Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  gennaio 31 Domenica calendario

COSI’ LIQUIDEREMO LE MEGABANCHE

Se sul mondo pesa il rischio di banche «troppo grandi per fallire» (come si è rivelata con il senno del poi Lehman Brothers), o si rimpiccioliscono le banche, oppure si crea un meccanismo internazionale per metterle in liquidazione anche quando sono enormi. Anche questa ipotesi è allo studio del Financial Stability Board, l’organismo presieduto dal governatore della Banca d’Italia Mario Draghi.
La novità emerge da un incontro in cui regolatori e regolati, ovvero autorità pubbliche e banche, si sono confrontati al Forum di Davos. Alcuni banchieri ancora resistono, minacciano di ridurre il credito all’economia se saranno sottoposti a obblighi troppo pressanti. Ma con i più il dialogo va avanti. Ieri, dietro le porte chiuse, si è fatto per due ore uno scambio libero di idee, anche raccogliendo pareri su bigliettini post-it.
In una intervista alla Reuters, Draghi ha parlato di un vero e proprio ente planetario incaricato di intervenire sulle banche in difficoltà. Costruirlo comporterebbe delicati problemi di sovranità per governi e banche centrali. Nell’interpretazione fornita più tardi, si tratterebbe di un «meccanismo», un framework, entro il quale tutti i Paesi dovrebbero dotarsi «dei poteri, dei fondi, delle competenze» per liquidare d’intesa le banche multinazionali incapaci di reggersi.
Sono strumenti che l’Italia ha già, aveva detto il governatore all’inizio di dicembre: si riferiva ad esempio al commissariamento e alla successiva liquidazione del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, nel 1982. Altri Paesi non li possiedono; e in ogni caso è difficile prendere decisioni veloci quando le banche sono multinazionali. Al sodo, il problema è accordarsi su chi paga e in quale moneta.
Idee simili circolano in diverse varianti anche fra i banchieri, tipo un «fondo di liquidazione» mondiale, o anche solo europeo, capace di intervenire sulle banche in difficoltà; casomai finanziato con contributi delle banche stesse. In un modo o nell’altro, lo scopo sarebbe di evitare salvataggi a spese dei contribuenti come quelli del 2008. Con la liquidazione i dirigenti spericolati e gli azionisti distratti sarebbero espulsi, e non salvati.
Fra le idee discusse a Davos ce ne sono altre già note, come maggiori requisiti di capitale per le banche appunto reputate «di importanza sistemica» (circa una trentina nel mondo). All’esame pure il «capitale di contingenza», ossia accordi che consentirebbero alle banche di ricevere un soccorso di emergenza, a condizioni già stabilite, in caso di difficoltà.
Dalla riunione di ieri «emerge che i banchieri hanno capito di dover cambiare» sostiene il Cancelliere dello Scacchiere britannico Alistair Darling. «Nessuno si è alzato per opporsi a nuove regole, perché sapeva che non gli avremmo dato retta» rincara il presidente della Commissione finanze della Camera Usa, Barney Frank. Il rischio è ora un altro, che ogni Paese faccia per conto proprio, insiste il presidente della Bce Jean-Claude Trichet rivolto agli Stati Uniti. Le nuove scelte di Barack Obama hanno indebolito i banchieri; però tra Paese e Paese i dissensi su come procedere sono vasti, ha confermato ieri la ministra dell’Economia francese Christine Lagarde.
Anche per questo Draghi ha ripreso l’iniziativa. Ma Giulio Tremonti, che a Davos non è voluto andare, si distingue: «Fare regole tecniche è dannoso, perché fa perdere tempo. Quello che qualcuno fa passare come divergenze personali è invece una diversa visione del mondo: c’è chi dice che non è necessario passare dai Parlamenti, io sostengo che è fondamentale l’impegno della politica, che prende forma nei trattati».
Stefano Lepri