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 2010  febbraio 04 Giovedì calendario

E PER USCIRE DAI GUAI TONINO RISCRIVE LA STORIA

Dicevano di Berlusconi, ma il vero professionista della non-risposta resta lui, Di Pietro. Ieri non ce l’ha fatta più: ha sfanculato la collega del Tguno Ida Peritore («queste sono domande del cazzo») ma a sua difesa c’è da dire che di domande, i giornalisti, non gliene avevano mai seriamente poste per lustri interi. Quindi non c’è abituato. E c’era da divertirsi, ieri, nel leggere proprio su Il Fatto di Marco Travaglio che lamenta sempre la mancanza di domande vere, fatte da giornalisti veri una paginata intera di puro cazzeggio scambiato per intervista a Tonino: mero intrattenimento, stile ridanciano e cialtrone, domande banalizzanti e non-risposte finto-spiritose, scambi brillantoidi che alla fine lasciavano il nulla: e pensare che l’intervistatore modello «ohcome-sono-simpatico-e-irriverente», Luca Telese, aveva contattato il sottoscritto per documentarsi. Poteva evitare.
Quelle di Di Pietro sono non-risposte per imbecilli, ma evidentemente conosce i suoi elettori. Parliamo dell’uomo che non ha mai neppure concepito non tanto il dissenso, ma neanche ogni minima personalità che potesse dirsi tale: alla ricorrente insofferenza di un generale verso i colonnelli, specchi di errori e contraddizioni, nel suo caso si è sempre affiancato un fastidio verso chiunque non fosse operosa e silente fanteria di terra: altro che giornalisti e domande.
Il profilo censorio di Antonio Di Pietro fu evidente sin dall’inizio di Mani pulite. Tra il luglio e il settembre 1992, infatti, Di Pietro corresse e vistò personalmente due monografie a lui dedicate e in via di pubblicazione: lui stesso aveva suggerito i personaggi da intervistare. Questi scritti da un lato autorizzano a pensare che le informazioni contenute siano rispondenti al vero, o comunque gradite a Di Pietro, che altrimenti le avrebbe corrette o tagliate; d’altra parte vi è da ritenere che i tagli apportati da Di Pietro contenessero errori o particolari non graditi: il dato è interessante dal momento che Libero ne è venuto in possesso.
La toga depennata
I tagli fanno capire il personaggio. Luigi Moncalvo, autore della prima biografia, nel 1992 ebbe da Tonino un elenco delle persone da interpellare. Nella lista, i capifila erano assistenti, autisti e parrucchieri: ma un personaggio, in particolare, Di Pietro lo annotò e poi cancellò. Era Mario Casaccia, un magistrato romano che nell’88 aveva contattato Francesco Saverio Borrelli per fornirgli la chiave giuridica per scardinare Tangentopoli. Casaccia, occupandosi dell’inchiesta «carceri d’oro», aveva escogitato la prima ordinanza secondo la quale il denaro delle tangenti andava restituito allo Stato, seppur sborsato da privati. Era ed è la teoria base di Mani pulite: la tangente fa levitare i costi delle opere pubbliche e dunque prefigura un investimento e quindi corruzione, non più una concussione. In questo modo, codice alla mano, entravano in ballo i corrotti: i politici. Di Pietro depennò.
Poi depennò altri due nomi: quello di un colonnello della Polstrada che aveva elaborato lo schema del processo ”patenti facili” (attribuito solo a Tonino) e quello di un maresciallo, suo collaboratore a Bergamo, che lui aveva incaricato affinchè arrestasse il suo segretario, 24 ore prima di lasciare la città orobica alla volta di Milano. Questo maresciallo aveva assistito anche a un altro episodio sempre a Bergamo, a casa di Roby Facchinetti dei Pooh che avrebbe causato seri guai a Di Pietro: il pm, durante un party, aveva confidato di esser prossimo all’arresto di due famosi avvocati bergamaschi. Una vicenda che sarebbe finita in un rapporto disciplinare discusso davanti al Csm.
Neppure Isabella Ferrara, prima moglie di Tonino, compariva in quell’elenco. Moncalvo la contattò lo stesso, ma decise di ometterne i racconti. Roba penosa sui rapporti, pessimi, tra suo figlio Cristiano e la matrigna Susanna Mazzoleni. Tralasciamo. La Ferrara diede a Moncalvo mezza valangata di foto del Tonino prima maniera, ma il magistrato venne a saperlo e furono guai. Si vergognava del suo profilo più contadinesco ha raccontato Moncalvo. Il quale finì il suo libro e nel luglio 1992 si ritrovò nella casa milanese di Tonino, quella della Cariplo vicino alla Scala. C’erano, oltre al magistrato, il fido assistente Rocco Stragapede e l’avvocato Giuseppe Lucibello. Tonino dava un’ultima occhiata al libro e tagliava, tagliava. La calligrafia è la sua.
Passato scomodo
Tolse, per cominciare, ogni riferimento a quando lo bocciarono come magistrato. Via anche l’episodio di Michele Viscardi, terrorista di Prima Linea accusato d’aver ammazzato il giudice Alessandrini: Tonino non voleva che fosse raccontata la propria frequentazione con Anna Bionda, fidanzata di Viscardi. Via tutta una parte sul procuratore generale di Milano Adolfo Beria di Argentine, ad esempio la faccenda è Moncalvo a raccontarla dei controlli che Tonino faceva nei cestini dell’allora procuratore capo, complice un addetto alle pulizie. Tolse la parte riguardante i primi mediocri rapporti coi pm Piercamillo Davigo e Armando Spataro, ed eliminò completamente la parte dove l’avvocato Lucibello raccontava di quando divenne difensore, per l’inchiesta Patenti facili condotta da Di Pietro, di larghissima parte degli imputati.
