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 2010  febbraio 02 Martedì calendario

(2articoli) DA PADRE PIO AL TRAFFICO, FINO ALL’EXPO: UNO STATO D’EMERGENZA PER OGNI OCCASIONE Stato d’emergenza per il terremoto ad Haiti

(2articoli) DA PADRE PIO AL TRAFFICO, FINO ALL’EXPO: UNO STATO D’EMERGENZA PER OGNI OCCASIONE Stato d’emergenza per il terremoto ad Haiti. Stato d’emergenza per l’«eccessivo affollamento» delle carceri italiane. Stato d’emergenza per il maltempo in Emilia, Liguria e Toscana. Nel consiglio dei ministri del 13 gennaio Silvio Berlusconi ha dichiarato, con relativi decreti presidenziali, tre nuove emergenze. E con altri sei decreti ha prorogato per il 2010 vecchi stati d’emergenza: per la crisi idrica nei comuni a sud di Roma, per il terremoto di Parma e Reggio del 2008, per l’inquinamento nelle aree minerarie del Sulcis. Ma l’apparenza non inganni: la procedura non ha nulla di eccezionale. Nel successivo consiglio dei ministri, il 22 gennaio, Berlusconi ha firmato infatti cinque ulteriori decreti, dichiarando o prorogando stati d’emergenza per il traffico di Napoli e di Messina, per lavori sulla Salerno-Reggio Calabria, per i fenomeni di subsidenza a Guidonia e Tivoli. L’azione ordinaria di governo passa ormai da questi provvedimenti, che consentono poi di emanare «ordinanze» in deroga a leggi nazionali e regionali, a procedure amministrative, a piani regolatori, a norme di diritto comune sul lavoro, sulle gare d’appalto, persino sulla proprietà degli immobili. La polemica politica si concentra spesso sull’abuso dei decreti-leggi e il conseguente «esproprio» del Parlamento, in termini di iniziativa legislativa e spesso di capacità emendativa. Ma nel 2009 i decreti-legge sono stati in tutto una ventina, mentre invece le «ordinanze di protezione civile» hanno raggiunto quota cento. E, benché formalmente l’ordinanza resti classificata come un atto amministrativo, ha la forza per modificare leggi (dunque anche decreti-legge), per deliberare stanziamenti, per affidare appalti, per compiere nomine e attribuire incarichi. In genere il plenipotenziario, l’uomo dei super-poteri, è il capo della Protezione civile Guido Bertolaso, ma la dichiarazione dello stato d’emergenza può individuare il «commissario» anche nel sindaco, nel presidente della Regione, nell’assessore. L’ordinanza consente di superare la frammentazione dei poteri, le lungaggini burocratici, i potenziali conflitti tra istituzioni e livelli di comando. Ma il sacrificio in termini di legittimità è evidente: solo circostanze davvero eccezionali possono consentire di bypassare il controllo del Capo dello Stato, il voto del Parlamento e l’esame preventivo della Corte dei Conti. Invece con il tempo l’ambito degli stati d’emergenza si è progressivamente dilatato. La prima ordinanza in deroga fu emanata dopo il terremoto dell’Irpinia. La natura giuridica del provvedimento (comunque non la sua efficacia) restò in dubbio per un decennio. E negli anni ”90 le ordinanze di protezione civile sono state in tutto una decina. Poi dai terremoti e dalle catastrofi naturali gli stati d’emergenza si sono estesi ai gravi incidenti, ai pericoli di inquinamento, alla gestione dei rifiuti, alla congestione del traffico, alle crisi idriche, fino alle emergenze economiche e culturali con tutto il carattere discrezionale che le conseguenti ordinanze consentono. Dal 2001 l’adozione di ordinanze della protezione civile è stata poi estesa ai «grande eventi». La dichiarazione di «grande evento» con decreto presidenziale è equiparata a quella di stato d’emergenza. Si comincia con il semestre di presidenza italiana dell’Ue e con il vertice Nato-Russia a Pratica di mare e si arriva ai giorni nostri con le celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia (2011) e con l’Expo di Milano (2015): questi eventi però hanno poco o nulla di emergenziale (almeno dal punto di vista del diritto), se non altro perché sono ancora lontani da venire. Ma lo stesso concetto di grande evento si è via via dilatato: dal presente al futuro, dagli eventi istituzionali a quelli sportivi e religiosi. L’intervento emergenziale di protezione civile ha regolato organizzazione, finanziamenti, scelte di ogni genere legate alle Olimpiadi di Torino, i Giochi del Mediterraneo di Pescara, la Louis Vuitton Wordl Series, i mondiali di nuoto a Roma. Stessa procedura eccezionale per le canonizzazioni di Padre Pio e del Beato Escrivà, per l’incontro dell’Azione cattolica con Giovanni Paolo II a Loreto, per le visite pastorali di Benedetto XVI a Genova e Cagliari, con finanziamenti erogati ad associazioni e diocesi fuori da un voto del Parlamento e persino da una decisione collegiale del governo. E mentre si allargava il concetto di stato d’emergenza, anche le materie delle ordinanze si ampliavano. Con un’ordinanza di protezione civile è stata decisa la retribuzione di Mario