Mario Cervi, il Giornale 31/1/2010, pagina 1; Alessandro Frigerio, il Giornale 31/1/2010, pagina 2, 31 gennaio 2010
COSI’ IL PCI DEGLI IPOCRITI FECE ABORTIRE LA IOTTI (+
intervista a Piero Melograni) -
Piero Melograni - che è uno storico di valore e che oltretutto, essendo stato militante del Pci, può avere conoscenza di vicende interne a quel partito - ha rivelato che Nilde Iotti fu costretta ad abortire. La compagna del Migliore non potè, per l’opposizione della dirigenza comunista, dargli un figlio. Togliatti ne aveva già avuto uno, Aldo - con gravi problemi psichici - dalla moglie Rita Montagnana, e poi adottò una bambina, Marisa Malagoli, figlia d’un operaio ucciso in scontri tra forze dell’ordine e dimostranti, a Modena. A Nilde Iotti sarebbe stato in sostanza vietato di portare a termine la gravidanza nel nome d’una suprema moralità di partito. Moralità di tipo borghese, per usare il linguaggio della sinistra: adottata tuttavia, ufficialmente, da chi proprio a sinistra ostentava il suo essere puro e duro in confronto alle sguaiatezze e mollezze capitalistiche. di Melograni - confortato da scritti e testimonianze - la responsabilità delle sue affermazioni: che comunque non hanno nulla d’inverosimile, anzi.
Non è gradevole dover rimestare colpe e trasgressioni molto datate, che dovrebbero rimanere private se non riguardassero un personaggio della statura di Togliatti, e uno schieramento con le connotazioni del Pci. I cui eredi non si stancano di ripeterci, oggi, che i comportamenti personali dei leader, compresi quelli d’alcova, appartengono pienamente al dibattito politico, cosicché da una D’Addario qualsiasi si può o piuttosto si deve risalire a chi se l’è portata a letto: per bollarlo come indegno di rivestire cariche importanti. Se questo vale per i viventi deve valere, sul piano storico, anche per i defunti.
I comunisti d’antan - qualche volta anche i postcomunisti odierni - hanno voluto esibire un’etica superiore a quella degli avversari. Superiore in tema di denaro pubblico («forchettoni» erano i Dc, tangentocrati i socialisti, loro niente nonostante l’oro di Mosca); superiore in tema di castigatezza privata. Il Pci ostentava un volto austero, tutto Botteghe Oscure e Frattocchie, senza cedimenti alle frivolezze dei mollaccioni. Questa ostentazione di virtù trovava espressioni perfino grottesche per bocca dei massimi capi e dei più dotati apprendisti. Un promettente Enrico Berlinguer, inviato nel 1946 in Unione Sovietica come dirigente delle organizzazioni giovanili comuniste, aveva così risposto a chi s’era permesso di rivolgergli qualche domanda sulle ragazze di lassù. «Nel Paese del socialismo le donne non hanno bisogno di nessun orpello per attrarre gli uomini. In Urss non ci sono donne, ci sono compagne sovietiche». Una risposta da burocrate e da puritano, quale era - nel suo conformismo che Guareschi avrebbe definito trinariciuto - l’onesto Berlinguer.
Invece gli orpelli funzionavano, sia nel Paese del socialismo reale sia per gli uomini del socialismo reale. Due dei quali - Palmiro Togliatti e il suo successore Luigi Longo - ebbero un analogo itinerario sentimentale e maritale. Immerso dopo tante ambasce nella dolce vita italiana, Togliatti s’invaghì - mentre era sposato alla Montagnana con cui aveva vissuto il soggiorno in Urss e il terrore d’una possibile funesta ira staliniana - della giovane compagna Nilde Jotti. Longo era sposato a Teresa Noce, ma anche lui, finiti i tempi duri, ebbe in uggia la moglie. Felice Chilanti, che di Longo condivideva l’ideologia e che ne ha scritto una biografia, narrava così la svolta: «Un pomeriggio Longo posò sul suo tavolo un vasetto di cristallo di Boemia, non so se un regalo del suo amico Clementis (Vladimir Clementis, già ministro degli Esteri cecoslovacco, fu mandato alla forca insieme al suo accusatore Rudolf Slansky in una terribile purga staliniana, ndr) e mandò un fattorino a comprare una rosa rossa. Mise la rosa nel vaso, sul suo tavolo, poco prima che entrasse nel suo studio la dirigente dell’Udi Bruna Conti. Che divenne la sua seconda moglie».
Questi rocciosi capi d’un partito roccioso ostentavano una pruderie monacale ma praticavano alla grande la commistione tra lavoro e letto. Sarebbe stata roba di prim’ordine per Dagospia. Ma l’esempio non è andato perduto, vedi alla voce Delbono, sindaco di Bologna.
