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 2010  febbraio 05 Venerdì calendario

I SINTOMI DEL CONTAGIO

Nel 2000 a Lisbona i capi di governo avevano fissato proprio per quest’anno l’obiettivo di fare dell’Europa «l’economia più competitiva del mondo». Il bilancio è a dir poco disastroso. IL VECCHIO continente esce dalla più grave crisi del dopoguerra con un potenziale di crescita poco superiore all’uno per cento: del tutto insufficiente per mantenere in vita il modello sociale del welfare state. La sua forza lavoro non soloè disoccupata per oltre il dieci per cento ma, come segnalava proprio ieri uno studio della Commissione, resta «ampiamente sottoqualificata». Perfino l’euro, l’unica vera conquista di questo decennio, è sotto attacco.

Il contagio della Grecia, sull’orlo del dissesto finanziario, rischia di estendersi ad altri anelli deboli della zona euro. Spagna e Portogallo, con deficit prossimi o superiori al dieci per cento, sono i primi della lista, e le borse di Madrid e Lisbona ieri hanno sanzionato pesantemente la debolezza delle rispettive economie nazionali e la sfiducia dei mercati sulla capacità di due governi socialisti di varare i draconiani piani di risanamento che sarebbero necessari. Anche da un punto di vista politico, l’Europa sembra irrimediabilmente avviata verso l’irrilevanza. La Conferenza mondiale sul clima di Copenhagen, che avrebbe dovuto salvare il Pianeta e dimostrare la leadership mondiale dell’Ue, si è risolta in un autentico disastro di cui nessuno vuole assumersi la responsabilità.

Il terremoto di Haiti ha evidenziato una totale incapacità di coordinamento degli aiuti europei (pure generosi), nonostante la prima decisione per creare una forza Ue di pronto intervento in caso di calamità risalga al 2003. Il nuovo ordine mondiale appare sempre più saldamente in mano al G2: Cina e Stati Uniti. E il colpo di grazia è venuto proprio da Obama, il presidente più amato dagli europei dopo Kennedy, che ha annullato la propria presenza al vertice UsaUe in programma per maggio a Madrid.A Obama dell’Europa non importa nulla, scrive con una punta di soddisfazione il Wall Street Journal. L’immagine che le istituzioni europee offrono di sé, è adeguata ai risultati. La Commissione è dimissionaria da novembre e in carica per sbrigare gli affari correnti proprio mentre l’euro si trova sotto attacco. Martedì il nuovo collegio, alla cui testa è stato confermato il portoghese Barroso, dovrebbe finalmente ottenere la fiducia del Parlamento. Ma le audizioni hanno già messo in luce il mediocre livello dei commissari designati dai governi nazionali: una, la bulgara, è stata bocciata; almeno altri quattro o cinque sono stati promossi per carità e per non aprire una nuova crisi istituzionale. Il primo gennaio, dopo nove anni di tira e molla, è finalmente entrato in vigore il Trattato di Lisbona. Ma per il momento l’unico risultato che ha prodotto è un’enorme confusione sulla ripartizione delle competenze tra presidente del Consiglio europeo, presidente della Commissione, presidenza di turno semestralee Alto rappresentante per la politica estera.

«Il minimo che si possa dire è che l’Unione non sta bene. Le occasioni mancate e i fallimenti di accumulano», scrive Guy Verhofstadt, il capo del gruppo liberale al Parlamento europeo, in una lettera inviata al presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy. «Nel 2010 - nota ancora Verhofstadt - la crescita della zona euro raggiungerà appena lo 0,9 per cento, mentre quella cinese toccherà il 10 per cento, l’indiana il 7 per cento, la brasiliana il 4,8 per cento e la statunitense il 4,4. Nel 2050 il G7 non sarà più composto da Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Germania, Italia, Giappone e Canada, bensì da Cina, India, Brasile, Russia, Messico, Indonesia e USA». Da Haiti alla Grecia, dalla mancata visita di Obama al fallimento del vertice di Copenhagen, l’analisi di Verhofstadt è impietosa. Ma le ragioni della crisi sia economica sia politica dell’Europa, secondo il capo dei liberali, sono da ricercarsi proprio nella mancata integrazione degli ultimi dieci anni. Giovedì prossimo, i leader europei si ritroveranno a Bruxelles per un vertice informale convocato in emergenza da Van Rompuy per cominciare a discutere come rimpiazzare la fallimentare strategia di Lisbona.E Verhofstadt lancia un ultimatum: «Se il prossimo 11 febbraio i Capi di Stato e di governo vogliono veramente comprendere le ragioni dei recenti fallimenti dell’Unione europea, dovranno trarre una sola conclusione: l’Europa ha bisogno di più unità e di più integrazione, altrimenti l’Unione cesserà di avere un ruolo nello scacchiere mondiale. Guardare al Trattato di Lisbona, sperando che il vento cambi, è insufficiente». L’estendersi del contagio greco, in un quadro in cui i mercati non hanno più fiducia nelle capacità dei singoli governi di raddrizzare le rispettive economie nazionali, sembra dargli ragione.

Ma le possibilità che i leader europei si fermino sull’orlo del baratro non sono molte. Il vertice di giovedì sarà, nelle intenzioni di Van Rompuy, un’occasione informale di riflessione a cui i capi di governo parteciperanno senza ministri e senza seguito. Il frutto di questo brainstorming dovrebbe prendere forma in proposte concrete sulla nuova strategia economica per il prossimo decennio al successivo vertice di marzo, quindi tradursi in un programma operativo che sarà approvato a giugno.

Nelle settimane scorse il leader spagnolo Zapatero, che esercita la presidenza di turno dell’Ue, aveva annunciato l’intenzione di proporre la creazione di un vero governo economico europeo, con la fissazione di obiettivi vincolanti e di sanzioni per chi non li rispettasse, come avviene per il Patto di Stabilità. Ma subito dalle capitali europee gli è arrivata una raffica di docce fredde. E i tedeschi sono stati i primi a non voler cedere nessun margine di sovranità in materia di politica economica. Ieri però, al termine di una riunione congiunta dei governi francese e tedesco, Sarkozy e la Merkel hanno annunciato che al prossimo vertice presenteranno una serie di proposte concrete per cercare di portare l’Europa fuori dalla crisi. Se Berlino e Parigi accogliessero davvero l’appello di Verhofstadt, l’Europa avrebbe forse un’ultima occasione per sperare.