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 2010  febbraio 05 Venerdì calendario

IL MITO TRADITO DELLA QUALITA TOTALE E LE PAURE DI CONTAGGIO IN GIAPPONE

Qualcosa di vero, probabilmente tutto, doveva pur esserci. Non avremmo altrimenti passato decenni in incondizionata ammirazione del mito, e non solo noi, automobilisti da casa-ufficio-weekend: se era il gotha dell’industria mondiale a tesserne le lodi, se per decenni non c’è stato concorrente che non spedisse i propri uomini a studiarsi «il modello», se ancora fino a pochi mesi fa non c’era big del settore, Sergio Marchionne in testa, che non s’inchinasse di fronte al loro «indiscutibile livello superiore», allora la «qualità totale» inventata da Toyota del mito aveva davvero tutto e tutto davvero misurabile. Ma servono anni e anni – dal dopoguerra, in questo caso – per costruire un impero e una reputazione. Bastano pochi mesi, a volte poche settimane, per distruggerlo. Come da incubi attuali di Akio Toyoda, nipote del fondatore, tornato a giugno ai vertici del colosso prima affidato ai manager e però già allora, primavera 2009, pericolosamente scricchiolante.

Non si sapeva ancora quanto. O meglio: adesso le autorità americane, e le compagnie d’assicurazione terrorizzate dalle class action e perciò già allo studio sulle contromisure, sospettano che qualcuno in realtà sapesse eccome. Non tanto dell’ultimo pur grave guaio, quello ai freni, scoperto in Giappone sulla nuovissima generazione del gioiello (ex?) Prius. Ma sugli otto modelli per otto milioni di veicoli richiamati nel mondo, con vendite e fabbricazione nel frattempo sospese, più di un dubbio è legittimo. L’anno di immatricolazione, in alcuni casi, parte dal 2005. Possibile sul serio che ce ne siano voluti cinque, di anni, perché che il «difetto» all’acceleratore saltasse fuori? «Difetto», poi. Tutte le case automobilistiche si ritrovano, prima o dopo, a dover richiamare anche centinaia di migliaia di questo o quel modello per «controlli precauzionali». Serissimi, a volte. Mai, però, è successo per un’intera produzione mondiale, o quasi, e su componenti vitali. In senso letterale: l’acceleratore che resta premuto (l’inchiesta è partita negli Usa da un incidente per «apparente accelerazione involontaria» che è costato la vita a un poliziotto e alla sua famiglia), ora il freno che, pare, non funziona come dovrebbe.
Ecco. Il sinonimo di «qualità totale», venerato ovunque per cinquant’anni almeno, si sta infrangendo qui. Certo qualcuno, se lo tsunami che ha investito Toyota non fosse ormai globale, potrebbe sospettare una vendetta nazionalista americana. Poco meno di due anni fa i giapponesi sorpassavano Gm nella leadership mondiale delle vendite, e per di più di lì a non molto Gm e Chrysler sarebbero fallite. Non è un regalo insperato, questo crash (non solo d’immagine) dei giapponesi che avevano colonizzato anche il mercato a stelle & strisce? Ovvio che sì. Attenzione, però. Era stato lo stesso Toyoda, in ottobre, ad ammettere: forse, abbiamo inseguito troppo i numeri e trascurato un po’ il comandamento-qualità verbo della casa; forse, siamo diventati un po’ troppo sicuri di noi stessi; forse, anziché guardare in faccia rischi e pericoli li neghiamo. Tutto questo però, diceva, l’abbiamo capito, dunque possiamo rimediare. Cosa che faremo, perchè in caso contrario il passo successivo sarebbe quello di cui parla il guru del management Jim Collins: «L’irrilevanza, se non la morte».
Reazioni di choc, quel giorno a Tokyo, tra chi era lì ad ascoltare Toyoda. Mai quanto oggi. Toyota era la bandiera hi-tech, era l’eccellenza e l’efficienza assolute, era la punta di un’intera industria che in ogni settore il mondo invidiava. Domani, forse, tutto questo tornerà. Intanto però il Giappone trema, e chi più teme sono ovviamente i «colleghi» di Toyoda. Masao Ohmichi guida la più piccola Mitsubishi e, come Honda, potrebbe sperare nell’apertura di nuovi spazi di mercato per sé. Invece è preoccupato del contagio: «Toyota è un produttore-simbolo», quel che sta succedendo «potrebbe di riflesso colpire l’immagine» del made in Japan. Non solo all’estero. L’altra sera almeno il vicepresidente Toyota, Shinichi Sasaki, si è finalmente presentato in tv a porgere pubbliche scuse a tutti i clienti. Non ha chiuso però con il classico, umile inchino del galateo nipponico: ed è a questo, raccontano a Tokyo, che alla fine i connazionali-clienti hanno fatto più caso. Sempre più preoccupati.