Mario Cervi
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INTERVISTA A PIERO MELOGRANI -
«Ma io questa cosa l’avevo già ricordata alla Camera. E nessuno mi smentì». Nulla di più nuovo del già detto. Ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo venerdì sera, lo storico Piero Melograni butta la notizia in zona Cesarini: questioni di cuore e politica sono sempre andate a braccetto. Anche ai tempi del Pci, quando la segreteria impose a Togliatti, fresco della sua relazione extraconiugale con una giovanissima Nilde Iotti, di abortire il frutto del loro amore. Stupore in studio. «Gli hanno impedito di avere un figlio, capisce? Lei lo sapeva?». Il sì poco convinto della Gruber ha dato la misura del silenzio che Melograni rimprovera proprio ad ex e post-comunisti sulle vicende del loro passato. Oggi i siti internet riportano la notizia come fosse uno scoop, i blog si esercitano equamente nello sdegno o nella condanna di nuova ondata revisionista. E invece, purtroppo, la storia è nota. Ma come spesso accade, poco divulgata. La raccontò nel 1994 Filippo Ceccarelli ne Il letto e il potere, accennando a quel figlio della «colpa» sacrificato sull’altare della ragion politica, occultato come gli incontri clandestini tra Palmiro e Nilde nel solaio al sesto piano di Botteghe Oscure. Una vicenda che avrebbe dovuto far discutere. Non per questioni di gossip, ma perché un partito che si spendeva pubblicamente per l’emancipazione femminile non poteva negarla internamente e con modalità così terribili. Abbiamo quindi contattato Melograni per un supplemento di spiegazioni.
Esisteva quindi una doppia morale, libertaria in piazza ma intransigentemente borghese in casa?
«I comunisti erano dei moralisti, dei bacchettoni per certi versi. E questo perché c’era Stalin, la cui rigidità s’imponeva tanto in politica quanto nella vita di tutti i giorni, in Unione Sovietica e nei partiti fratelli».
Quindi Togliatti non era padrone in casa sua...
«Ma certo che no. Basti pensare alla svolta di Salerno. Mica la decise lui, gli fu imposta da Stalin».
E allora facciamo peccato a immaginare un’analoga eterodirezione anche nel caso dell’interruzione di gravidanza della Iotti?
«Non escluderei che possa essere accaduto. Probabilmente tutti gli interpreti di Stalin all’interno della segreteria del partito hanno ordinato a Togliatti di far abortire la Iotti. Ricordo che anni fa, presentando con Filippo Ceccarelli il suo libro alla Camera, dissi questa cosa. Accennai cioè alla vicenda dell’aborto imposto dal partito. La Iotti allora era ancora deputato alla Camera. Mi son detto: vuoi vedere che adesso smentisce. E invece no, non lo fece».
Come mai tanto rancore verso la Iotti? Pesava la sua formazione cattolica, la sua originaria estraneità al Pci e alla resistenza?
«No, gli aspetti religiosi non contano. Semplicemente non bisognava far sapere che il compagno Togliatti aveva lasciato per sempre la moglie, Rita Montagnana, storica militante del partito, unendosi a una donna giovane e bella per godersi la vita».
Godersi la vita poteva significare venir meno a una visione della politica intesa come missione totalizzante...
«Forse c’è stato anche questo pensiero recondito. Certo è che all’interno del Pci non fu l’unico caso di adulterio e di separazione. Ci furono altri scandali: Teresa Noce, ”rivoluzionaria professionale”, fu lasciata in malo modo da Luigi Longo per la più avvenente Bruna Conti. E per venire a tempi più recenti, Alfredo Reichlin lasciò Luciana Castellina in favore di altre compagne».
Perché alcune notizie, pur essendo di pubblico dominio, quando riguardano certi personaggi rimangono nascoste?
«Perché è tutta la storia del partito comunista a essere misteriosa. L’ho ricordato più volte. Fin dalle origini, da quella scissione di Livorno (gennaio 1921) in cui i socialdemocratici, che nel precedente congresso erano pronti a entrare nell’internazionale comunista, non si fecero più avanti. Tutta la storia del Pci è da riscrivere. L’ho detto anche a Veltroni. Gli ho spiegato che una delle ragioni dell’insuccesso del suo riformismo è stato proprio il fatto che gli storici di sinistra non hanno mai raccontato la storia del partito. Sa cosa mi ha risposto? ”Forse hai ragione”».
Deve ancora nascere chi scriverà la storia del Pci?
«Paolo Spirano riportò molti degli aspetti più oscuri di quelle vicende nelle note a pie’ di pagina della sua opera. Una volta si sfogò con me dicendo che il partito avrebbe potuto aiutarlo molto di più. Ma erano bastate quelle poche note per suscitare la diffidenza di Botteghe Oscure».
Alessandro Frigerio