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 2010  febbraio 04 Giovedì calendario

Giallo sui progetti petroliferi l’Eni: rispettiamo impegni già presi - ROMA - Più che mettere in imbarazzo gli ayatollah, l’uscita israeliana di Silvio Berlusconi, sulla necessità di rompere con l’Iran, sembra aver creato scompiglio in patria

Giallo sui progetti petroliferi l’Eni: rispettiamo impegni già presi - ROMA - Più che mettere in imbarazzo gli ayatollah, l’uscita israeliana di Silvio Berlusconi, sulla necessità di rompere con l’Iran, sembra aver creato scompiglio in patria. Il primo a ritrovarsi spiazzato è il ministro degli Esteri: appena pochi giorni fa Franco Frattini aveva invitato l’Europa a «non chiudere i ponti con l’Iran» e a «evitare sanzioni che possano offendere l’orgoglio nazionale degli iraniani». Per la Farnesina il rapporto con la Repubblica islamica è prezioso: perché dà all’Italia un peso diplomatico in ogni tipo di trattativa che coinvolge Teheran, e poi perché da quei canali aperti dipende in parte anche la sicurezza dei militari italiani schierati a Herat, nella zona dell’Afghanistan più esposta all’influenza dei religiosi sciiti d’oltre confine. Ma inevitabilmente l’annuncio di un ridimensionamento di quei rapporti tocca anche i protagonisti economici, in primo luogo l’Eni. L’azienda a partecipazione statale ieri si è limitata a ricordare che «al momento ha in corso in Iran attività legate ai contratti firmati nel 2000 e nel 2001. Non sono stati firmati nuovi contratti». Silenzio assoluto sulle dichiarazioni del viceministro iraniano del petrolio, Seifollah Jashnsaz, il quale con l’agenzia Irna aveva parlato di negoziati in corso con la compagnia italiana sullo sviluppo della terza fase dello sviluppo del giacimento di Darquain. Il premier aveva parlato espressamente di rinuncia alla possibilità di sviluppare «la terza fase di un importante giacimento». L’impegno dell’azienda italiana è tutt’altro che trascurabile. Il petrolio iraniano estratto in quota Eni è pari a 28 mila barili al giorno: in percentuale è una cifra modesta (circa l’1,5 per cento dell’intera produzione dell’ente italiano, pari a 1.787 mila barili), ma gli esperti sottolineano che con il petrolio in diminuzione ogni ritocco alle quote attuali, anche minimo, rischia di mettere in serie difficoltà il bilancio energetico dei paesi sviluppati. In più, l’Iran può contare su riserve ancora da sfruttare fra le più ricche del mondo: annunciare in anticipo la rinuncia a quei giacimenti equivale a ipotecare sin d’ora una scelta futura, legata a esigenze tutte da valutare. L’Eni è presente in Iran da oltre cinquant’anni. La produzione è garantita principalmente dai due giacimenti South Pars 4&5, nell’ offshore del Golfo Persico, e Darquain nell’ onshore. Da questi due giacimenti nel 2008 è stato estratto il 91 per cento della produzione iraniana dell’Eni. Un’altra partecipazione minore della compagnia italiana è nel giacimento di Dorood. Ma la presenza delle aziende italiane nel paese degli ayatollah non si limita al colosso dell’energia: in Iran operano gruppi industriali come Tecnimont, Edison, Ansaldo, Fiat, Danieli, oltre a numerose compagnie medio-grandi. La presenza è talmente diffusa - si parla di un migliaio di aziende - che qualche settimana fa il Wall Street Journal ha parlato apertamente di "Asse Roma-Teheran", sottolineando che anche i militari iraniani si servono di tecnologia italiana. il caso dei satelliti del progetto Mesbah, destinati formalmente alle comunicazioni ma facilmente convertibili per scopi bellici, fra cui per esempio un eventuale puntamento di missili nucleari. Il giornale economico contesta anche la fornitura di camion e barche, perché già riconvertiti per altri utilizzi. I camion gru dell’Iveco, per esempio, sono utilizzati per le impiccagioni. Se il disimpegno dall’Iran sia un programma preciso o solo un progetto ancora da definire se lo è chiesto anche Alessandro Maran, vicepresidente del gruppo democratico alla Camera, che ha chiesto al premier di chiarire le sue dichiarazioni. «Purtroppo è una vecchia abitudine di Berlusconi», sottolinea Maran, «dice sempre quello che gli interlocutori si aspettano di sentire».