Matteo Orsucci, Libero 31/1/2010, 31 gennaio 2010
L’ISOLA DIMENTICATA
C’è una sola, lunga strada statale che dalla costa si addentra fino nel cuore della giungla di Roatan, questa perla nel mar dei Caraibi che sta là davanti all’Honduras, con la sua vegetazione, le sue palme, le spiagge infinite su cui vedi solo pancioni bianchi di canadesi svaccati, cappellini appoggiati e Ray Ban in lontananza. C’è una sola strada che ti fa conoscere il senso più intimo di un’isola che sembra uscita da un libro di Emilio Salgari, tant’è che i pirati a Roatan ci sono stati davvero e per parecchio: sir Henry Morgan, bucaniere, ha qui condotto le sue scorribande.
IL COLPO DI STATO
Roatan nel 2010 non è più la notizia in cronaca per la presenza dell’Isola dei famosi. Non andranno a farsi torturare dai micidiali mosquitos star e starlette della tv. Il colpo di Stato ha dirottato altrove la trasmissione Rai;
sull’arcipelago di Cayo Cochinos, gruppetto di isole al largo di questa imponente meraviglia della natura, quest’anno non ci sarà nessuno di celebre.
Il turismo ne risente, ci dicono, e vuoi la famigerata crisi, vuoi la fama di ritorno, alla fine delle 200 presenze l’anno di soli connazionali siamo scesi bruscamente sotto il centinaio. L’isola è costeggiata in parte dalla barriera corallina, e sembra di stare alle Maldive con un tornaconto per il portafoglio abbastanza evidente. I tour operator non la regalano di certo, ma è assai più accessibile. Ma si sa come vanno certe cose: prima la vedi in televisione, un po’ te ne innamori, poi insomma fa figo esserci stati e quindi uno compra il biglietto...
Il turismo all’italiana è un po’ così: l’Honduras è una terra di mezzo, Roatan un purgatorio battuto dalla salsedine. La storia è recentissima, anzi, non c’è. Eccezione fatta per le civiltà precolombiane che la abitavano, di cui però resta soltanto qualche sparuto sasso in riserve ovviamente protette e sul quale qualche cretino, ovviamente, si siede per la foto di rito. l’ansia colonizzatrice che frega noi occidentali alla fine...
GLI ITALIANI
Gli italiani sull’isola sono 250, e si conoscono tutti. Hanno attività in proprio. «Qui se non tiri su un’attività imprenditoriale o non hai un reddito da 1700 euro non ce la fai a campare alla grande», spiega Andrea Magnani. Lui è responsabile della Swan Tour, l’operatore che gestisce il grosso del turismo italiano sull’isola, dove risiede da tredici anni, «l’ho conosciuta prima che sorgessero tutti questi villaggi, qui c’era una grande spiaggia bianca fino al mare».
Roatan offre tutto. Ha il grande spettacolo della miseria, che passando per French Harbour si fa più insistente. Capanne e gente in strada, galline nelle voliere, mosche e
ragazzini sudici che giocano per i sentieri sterrati.
Ci sono i cimiteri e ci sono le chiese. Qui il protestantesimo è ben radicato. Gli Avventisti del Settimo Giorno predicano i loro sermoni alle sei il pomeriggio e c’è sempre un gran casino davanti a questi che per noi sarebbero magazzini da periferia industriale e per loro sono invece luoghi di culto.
L’architettura è quella del legno: la faccia pulita Roatan la mette soprattutto a West End e a West Bay, ovvero i cuori pulsanti e un po’ giovanili fatti di locali e ristoranti. A Coxen Hall sta l’ambasciata, il municipio, l’ospedale, la zona portuale... Dagli Usa e dal Canada arriva in continuazione gente con uno spleen fuori tempo massimo, personaggi improbabili che dopo la pensione aprono un ristorante, un bar, un’attività per finire su Roatan i propri giorni.
un’isola che a differenza della Jamaica ha molta meno criminalità: il golpe non è stato affatto sentito. I voli sull’isola non si sono fermati durante i fatti di Teguciqualpa, ci sono manifesti elettorali ma la gente fa finta di nulla.
I TAXI BOAT
Tutto è alla portata di tutti: i taxi via terra costano pochissimo, e comunque ci si mette d’accordo sul prezzo. I taxi boat, le allegre barchette che ti accompagnano via mare a Marbella beach, a Oak Ridge e a Port Royal nel paradiso delle mangrovie sono guidate da isolani che campano di pesca e di quello. E arrotondano vendendo dosi di ”erba” e cocaina agli interessati per pochi dollari.
C’è una sola strada in mezzo a questo medioevo modernissimo, fatto di incongruenze e qualche ipocrisia. Un piattone di aragosta costa appena 16 dollari e va bene tutto ma dopo una settimana di granchi, gamberi, astici vari, quando telefoni a casa la prima cosa che dici è: «Preparami le melanzane alla parmigiana».
Matteo Orsucci, Libero 31/1/2010