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 2010  febbraio 05 Venerdì calendario

«DA GENTILE ALL’UTOPIA UNA STORIA DI INTUIZIONI»

La storia delle riforme scolastiche italiane? Una lunga collezione di errori ma anche di ottime intuizioni. Parola di Benedetto Vertecchi, per molti anni presidente del Centro europeo dell’educazione e ora direttore di Dipartimento e docente di Pedagogia sperimentale all’Università di Roma III.
«La prima riforma sbagliata? Sicuramente quella di Gentile del 1923. Il suo slogan, sempre citato, era "poche scuole ma buone". Un grosso errore di valutazione e di semplificazione dei suoi tempi. Negli altri Paesi europei i tassi di scolarizzazione erano molto più alti dei nostri. Ma la richiesta che veniva dalla base dei ceti impiegatizi e della piccola borghesia era altissima e anche molto variegata. Nel 1926 un deputato fascista se ne lamentò, citando Dante, e disse in aula che entrando nella scuola italiana bisognava dire "perdete ogni speranza, o voi che entrate…". E parlo di un deputato fascista». Prima tappa del cambiamento, il 1929. Vertecchi sorride: «La richiesta dal basso di cui parlavo portò alla nascita del liceo scientifico, che Gentile nel 1923 non aveva nemmeno immaginato».
Ma naturalmente il sistema non poteva reggere a lungo. Il perché non è difficile da immaginare, e qui si torna a Gentile del ”23: «La scuola era immaginata a canne d’organo. Il ginnasio inferiore e poi gli studi classici, l’istituto magistrale inferiore e quello superiore, il tecnico inferiore e quello superiore… un sistema incredibilmente conservatore». A scardinarlo pensò Giuseppe Bottai con la riforma del 1939: «Bisogna ammettere che quell’uomo, al contrario di Gentile, seppe interpretare lo spirito del suo tempo. Razionalizzò la media inferiore, modernizzò il concetto di quel troncone di istruzione che sarebbe servito per tutte le scuole superiori. Certo, con la guerra, non ebbe tempo né modo di svilupparsi». In quanto al dopoguerra, per Vertecchi esiste un momento di straordinaria qualità non solo del sistema scolastico ma dell’intera crescita culturale del nostro Paese: «La riforma della scuola media del 1962, che oggettivamente faceva perno sull’intuizione di Bottai, mandò letteralmente sui banchi tutto il nostro Paese. Contemporaneamente la Rai svolgeva un attento e consapevole compito di divulgazione popolare della cultura attraverso programmi di altissima qualità, incluso quel "Non è mai troppo tardi", citato ancora come modello in tanti Paesi. Poi la diffusione delle biblioteche e l’aumento di qualità dell’informazione giornalistica». Quale fu il merito della riforma del 1962? «Immaginare un’utopia, nel senso etimologico del termine, un luogo che non esisteva. Indicare una futura popolazione italiana molto più istruita di quella che il Paese aveva. E nel frattempo un contorno di interventi che riguardavano i genitori, addirittura i nonni: Ecco, quello sì, fu un momento straordinario e irripetibile per la nostra istruzione pubblica…».
Paolo Conti