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 2010  febbraio 04 Giovedì calendario

Mallya Vijay

• Bantwal (India) 18 dicembre 1955. Industriale • «[...] moderno sultano [...] fisico da Kabir Bedi con una barba grigiastra (come l’idolo di Bollywood che fu Sandokan) [...] la sua compagnia aerea, la kingfisher Airlines, è stata la prima società privata indiana ad aver comprato una squadra di A-380 nuovi di zecca (’il mio sogno? Imparare a guidare uno. E lo farò”). [...] padrone di United Breweries (la terza potenza nel mondo dei liquori dietro Pernod e Diageo), di Kingfisher Airlines e di decine di altre imprese, dall’alta tecnologia ai medicinali, è noto in patria con il nome di ”King of Good Times” [...] tutto [...] è cominciato da una bottiglia di whiskey. Già, perché tutto nasce dall’intuizione del papà di Mallya, Vittal figlio di un medico, una vecchia volpe del business e della politica. Anzi, più che di intuizione si ha da parlare di rischio, di scommessa politica o prima ancora culturale. A metà anni Settanta, infatti, prese forza in India un movimento che predicava la necessità di tornare alle origini, al sogno del Mahatma Gandhi che voleva una nazione senza tabacco o alcolici. Nel Gujarat, lo stato del Mahatma venne introdotto il proibizionismo (ancor oggi in vigore). E si fece strada l’ipotesi di imporre il divieto in tutta la Confederazione. Fu allora che il papà di Vijay fece il pieno di aziende di liquori. Suvvia, era il suo ragionamento, l’India restava troppo vicina all’Inghilterra e ai distillati delle lingue di Scozia che si spingono tra i flutti del Mare del Nord. Ebbe ragione lui: cinque anni dopo il divieto decadde. Era prevedibile? Facile dirlo oggi. Ma allora, negli stessi anni, cresceva ad occidente dell’India, la marea anti-occidentale; l’Iran di Khomeini bandiva minigonne e whiskey. Non era detto che l’India avrebbe scelto per le soap opera di Bollywood. E nessuno, probabilmente, avrebbe pensato allora che pochi anni dopo, nel 1996, la Corte Suprema di New Delhi dichiarasse addirittura l’incostituzionalità della norma che vietava di servire alcolici alle donne nei locali pubblici. Una rivoluzione vera, perché da quel momento nulla fu più come prima: basta con le serate di soli uomini. Si spalancavano le porte ai Bollywood party. Ma Vittal non c’era più. Anzi, il pioniere del whiskey con ghiaccio non ebbe in pratica nemmeno il tempo di assaggiare il sapore del successo. Nel 1983, un anno dopo la decadenza del proibizionismo, scomparve all’improvviso per un colpo al cuore. E la premiata ditta UB passò nelle mani di Vijay, playboy impenitente e irresponsabile di 28 anni su cui pochi avrebbero scommesso una rupia bucata . Nemmeno il padre. ”Quando sono entrato in azienda sotto papà ebbi un’idea – ricorda lui stesso – avevo letto la storia della Kingfisher, un marchio di birra che avevamo trovato in un’azienda acquisita. Era fantastico: tutto era cominciato nel 1865, ai tempi della regina Vittoria. Chiesi 12 mila sterline per rilanciare quel brand. E mio padre mi mise alla porta”. Oggi la Kingfisher, presente in 32 paesi, è di gran lunga la birra più venduta in India (il 60 per cento del mercato) ma anche in tutti i ristoranti indiani del mondo. Una rivincita cominciata a Bangalore: perché è lì, nella terra del software, che Vijay ha deciso di cominciare a modo suo. No, non furono facili gli esordi per questo golden boy che aveva fatto gavetta, si fa per dire, alla Hoechst americana ed alla Jenson & Nicholson a Londra. Nel 1985, tanto per cominciare, finì nel mirino del fisco indiano. L’indagine finì in nulla ma, tanto per non sbagliare, Mallya emigrò in Inghilterra per tre anni buoni. Non è all’altezza, dicevano nel clan di famiglia. Ma nel 1988, tanto per dimostrare di avere gli attributi, Mallya si lanciò, primo indiano nella storia, in una grande acquisizione a debito su scala mondiale, comprando un’azienda chimica, la Berger Paints. Fu un trionfo, una marcia attraverso cinque offerte in Borsa, da Singapore a Nairobi alla Giamaica e al listino di Abidjian. Poi un’acquisizione negli Usa e la quotazione di un’azienda hitech al Nasdaq, quasi agli inizi. Un bel battesimo del fuoco. ”Dopo che ho guadagnato i miei primi 100 milioni di dollari – dice – ho spiegato in casa che, da quel momento, nessuno avrebbe avuto più il diritto di ridire nulla sulle mie spese. Sono nato con il cucchiaino d’argento e non me ne vergogno. Ho dovuto dimostrare di meritarmi i soldi che ho. E da quel momento faccio quel che diavolo voglio”. [...] nei liquori, a differenza del padre, ha puntato tutto sulla gestione dei manager. E quando si è trattato di spazzar via la concorrenza, ha usato l’arma dell’opa aggressiva per abbattere Shaw wallace & Co. e dar vita ad un gruppo con 140 marchi, di cui cinque capaci di vendere più di un milione di bottiglie all’anno. I confini della giungla ”asfalto di Bombay o New Delhi sono troppo stretti per uno così che punta alla conquista dei mercati che contano. [...] miscela vivente del capitalismo asiatico, un po’ Briatore, molto Branson e una spruzzata della sfrontatezza di Donald Trump, non dimentica di essere indiano. Mai cercarlo per affari durante Rahukalam, cioè le ore della giornata in cui un qualsiasi indù che si rispetti non tratta affari, pena la jella più nera. E prima di sfrecciare nei cieli, aerei ed equipaggi della Kingfisher Airlines vanno a farsi benedire nel tempio di Tirupati, un tempio indù nel cuore dell’India più sacra, nel profondo sud. Con certe cose non si scherza» (’Il Foglio” 16/6/2007) • «Ti avvicini a Vijay Mallya, e la prima cosa che noti è l’alito allo champagne. La seconda sono i gioielli, tanti, grossi, ovunque, pure sul telefonino. La terza è il figlio, Sidhartha, giovanissimo, già identico a lui, solo più nervoso. Ti avvicini a Vijay Mallya e di colpo non sei più in Formula 1 ma a Bollywood, dove un bravo scenografo ha comprato un furgone, lo ha dipinto di blu brillante e lo ha trasformato in un motorhome della Force India. [...] potentissimo martin pescatore della Kingfisher, la compagnia aerea indiana [...]» (Marco Mensurati, ”la Repubblica” 1/9/2009).