GUIDO RAMPOLDI, la Repubblica 2/2/2010, 2 febbraio 2010
«TRATTARE CON I TALIBAN E POSSIBILE» LA PACE AFGANA VISTA DAL PAKISTAN - DAL NOSTRO INVIATO
RAWALPINDI - La pace? A portata di mano. La strada? Un negoziato diretto tra Taliban e americani. «Però il negoziato dev´essere alla luce del sole, con delegazioni ufficiali». Il prezzo includerebbe il diritto delle donne a istruirsi e a lavorare? «Quello è l´unico punto sul quale non sono mai stato d´accordo con i Taliban. Ma meritano comprensione, da trent´anni non conoscono che guerre e lutti, un milione e novecentomila morti. Quando però entrassero in relazioni diplomatiche e commerciali con il mondo, cambierebbero».
Non è chiaro se il "negoziato ufficiale" sia davvero la richiesta del mullah Omar o piuttosto il progetto di un settore dell´Isi, lo spionaggio pachistano. Ma di sicuro nessuno come l´ufficiale che ho di fronte conosce il vertice supremo dei Taliban, i suoi pensieri e i suoi ambitissimi segreti - dove si nasconda Omar, cosa sia accaduto a Osama Bin Laden. Infatti il colonnello Sultan Amir Tarar non è stato soltanto il capo-istruttore della generazione di guerrieri afgani che condusse alla vittoria contro i sovietici, ma anche il principale rappresentante dell´Isi nell´emirato, fino e oltre l´11 settembre del 2001. La parte non più segreta di quella storia insanguinata è raccontata dai cimeli in mostra nel salotto dove Tarar mi accoglie. Il kalashnikov alla parete apparteneva a un leggendario colonnello dell´Armata rossa, lo uccisero nell´Helmand i guerriglieri afgani di cui il padrone di casa era consigliere e di fatto condottiero. Altre spoglie del nemico: bossoli di artiglieria sovietica, trasformati in vasi traforati; un lanciarazzi esploso; la baionetta in una teca, deferente omaggio dei mujahiddin, in parte oggi Taliban, che combatterono con Tarar sul fronte di Kandahar dal 1981 al 1991. La scimitarra che Tarar ricevette dalla città di Gardez quando vi entrò da vincitore («Ha settecento anni, ma può ancora tagliare il collo»).
Poi i cimeli americani. La spada che ebbe in dono da Bush senior, all´epoca direttore della Cia. Un pezzo del muro di Berlino sotto una teca di plexiglas. «Me lo mandò la Casa Bianca. Legga la dedica». in inglese: «Con il più grande rispetto per colui che diede il primo colpo». Dell´amministrazione attuale Tarar ha conosciuto il ministro della Difesa Robert Gates, al tempo in cui il pachistano dava "il primo colpo" all´Unione sovietica e l´americano era un alto funzionario della Cia. «Ho sentito dire di lei un mucchio di cose», esordì Gates, ricorda il colonnello.
Molte altre ne avrebbe sentite in seguito, e di inquietanti.
Alto, magro, in buona forma («Sono vecchio ma ancora in grado di combattere»), Amir Sultan Tarar vive in un complesso di villini a schiera abitato unicamente da militari. in pensione, ammesso che una spia con quel passato vada mai in pensione. Ha occhi piccoli e allegri, da bambino; e una barba bianca e folta in cui sembra impigliarsi quel suo parlare per borbottii, nell´inglese imparato a Fort Bragg, l´accademia militare americana dove trent´anni fa apprese l´ambigua arte della guerra segreta. Gli afgani lo conoscono come "Kornel Imam", il colonnello-imam, perché spesso guidava la preghiera dei guerrieri che addestrava: e tra questi, sottolinea con orgoglio, l´emiro Omar e tutti i mullah del suo Gran consiglio (trentacinque, precisa, e poi corregge: tre sono caduti in guerra, uno è prigioniero). Alla metà degli anni Novanta, ufficialmente console del Pakistan a Kandahar, diede un contributo rilevante all´ascesa dei Taliban. Poi console ad Herat, restò uno dei pochissimi interlocutori pachistani dell´emiro Omar e probabilmente del suo ospite, Osama Bin Laden.
Un ingegnere afgano che non lo perdeva di vista, forse anche perché informava un servizio segreto occidentale, mi raccontò che ancora nel 2001 "Kornel Imam" incontrava l´emiro e il saudita poco fuori Kandahar, negli uffici abbandonati della centrale elettrica.
Ufficialmente l´Isi non aveva alcun contatto con Bin Laden, dunque non sorprende che Tarar neghi. I nostri incontri, sostiene, si interruppero nel 1990. In ogni caso il colonnello conserva di Bin Laden un ricordo vivido: «Un uomo meraviglioso, un ingegnere non un terrorista. Furono gli americani a spingerlo a combattere».
