché c’è una diarrea che Dio la manda, ma poi consegni 13 regioni a Berlusconi, e c’è l’olio di ricino. La Campania si rischia di consegnarla ai casalesi». Quanto al «sogno» di una fusione col Pd, «per ora lavoriamo a rafforzare l’Idv», del quale Di Pietro resterà alla guida «almeno fino al 2013», annuncia: «Dopo, mi chiamate come socio onorario». Resta l’impegno etico, il ruolo di cani da guardia: «All’opposizione è facile avere le mani pulite, ma qui dobbiamo giurare che a chi di noi sta nelle istituzioni le taglieremo le mani, se se le sporca».
In platea ci sono Diliberto, e Ferrero, Bersani e Vendola in prima fila, e il dalemiano Latorre. Assai soddisfatti. E c’è Tabacci, ormai nell’Api, al quale si è rivolto Di Pietro («Viene dall’Udc, ma lo ascolto sempre perché da lui ho imparato molte cose»). Cauto il segretario Pd: «E’ importante che si parli di alternativa di governo e non solo di opposizione. E’ un passo avanti dell’Idv e mi incoraggia a continuare nella strategia di accorciare le distanze fra opposizioni». Anche Latorre riconosce la «novità politica dell’Idv». Una novità che non piace al Pdl. «L’unica differenza fra Bersani e Franceschini è l’accento emiliano», ironizza Cicchitto. Ma pure Casini si dice «preoccupato per il Pd». Quanto a Vendola, trova «molto saggio» Di Pietro sulle condizioni poste per sostenere De Luca in Campania: «Potrebbe sbloccare la situazione».
De Luca si materializza nel pomeriggio. «Sono stanco del Sud con l’etichetta del malaffare. Io sono un altro Sud, il Sud che combatte e non teme la legalità» esordisce, ed è la sintesi di un appassionato discorso. Difende la sua amministrazione, «trasparente». E difende sè stesso dalle accuse di truffa e concussione, «dovute al fatto che ho chiesto la cassa integrazione straordinaria per 200 operai licenziati», spiega «orgoglioso». Si dice pronto a sottoscrivere un codice etico, e ne anticipa i punti: rispettare l’autonomia della magistratura, non fuggire dai processi, chi è condannato firmi subito le dimissioni. La platea risponde con una standing ovation. Di Pietro insiste: «Allora, lo appoggiamo?» E arriva un «Siiii!», sia pure con qualche mugugno.
«Cosa è, un processo breve basato su dichiarazioni spontanee?» ironizza De Magistris, rivendicando la sua coerenza. «Sarei contento di un 20% di malumori», commenta invece Massimo Donadi che invece critica duramente il consulente informatico Gioacchino Genchi, che al congresso ha sostenuto che l’attentato di Tartaglia a Berlusconi fosse un «falso incidente». «Tesi fantascientifica e grottesca che non appartiene alla cultura della legalità dell’Idv», la bolla Donadi. Lo stesso farà Di Pietro. Più tardi Genchi dirà di essere stato «frainteso».
Una mozione «blocca-familismo» divide Pancho Pardi da Antonio Di Pietro. il leader girotondino a difendere quella che ritiene «una scelta di stile, un modo di pensare che deve essere elementare per un partito come il nostro». Di che si tratta? Di stabilire che «figli e conviventi di eletti Idv in Parlamento e nei Consigli regionali non siano i primi a essere possibili candidati». Di Pietro trova la misura troppo draconiana e si oppone, ma la mozione però passa. «Ahò, è la demcrazia», riconosce lo sconfitto Di Pietro.

Stampa Articolo