Resca, commissario delegato della Pinacoteca di Brera. Con un’altra ordinanza è stato deciso (e poi revocato dal Tar) il censimento nei campi nomadi. Con un’altra ancora sono stati spostati, dietro indennizzo, sei autodemolitori a Roma. Diverse ordinanze hanno provveduto, dopo i primi interventi d’emergenza, a deliberare misure di rilancio socio-economico delle aree interessate. Un’ordinanza ha modificato una decisione del Cipe, dirottando fondi dal restauro di un teatro alla statale Sassari-Olbia. Anche il passante di Mestre è stato realizzato con procedure emergenziali e il 31 luglio scorso, il giorno prima della paralisi del traffico su quel tratto autostradale, il governo ha dichiarato un nuovo stato d’emergenza per la «congestione» del traffico tra Treviso e Vicenza. Naturalmente in Italia non mancano le emergenze vere. Che richiedono interventi eccezionali e decisioni immediate. Una cataclisma come il terremoto dell’Aquila non può essere affrontato con strumenti diversi dalle ordinanze in deroga. Ma l’estensione di questo strumento sta producendo un problema istituzionale, e non solo giuridico. Dal 2001 in poi, anno in cui le dichiarazioni di stato d’emergenza hanno subito una mutazione genetica, le ordinanze in deroga hanno creato un universo normativo parallelo. Per i governi ormai è strumento ordinario di governo: anche l’esecutivo di Prodi ne ha fatto largo uso, nonostante sia stato Berlusconi a compiere l’accelerazione. E ora con Berlusconi si è realizzato un ulteriore salto di qualità. Nel 2002 sono state emanate 40 ordinanze di protezione civile, 99 nel 2004, 79 nel 2007, più di cento l’anno scorso. E nel solo mese di gennaio la Gazzetta ufficiale ha pubblicato 24 tra nuove dichiarazioni e proroghe di stati d’emergenza. Claudio Sardo, Il Messaggero 2/2/2010 TUTTO COMINCIO CON L’IRPINIA NELL’80 MA DAL 2001 CORSA SENZA FRENI - ma dal 2001 è corsa senza freni Tutto cominciò con il terremoto in Irpinia. Era appena passata la fase più drammatica dell’emergenza quando l’allora ministro per la Protezione civile Giuseppe Zamberletti firmò la prima ordinanza in deroga. Fu il prototipo del «governo emergenziale». Ma negli anni ”80 la questione scaldò più i dibattiti accademici che il confronto politico: lo strumento principe per l’emergenza dai terremoti del Belice e del Friuli restava il decreto-legge, emanato sotto la responsabilità del governo ma comunque sottoposto al voto del Parlamento. la legge 225 del 1992 a definire in seguito natura e limiti delle ordinanze di protezione civile: in Italia si stava consolidando la struttura di pronto intervento nei casi di calamità e cresceva anche la consapevolezza che eventi eccezionali andavano fronteggiati con mezzi e poteri straordinari. Le ordinanze in deroga trovano così un loro posto nell’ordinamento, ma sono sottoposte a vincoli di durata e di materia e comunque condizionate a criteri di necessità e urgenza. La mutazione genetica delle ordinanze in deroga avviene con il decreto legge 343 del 2001, che parifica i «grandi eventi» agli stati d’emergenza. Da quel momento i decreti presidenziali si moltiplicano e gli ambiti si dilatano a dismisura. Non c’è dubbio che nel nostro sistema sia faticoso arrivare ad una decisione democratica, che i poteri frammentati e spesso contrapposti paralizzino l’azione di governo. Ma la dichiarazione di stato d’emergenza è rapidamente diventata negli ultimi anni uno strumento ordinario di governo. Ogni occasione è buona per attivare le procedure «eccezionali». Che vuol dire saltare ogni controllo, ogni procedura, ogni regola precostituita. Il concetto stesso di emergenza si è modificato, assumendo contorni sociali ed economici (non sempre rigorosamente definiti sul piano giuridico). E non solo il governo cerca questa strada per decidere con massima discrezionalità, ma gli stessi Comuni e Regioni pressano spesso e volentieri il governo perché decreti l’emergenza, magari affidando al sindaco o al governatore i poteri straordinari del commissario. Un’ulteriore estensione del campo di applicazione si è avuta poi nel 2005 (decreto legge 90): lo stato d’emergenza è stato esteso agli interventi all’estero resi necessari «da calamità o eventi eccezionali». Il decreto più recente è sul terremoto ad Haiti. Ma è stato preceduto da analoghi provvedimenti per il terremoto in Iran (2003), per l’uragano Katrina a New Orleans (2005), per la carestia in Sudan (2006), per l’alluvione in Mozambico (2007). Insieme al canale delle decisioni anche quello dei finanziamenti si libera. Le ordinanze in deroga sono generalmente finanziate dal Fondo della protezione civile (nel 2010 circa 1.400 milioni di euro, a cui vanno aggiunti i 600 milioni destinati alla ricostruzione dell’Abruzzo). Ma l’ordinanza può attingere anche ad altri fondi: nei decreti più recenti si è fatto ricorso ai fondi Fas e agli stanziamenti dell’Anas. cla.sa.