Che ne è stato? «Se sia vivo o sia morto è questione immateriale. Hitler era morto ma per un po´ molti tedeschi si convinsero che fosse sopravvissuto». Però crede il saudita sia morto. «L´ultima volta che ebbi sue notizie fu nel giugno del 1992. Da allora, più nulla. Viveva in una casa isolata nel deserto di Ghazni (una città afgana prossima al confine con il Pakistan) ed era molto malato, non si reggeva in piedi. Il viaggio a dorso di mulo dalla montagna di Tora Bora, dove era scampato ai bombardamenti, l´aveva estenuato».
Così come conviene all´Isi, il colonnello Tarar localizza in Afghanistan (e non in Pakistan) non solo Bin Laden ma anche il mullah Omar. Essendo stato istruttore militare e imam dell´ex emiro, ritiene di esercitare su di lui una certa influenza. « stato un mio studente, se gli parlo mi ascolta. Il problema è: perché dovremmo fidarci degli americani? Dimostrino di essere degni di fiducia e non sarà difficile arrivare a un patto che permetta agli Stati Uniti di lasciare l´Afghanistan con onore. Gradualmente, non come lo lasciò l´Armata rossa». In quel caso i Taliban metterebbero alla porta i seguaci di Bin Laden. «Al Qaeda non è un problema. Gli afgani non la vogliono, e se gli americani sono in buona fede, si troverà un accordo. Del resto di Al Qaeda ve n´è molta più in Europa di quanto ve ne sia oggi in Afghanistan. A meno che non sia Al Qaeda qualunque musulmano preghi cinque volte al giorno».
La stessa tesi (Al Qaeda è un problema superabile) mi era stata rappresentata sei mesi fa da mullah Zaeef, l´ex ambasciatore dell´emirato in Pakistan. La realtà pare diversa: una parte del movimento Taliban ormai è qaedista, e questo crea attriti, anche nel vertice, che gli occidentali sperano di sfruttare. Tarar nega divisioni e si dice sicuro che la devozione per il mullah Omar impedirà ai Taliban di spaccarsi. Ma sembra ammettere l´esistenza di un conflitto generazionale, secondo lui causato dai metodi di guerra degli americani. « vero, la nuova generazione è molto più dura: ma come sono cresciuti quei ragazzi, come sono stati trattati? Se non si arriva alla pace, tempo tre anni e in quest´area ci sarà una rivoluzione islamica. E allora musulmani verranno qui per combattere da tutto il mondo, kalashnikov in pugno e computer sul petto».
Più che una previsione, la "rivoluzione islamica" pare un progetto afgano-pachistano. Che probabilmente attrae non pochi quadri militari, nell´Isi e nelle Forze armate del Pakistan. Al momento non sembra un esito verosimile. Però tanto lo stato maggiore quanto l´establishment pachistani, che lo contrastano, considerano almeno in parte verosimile il sospetto che Tarar enuncia come una certezza: «Americani e indiani vogliono trasformare il Pakistan in uno staterello irrilevante, in un altro Bhutan. I nostri guai sono cominciati quando Washington prima ha convinto Musharraf a ritirare la nostra gente (l´Isi) dai territori pakistani sul confine afgano, poi ha permesso allo spionaggio indiano di aprire 15 sedi nell´Afghanistan orientale, a ridosso della nostra frontiera, mascherati da consolati e da uffici di presunte organizzazioni umanitarie. Vogliono azzopparci, soggiogarci, indurci a lottare tra di noi. Ma nessuno si faccia illusioni. Questa non è l´Europa orientale, che si inchinò all´Armata rossa. La nostra è gente povera, molto religiosa. Più la opprimete, più reagirà».
Gli afgani sono effettivamente molto poveri e molto religiosi, ma se stiamo al sondaggio compiuto in dicembre, due settimane dopo questa intervista, preferiscono di gran lunga gli occidentali ai Taliban. L´83% giudica buona cosa che Usa e Nato abbiano tolto di mezzo l´emirato. Il 68% ritiene positivo che i militari stranieri siano ancora nel Paese (il 62% nel 2008). Il 70% ritiene che l´Afghanistan proceda nella direzione giusta (il 40% nel 2008) e in proporzione identica guarda con ottimismo al futuro. Il 90% preferisce il governo attuale all´emirato del mullah Omar, il 74% si dichiara soddisfatto o molto soddisfatto dal risultato delle scorse elezioni, il 69% giudica buona o eccellente la presidenza di Hamid Karzai. Secondo il sondaggio (commissionato dalle tv Bbc, Ard e Abc) gli afgani che preferirebbero i Taliban al governo Karzai sono sempre meno: oggi il 6%, un consenso ridicolo per un sedicente movimento di liberazione nazionale che come tale dovrebbe rappresentare la maggioranza del Paese. Se poi consideriamo che questo consenso si è dimezzato dal 2007, forse anche perché è cresciuta la quantità di inermi uccisi dai Taliban (oggi assommano ai due terzi delle vittime civili), potremmo concludere che il colonnello Tarar e i suoi alunni, già vincitori dei sovietici e in seguito di tagichi e uzbechi coalizzati nell´Alleanza del nord, perderanno la loro ultima guerra.