lettera a Sergio Romano, Corriere della Sera 04/02/2010, 4 febbraio 2010
DILEMMA DEI RE IN GUERRA: MEGLIO FUGGIRE O RESTARE? LETTERA A SERGIO ROMANO
A mio parere Vittorio Emanuele III ha affrontato più pericoli nel ”43 rifugiandosi a Bari che partecipando alla vita del fronte che durante la guerra ”15-’18. Fu in entrambi i casi sprezzante del pericolo. L’abbandono a se stesso dell’esercito a seguito dell’armistizio (1943), è invece dovuto, più che all’inefficienza dei suoi collaboratori, alla situazione: dare disposizioni avrebbe comportato l’inevitabile preavvertimento dei nazisti con esiti probabilmente peggiori. L’opinione pubblica belga, quando i nazisti invasero il Paese, ha vituperato il re perché non è fuggito abbandonando il suo popolo, e si è lasciato catturare. Quella olandese ha osannato la sua regina perché è fuggita a Londra. Vittorio Emanuele III si è comportato come la regina olandese, assicurando anch’egli con la sua drammatica fuga la continuità del governo. Manipolata per vari motivi, la nostra opinione pubblica è stata a dir poco irriconoscente.
Gaetano Forni
gaetano.forni@fastwebnet.it
Caro Forni, I Paesi Bassi e il Belgio erano entrambi neutrali. I primi avevano un esercito modesto, male equipaggiato, del tutto inadatto a sostenere l’attacco congiunto della Wehrmacht e della Luftwaffe. Quando i tedeschi attraversarono la frontiera, il 10 maggio 1940, le forze armate del piccolo regno resistettero per una sola giornata. Quando gli aerei tedeschi, il 13 maggio, distrussero il centro di Rotterdam, la regina Guglielmina si preparò alla partenza e salpò per la Gran Bretagna il giorno dopo con il suo governo.
Il Belgio era, teoricamente, meglio attrezzato per resistere all’invasione. Ma era neutrale nel 1936 e, per certi aspetti, nella situazione della Svizzera, vale a dire di un Paese che, se attaccato, avrebbe dovuto difendersi con le proprie forze, senza piani di battaglia concordati con i suoi possibili amici. Non aveva tuttavia le condizioni geografiche della Svizzera e la sua resistenza nel 1940 durò soltanto sino al 26 maggio. Re Leopoldo chiese aiuto agli inglesi, ma ricevette per tutta risposta un messaggio di Churchill che gli chiedeva di resistere per impedire che l’avanzata della Wehrmacht tagliasse al corpo di spedizione britannico in Francia la strada di Dunquerque. In altre parole il Belgio chiedeva aiuto e la Gran Bretagna gli chiedeva di essere aiutata a fuggire. Non è difficile immaginare la reazione di Leopoldo. Avrebbe potuto accettare l’invito del governo britannico e trasferirsi a Londra, come Guglielmina, ma decise che il suo dovere era di stare «con l’esercito e con il popolo». Liddel Hart, storico britannico della Seconda guerra mondiale, riconosce che la sua decisione, in quelle circostanze, fu «onorevole» e che le critiche mosse da inglesi e francesi non erano giustificate.
Alla fine della guerra gli olandesi e i belgi giudicarono i loro sovrani diversamente. I primi riconobbero a Guglielmina il merito di avere scelto le democrazie, vale a dire la parte vincente del conflitto; i secondi rimproverarono a Leopoldo di avere legittimato con la sua presenza l’occupazione tedesca e lo costrinsero ad abdicare in favore di Baldovino. Fu l’esito della guerra, insomma, che determinò la diversa sorte dei due sovrani. Quanto a Vittorio Emanuele, caro Forni, credo che la sua scelta fosse politicamente giusta. Ma la sua storia precedente pesò sul giudizio degli italiani e la sua tardiva abdicazione, nel 1944, non servì a ristabilire le fortune della dinastia.