L’intero capitolo sull’informatizzazione del palazzo di giustizia milanese quello per cui Tonino sarà inquisito a Brescia venne poi decapitato. Tonino tagliò e ritagliò. Ridimensionò anche tutta la parte dedicata al processo cosiddetto CoDeMi, quello al costruttore Bruno De Mico, indi sorvolò su uno degli interrogativi più inquietanti di quell’inchiesta: perchè certe sigle non vennero mai decrittate?
Il giochino fece epoca: «Ni5ZI» era Franco Nicolazzi, «Co.De.Mi» era De Mico, eccetera. Altre sigle, tuttavia, rimasero indecifrate: per esempio «Sa2Ch» (Mario Chiesa), ”Na15De” (Democrazia Cristiana), «Ti29Sin» (sindacati) e «Unità» (il quotidiano del Pds).
Tonino e le donne
Ecco un’altra parte tagliata da Di Pietro: «Il processo De Mico infatti è stato un vero processo politico, ma Di Pietro non lo ha creato del tutto, se lo è trovato sul tavolo. un po’ strano che ciò sia accaduto anche perchè abbiamo visto che Di Pietro dice che non gli davano molto da fare. Il successo raggiunto coi computer e con l’inchiesta sulle patenti era ancora insufficiente, diciamo così, per fargli meritare l’onore di un simile processo delicato. Un processo, guarda caso, dove non ci furono intoppi, e dove tutto filò liscio e in cui la toga e l’ermellino che di norma metteva ostacoli o rallentamenti e che lanciava diffide ai sostituti procuratori in quell’occasione non fece alcun tipo di pressione. Commenta l’avvocato Lucibello: «Probabilmente accadde tutto questo perchè De Mico, consapevole o inconsapevole, faceva molto comodo a Craxi. C’era la necessità di distruggere la sinistra socialista e anche il Psdi, l’occasione era ghiotta per rovinare la reputazione di Nicolazzi, di Rocco Trane e di Gianstefano Milani, il leader della sinistra Psi sulla piazza milanese». E per un processo del genere, stile Prima Repubblica, avevano scelto Antonio Di Pietro. Il Di Pietro che di lì a poco avrebbe ottenuto la casa di via Andegari. Dai socialisti. Di Pietro che li frequentava, i socialisti. Che frequentava i democristiani.
Il libro di Moncalvo era più che autorizzato da Tonino, che come visto fece i tagli, diede suggerimenti, fotografie, addirittura impose una dedica: «Dedicato a Peppino, Anna, Anna jr, ...» e vario presepe. Tuttavia qualche guaio, dopo la pubblicazione, al magistrato lo provocò. Specialmente il capitolo dedicato a Tonino e le donne. Così Di Pietro fece diramare un comunicato dove specificava che no, quella biografia non era autorizzata. Moncalvo se la prese a morte.
Fuori di casa
Il bello è che con la biografia successiva capiterà la stessa cosa, anzi peggio. Il cronista de Il Giorno Paolo Colonnello, oggi alla Stampa, aveva scritto assieme a tre colleghi un’altra biografia a dir poco elogiativa. Colonnello e Di Pietro peraltro si conoscevano da anni e si frequentavano. Comunque fosse, il libro siamo sempre nell’estate ”92 venne fatto leggere e correggere al magistrato. Sembrava tutto a posto quando all’improvviso Tullio Pironti, l’editore, ricevette una furibonda telefonata di Tonino e addirittura una raccomandata datata 5 ottobre: il testo andava stampato con ulteriori correzioni. Pironti corresse, ma non bastò. Il libro uscì e il 6 novembre altra raccomadata di Tonino versus Pironti: nel testo recitava sono contenute «palesi falsità, ingiustificate e diffamatorie valutazioni nei confronti di altre persone» il che costituiva «un’illecita intromissione nella mia vita sentimentale-familiare». Ma come, non l’aveva letto e corretto lui?
Leggenda vuole o perlomeno, così scrisse Riccardo Bocca su Cuore del 17 giugno 1995 che Di Pietro dopo l’uscita del libro sia stato sbattuto fuori di casa per venti giorni da Susanna Mazzoleni, indi abbia dovuto ripiegare sulla casetta-Cariplo abitata dal figlio Cristiano.
Ma vediamo qualcuno dei tagli apportati da Tonino. A parte un paio di sciocchezzuole (un po’ di zucchero versato nella scollatura di una cameriera del bar davanti al tribunale, e un apprezzamento un pizzico pesante sulla moglie dell’indagato Roberto Mongini) il grosso dei tagli riguarda ancora lui, l’avvocato Lucibello. Tutti i passaggi dove era scritto «racconta Lucibello» diventò «gli amici dicono», «un amico intimo dice». Riga rossa anche in tutte le parti dove si racconta che Lucibello era il miglior amico del magistrato, che erano stati in vacanza assieme senza le rispettive donne. Tonino fece aggiungere che al limite «a furia di averlo come controparte nei processi, gli è diventato amico». Par di capire che due cose temesse Tonino: di palesare troppo i suoi variegati rapporti con Lucibello e di rovinare quelli con quel peperino di Susanna. Probabilmente aveva buone ragioni in entrambi i casi.
Comprensibile, dunque, che abbia tagliato un lungo passaggio dove l’ex moglie, Isabella Ferrara, sparava sulla stessa Susanna. Ma è un passaggio che, per decenza, omettiamo anche noi.

Filippo Facci, Libero 4/2/2010