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 2010  ottobre 03 Domenica calendario

DIECI DOMANDE AL LEADER DELL’ITALIA DEI VALORI

Il Corriere della Sera, gira e rigira, ha pubblicato la famosa foto della famosa cena che mise insieme Antonio Di Pietro, il funzionario Sisde Bruno Contrada e alcuni funzionari dei servizi segreti, tra i quali uno legato alla Cia: famosa la foto e la cena anche perché ne aveva parlato per primo direttamente l’ex magistrato, poco tempo fa, nel paventare manovre ai suoi danni. «Vogliono far credere», aveva scritto sul suo blog, «che io sia stato al soldo dei servizi segreti deviati e della Cia per abbattere la Prima Repubblica, perché così volevano gli americani e la mafia». La foto, anzi le foto, erano state descritte minuziosamente da Libero del 16 gennaio scorso: tavolata spartana, festoni di Natale, data del 15 dicembre (giorno del primo avviso di garanzia a Bettino Craxi) più altri particolari cui ora se ne aggiungono di nuovi: per esempio che il convivio ebbe luogo al Comando Legione dei carabinieri di via in Selci (Roma) e poi che tra i presenti c’erano personaggi quantomeno interessanti. Uno è ovviamente Contrada, personaggio che già allora, da anni, era considerato infrequentabile dagli ambienti dell’antimafia e in particolare da Paolo Borsellino, trucidato cinque mesi prima in via D’Amelio; la circostanza diventa ancor più inquietante se consideriamo che la Procura di Palermo, retta da Giancarlo Caselli, arrestò Bruno Contrada solamente nove giorni dopo quella cena galeotta, cioè la notte di Natale. Da qui la curiosità più che legittima: che ci faceva Di Pietro a cena con Contrada e tutta quella schiera di intelligence? Perché non ne ha mai parlato? vero, in sostanza, che «alcune foto che era stato ordinato di distruggere inquietano Antonio Di Pietro», come ha scritto il Corriere?
Un altro commensale interessante è il maggiore Francesco D’Agostino, ombra di Di Pietro in tutti gli anni successivi: passerà alla cronaca per aver ottenuto un «prestito» di settecento milioni dal banchiere Pierfrancesco Pacini Battaglia e per aver preso parte nel 1995, sempre con Di Pietro e dopo aver indagato sulla cooperazione, alla Commissione bicamerale d’inchiesta sulla Cooperazione: gettone di presenza di cinque milioni il mese ciascuno. Ma gli amanti delle dietrologie perderanno letteralmente la testa per via della presenza, alla cena, dell’«americano» Rocco Mario Modiati, responsabile della Kroll, la più grande agenzia d’investigazione d’affari del mondo. La cosiddetta «Cia di Wall Street», com’è pure chiamata, già ai tempi era indiziata di una delle leggende nere di Mani pulite: l’aver avuto un ruolo attivo nello squadernare i misteri di Tangentopoli con tutti i mezzi possibili, leciti e meno: da qui – si narra l’incredibile serie di perquisizioni non ufficiali, furti misteriosi e microspie non autorizzate che furono ritrovate nel bel mezzo della fase più convulsa dell’inchiesta, tra il ”92 e il ”93. La leggenda si nutre anche di quanto disse il capo della Cia James Woolsey (Ansa, 3 febbraio 1993) davanti alla commissione al senato americano: «La Cia è favorevole allo spionaggio industriale. L’ultima novità dell’Amministrazione Clinton darà i brividi a non poche aziende europee e giapponesi: d’ora in avanti recitava il dispaccio le loro concorrenti americane potrebbero contare niente di meno che sull’aiuto della Cia per condurre la loro normale attività d’affari. Woolsey ha dichiarato di non essere contrario a fornire dossier top secret su attività industriali e commerciali di aziende in paesi stranieri». Esaurita la guerra fredda, l’agenzia Kroll sbarcò a Milano proprio agli esordi di Mani pulite, e gli americani raccolsero informazioni sul sistema di finanziamento dei partiti: non accadde peraltro solo in Italia, ma, dopo che la Thatcher aveva perso la battaglia sulla moneta unica, gli scandali fioccarono anche in Spagna, Francia e Germania. Sin qui la leggenda, cui non è necessario credere per motivare tuttavia una domanda semplice: che ci faceva Di Pietro a cena col responsabile della Kroll, oltreché coi vertici dei servizi segreti italiani? La risposta in parte è già nota: Modiati, il responsabile della Kroll, era volato direttamente da Washington per consegnare a Di Pietro una targa premio appunto della «Kroll Secret Service»: ma questo non fa che rilegittimare ogni curiosità a proposito. Perché quell’omaggio nell’ombra di una caserma? E se è vero che Di Pietro era venuto a Roma per un convegno assieme al collega Gherardo Colombo, perché quest’ultimo non partecipò alla cena? E perché di questa cena, in generale, Di Pietro non ha mai parlato?
