Francesco La Licata, La Stampa 2/2/2010, pagina 1, 2 febbraio 2010
CIANCIMINO: "SOLDI DI COSA NOSTRA IN MILANO 2"
Una lunga cavalcata attraverso trent’anni di mafia, affari e congiure, un racconto lungo sei ore - sospeso per spossatezza del narratore -, appassionante come la trama di un Goodfellas della politica: i boss, i protagonisti di una stagione vergognosa, sindaci e amministratori disinvoltamente abbracciati ai rozzi padroni della città. I latitanti, Luciano Liggio, Totò Riina, Massimo Cannella, in casa di Vito Ciancimino, i palazzinari che investono al Nord, i mafiosi impegnati con don Vito a spostare soldi all’estero e sull’operazione «Milano 2» della metà degli Anni 70. E i misteri grandi: Ustica, il caso Moro, fino alla strage di Capaci.
Ibuchi neri che coprono la sagoma dell’uomo che - a sentire il teste protetto Massimo Ciancimino, il figlio piccolo di don Vito - sembra essere stato il consigliere fisso degli ultimi trent’anni: il signor Franco, uomo dei servizi e attento osservatore delle vicende politico-finanziarie spesso orientate attraverso la sapiente utilizzazione dell’elemento esterno Cosa nostra. E poi lui, il signor Lo Verde/Provenzano discreto consigliori di Vito Ciancimino, ogni volta che dismette gli abiti di politico per indossare quelli di dispensatore di affari e procacciatore di ghiotte opportunità.
Questo il grande film messo in scena da Massimo Ciancimino, ieri, nell’aula che fu palcoscenico del maxiprocesso alla mafia di Falcone e Borsellino, nel corso di una deposizione fiume aggiornata a stamattina e già prossima a una terza replica, prevista per l’otto febbraio.
Ciancimino jr, chiamato a deporre al processo che vede imputati il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu, accusati di aver favorito la latitanza di Bernardo Provenzano, ha esordito forte di due recentissimi «successi»: l’accredito di «alta attendibilità» rilasciatogli dal tribunale del processo al prof. Mercadante e lo status di «imputato in procedimento probatoriamente collegato» che esclude quello di indagato per mafia, recentemente rimbalzato sui mezzi d’informazione.
Calmo, freddo, persino calcolatore nella ricerca della lingua burocratica-giudiziaria che risultasse comprensibile alla Corte, Ciancimino ha cominciato con la descrizione del rapporto del padre con Bernardo Provenzano. «Avevo sei o sette anni e già lo conoscevo perché frequentava casa nostra, come Lo Verde. Scoprirò in seguito la sua identità, sfogliando una rivista dal barbiere che pubblicava la ricostruzione grafica del volto del grande latitante».
«Chiesi lumi a mio padre che non disse né sì né no. Disse semplicemente che dovevo stare molto attento perché da certe persone non avrebbe potuto difendermi neanche lui». Ecco, insieme con l’amico Provenzano quasi contemporaneamente irrompe, nella storia di don Vito, l’amico Franco (o Carlo, dice Massimo: a mio padre l’ho sentito chiamare così): un «professionista» lasciatogli in eredità dalla vecchia amicizia col ministro dell’Interno Restivo.
Un personaggio inquietante che consente a don Vito di comunicare coi familiari, attraverso il proprio cellulare, anche durante i sette anni di detenzione a Rebibbia, dal ”92 al ”99, e di opporre adeguato contrasto all’operato dei magistrati che lo attaccano sul fronte del patrimonio.
Una figura protettiva, Franco, sempre presente nei momenti «topici» delle vicende che coinvolgono l’ex sindaco Vito. Come nel caso dell’incidente aereo di Ustica (1980), quando Franco gli assegna il ruolo di «controllore» perché non arrivi all’opinione pubblica e ai mezzi d’informazione la «verità» su quell’aereo «abbattuto in un’azione di guerra da una potenza straniera».
Dice Massimo: «Fu il ministro Attilio Ruffini ad allertarlo». E poi il «caso Moro»: «Una parte della Dc, attraverso Lima e i cugini Salvo, aveva chiesto un intervento di Cosa nostra per cercare la liberazione dello statista, prigioniero delle Br. Successivamente mio padre fu contattato, invece, per trasmettere a Cosa nostra un contrordine, a quanto pare partito direttamente dal segretario Zaccagnini. In sostanza gli fu detto di fermare ogni interessamento, di non contattare nessuno». Ordine effettivamente trasmesso attraverso la mobilitazione di Bernardo Provenzano.
Che tempi, i Settanta e gli Ottanta. «La paura dell’avvento del comunismo - dice Ciancimino jr - convinse mio padre a cercare sbocchi in altri lidi. Si consigliò con amici costruttori, in particolare Caltagirone e Ciarrapico, e decise prima di acquistare immobili a Montreal. Di queste operazioni c’è ampia traccia nelle indagini a suo tempo condotte dal giudice istruttore Giovanni Falcone».
Poi, seguendo, la via intrapresa anche «dai ”gemelli" - così mio padre chiamava i costruttori Bonura e Buscemi - si convinse a prendere parte alla cordata di finanziatori che diedero vita ad una grande operazione immobiliare detta ”Milano 2", alla periferia del capoluogo lombardo».
Come pezza d’appoggio Ciancimino jr ha offerto ai magistrati un appunto del padre dove compaiono i nomi di Buscemi e Dell’Utri: «Sono le persone che mio padre mi indicò come protagonisti di quell’iniziativa milanese».
La ricostruzione tocca anche alcune vicende giudiziarie. «Nel 1990, grazie a sue amicizie che aveva in Cassazione, mio padre riuscì a fare annullare l’ordine di custodia del gip Grillo per la vicenda mafia e appalti», ricorda Ciancimino, precisando che del caso si occupò la prima sezione penale presieduta da Corrado Carnevale. Mentre «il procuratore della Repubblica di Palermo Giammanco vanificò il rapporto dei Ros su mafia e appalti».
E, infine, la famigerata trattativa del 1992, dopo la strage di Capaci. Ciancimino conferma ogni snodo di quella vicenda: i contatti coi carabinieri del Ros, Mori e De Donno, che lo avvicinano per convincerlo a farli parlare col padre. Dice che i militari riferirono di essere in qualche modo accreditati dalla copertura dei ministri Mancino e Rognoni e che successivamente il padre chiese anche l’intervento di Luciano Violante, in quanto «quello che dà più garanzie perché in grado di controllare l’intera magistratura».
La riflessione di don Vito, che accetta solo dopo aver «sentito» il signor Franco e Lo Verde/Provenzano: «Entrambi lo autorizzarono a trattare». E poi l’arrivo del «papello» con le richieste di Riina che don Vito bolla come «irricevibili», confortato da Lo Verde che, tuttavia, lo induce a proseguire nella mediazione.
Pausa che produce un «contropapello» con alcune ipotesi da don Vito giudicate «abbordabili». Documento, secondo Massimo, approvato sia dal signor Franco che da Provenzano.
Ma i due, si conoscevano? Ciancimino jr ha risposto con un aneddoto: «Al funerale di mio padre, nel 2002, il signor Franco venne al cimitero dei Cappuccini e mi consegnò un biglietto di condoglianze. Proveniva da Bernardo Provenzano». Oggi il seguito.
Francesco La Licata