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 2010  febbraio 06 Sabato calendario

Giacomo Brambilla, 43 anni. Di Como, titolare di nove distributori di benzina Shell, separato e padre di un bambino «che adorava», una compagna di nome Elena Puricelli, a settembre aveva prestato 200 mila euro ad Alberto Arrighi, 40 anni, sposato con Daniela e padre di due bambine di 8 e 10 anni, consulente balistico per la Procura, pieno di debiti perché gli affari della sua armeria nel centro storico andavano male

Giacomo Brambilla, 43 anni. Di Como, titolare di nove distributori di benzina Shell, separato e padre di un bambino «che adorava», una compagna di nome Elena Puricelli, a settembre aveva prestato 200 mila euro ad Alberto Arrighi, 40 anni, sposato con Daniela e padre di due bambine di 8 e 10 anni, consulente balistico per la Procura, pieno di debiti perché gli affari della sua armeria nel centro storico andavano male. Da allora però la sua presenza nella vita dell’armiere era diventata sempre più ingombrante («mi telefonava anche 10-15 volte al giorno, mi impartiva ordini, voleva spadroneggiare»), e quando s’era trovato in difficoltà economiche pure lui, tanto da dover chiudere uno dei distributori, aveva cominciato a reclamare la restituzione dei soldi. La sera di lunedì 7 febbraio i due si diedero appuntamento nell’armeria e là il Brambilla propose all’Arrighi di diventare socio nel negozio con una quota del 99 per cento. L’Arrighi gli rispose «così non rovini solo me, ma anche mia moglie e le mie figlie», l’altro dopo aver replicato «bello, di tua moglie e delle tue figlie non me ne frega niente» gli voltò le spalle e allora l’armiere, afferrata una calibro 22 dalla vetrina, gli sparò due colpi alla testa. Quindi lasciò il cadavere in negozio, partì sul Porsche Cayenne del Brambilla, lo abbandonò a un distributore della Shell, buttò via le chiavi, tornò a Como in taxi e andò al poligono a sparare. Quindi raccontò quello che aveva combinato al suocero Emanuele La Rosa, 67 anni, e portò il cadavere nella sua pizzeria «La conca d’oro», a Senna Comasco. Là con un seghetto mozzò la testa del cadavere («per rendere il cadavere irriconoscibile») e la infilò nel forno acceso. Subito dopo il suocero chiuse il forno e ci lasciò appeso un cartello per i dipendenti: «Non aprite e non toccate, deve cuocere». Sbrigata la faccenda della testa l’Arrighi si rimise in macchina e guidò per ore fino a Domodossola, dove abbandonò la salma decapitata sul greto di un torrente. Quindi tornò nel suo negozio, aprì la serranda con l’idea di lavorare come nulla fosse ma si vide piombare dentro prima la compagna del morto, che sapeva dell’appuntamento, e poi la polizia. Serata di lunedì 7 febbraio nell’armeria Arrighi in via Garibaldi, nel centro di Como.