Sono solo domande, direbbero a Repubblica. E se non fosse che di mezzo ci sono sempre loro i servizi segreti sarebbero anche meno importanti di altre domande già poste da Libero nelle scorse settimane. Per esempio: con che modalità Di Pietro lavorò per un’intelligence antiterrorismo, com’è in parte dimostrato? vero che lavorò per il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa? vero che lavorò per il superprocuratore Domenico Sica? Può spiegare come mai nel 1984, pur risultando un magistrato, partì per i tropici e stese un rapporto indirizzato a Domenico Sica e riguardante il ricercato internazionale Francesco Pazienza? Come mai le informazioni da lui raccolte giunsero al Sismi e fecero scattare altre azioni del Sismi? Come mai, nella sentenza del processo sul Banco ambrosiano, le informative di Di Pietro vengono definite «irrituali»? E perché Di Pietro non ne parlò al suo procuratore capo di Bergamo, contravvenendo alla legge?
Queste domande basterebbero, visto che poggiano su basi dimostrate. Per porsele non è necessario sposare anche le tesi confuse e complotarde quelle sì che aleggiano nel libro da cui il Corriere ha tratto le foto della cena con Bruno Contrada: il titolo è ”Il colpo allo Stato”, un volume in preparazione per Koinè (Roma) ad opera di Mario Di Domenico, personaggio che a sua volta va inquadrato. Di Domenico è un avvocato abruzzese che nel 2000 rifondò l’Italia dei valori dopo averne scritto lo statuto e prima ovviamente di litigare con Di Pietro. Oggetto della disputa, come sempre, una questione di soldi: Di Domenico aveva preso a sospettare che Di Pietro distraesse il denaro del partito per fini personali, e su questa base, successivamente, il legale presenterà anche un esposto per falso e truffa e appropriazione indebita, regolarmente archiviato. Di Pietro lo sbattè fuori dall’Italia dei valori nel 2004 e lo sostituì con sua moglie Susanna Mazzoleni: in pratica divenne il partito che c’è adesso.
Per il resto, a parte le foto che restano l’unico dato interessante, il resto del libro e dell’incolpevole pezzo del Corriere di ieri poggia su errori anche incresciosi nel suo tentativo di sondare i misteri legati alla strage di via d’Amelio. « stato Di Pietro», si legge, «a rivelare ad Annozero di essere stato informato, alcuni giorni prima della strage, di una relazione dei Ros su un attentato preparato contro di lui e contro Paolo Borsellino». Ma non è vero. Il rapporto dei Ros, datato 16 luglio 1992 e dove si indicavano Borsellino e Di Pietro tra gli obiettivi della mafia, fu pubblicato dal Secolo XIX il 23 luglio e poi su tutti gli altri giornali. Scrive ancora il Corriere: «A Borsellino l’informativa fu inviata per posta e mai recapitata. Mentre a Di Pietro fu consegnato un passaporto con nome di copertura per rifuguarsi all’estero... eppure questa storia è venuta fuori a 17 anni di distanza». Ma è falso anche questo. La faccenda del passaporto fu successiva all’attentato di via D’Amelio: il capo della Polizia Arturo Parisi, infatti, allertò il vicequestore di Bergamo che il 4 agosto predispose un passaporto di copertura per Di Pietro e compagna il nome falso scelto per Tonino fu Marco Canale dopodiché il pm fece un giro incredibile per 23 ore: partì da Francoforte, fece scalo a Copenaghen, passò anche da Caracas e infine eccolo a San Josè, Costarica. Questo, almeno, non è un mistero. Ma gli altri misteri bastano e avanzano. Di Pietro, c’è da giurarci, non farà che complicarli.