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 2010  febbraio 02 Martedì calendario

Frammartino Angelo

• Roma 28 aprile 1982, Gerusalemme (Israele) 10 agosto 2006. Volontario arrivato a Gerusalemme l’1 agosto 2006 per lavorare con una Ong legata alla Cgil, fu accoltellato a morte due giorni prima di ripartire • «[...] stava passeggiando con alcune amiche del suo stesso gruppo di lavoro, sulla Sultan Suleiman Road, la strada che gira tutt’attorno alle mura, ma che [...] tra la Porta di Damasco e la Porta di Erode s’allunga in un rettilineo di 3-400 metri. [...] Erano da poco trascorse le otto quando, all’improvviso, un giovane armato di coltello, è balzato da un fossato che costeggia il marciapiede scoprendo gli enormi massi su cui sono appoggiate le antiche mura di Solimano il Magnifico. Nella sua scarna ricostruzione, la polizia dice che il giovane attentatore, ”arabo d’aspetto”, ma non si sa se palestinese, e dunque, venuto da fuori, o arabo-israeliano, e dunque proveniente da Gerusalemme est, se non proprio dalla città vecchia, s’è avvicinato ad Angelo e lo ha colpito alle spalle con tre coltellate, due alla schiena e una alla nuca. Poi è fuggito lasciando cadere l’arma. [...] Angelo era arrivato il primo di agosto con un gruppo di 15 ragazzi italiani che [...] avevano scelto di dare il loro contributo volontario ad un’iniziativa Prosvil (Progetto sviluppo) della Cgil e dell’Arci. Si trattava di lavorare insieme ad una Ong di Gerusalemme est, araba, dunque, chiamata la ”Torre del fenicottero” che organizza capi estivi per bambini palestinesi dai 6 ai 14. Il compito di Angelo, animatore, era divertirli, distrarli, farli sorridere. [...]» (Alberto Stabile, ”la Repubblica” 11/8/2006) • Reo confesso del delitto fu Ashraf Abdel Hanaisha, palestinese all’epoca 24enne: «[...] Nato nel 1982 a Jenin, in una numerosa famiglia palestinese immersa nel cuore della Cisgiordania, ha vissuto un’infanzia difficile e disperata come quella di tanti, qui. Una casa nel sobborgo di Qabatiyah, a 10 chilometri dalla città, abitazioni fatiscenti di un centro già pieno di problemi: lavoro zero, confronti con i militari israeliani quasi quotidiani, prospettive future improbabili. Tutto intorno polvere, lamiere, caldo. Ashraf da qualche anno aveva deciso di lasciare la scuola e trovare fortuna accostandosi alla Jihad islamica [...] Nella confessione fatta [...] alla polizia israeliana [...] ha detto di aver colpito perché voleva ”uccidere un ebreo”. Due giorni prima del delitto, la casa dei cugini era stata nuovamente presa d’assalto. ”Proiettili di gomma, gas lacrimogeni, bombe assordanti”, hanno annotato in un rapporto le associazioni umanitarie palestinesi, solite enumerare ogni possibile violazione. Per questo motivo Ashraf era partito il 9 agosto da Jenin. Un rifugio all’interno della città vecchia, nei vicoli ritorti e segreti dove le pattuglie israeliane passano ogni ora ma è facile riuscire a nascondersi. Un piano premeditato che, nella sua avventatezza, lo ha condotto a scegliere una zona, quella appunto di Gerusalemme est, abitata nella quasi totale maggioranza da palestinesi, e dove però gli ebrei passano di rado. A percorrere le mura dell’antica città sono, oltre ai locali arabi, soprattutto i turisti. Ashraf ha pensato di agire qui, ritenendosi al sicuro, invece che penetrare in una delle mille strade della capitale dove è facile distinguere un obiettivo preciso, ma con il rischio di essere catturati. A sera ha visto Angelo camminare lungo il perimetro delle mura, jeans e maglietta. Di sicuro lo ha guardato mentre dava brevemente la mano a una delle quattro amiche con cui passeggiava. E sbucato alle spalle da un anfratto, vicino alla Porta dei fiori, ha estratto il coltello e lo ha colpito tre volte, due alla schiena perforandogli i polmoni, una alla nuca. La fuga però non è bastata a risparmiare l’omicida dalle implacabili indagini di servizi e polizia. La confessione ha rivelato un giovane privo di rimorsi, se non quello di aver confuso l’obiettivo e colpito un italiano, un volontario che aiutava i bambini palestinesi. [...]». (m. ans., ”la Repubblica” 20/8/2006).