ROBERTO PETRINI, la Repubblica Affari&Finanza 1/2/2010, 1 febbraio 2010
DAGLI AUTOTRASPORTATORI ALLA CONSIP CON QUESTE LEGGI SONO SALTATI I CONTI
Nel gergo dei cinici congressman Usa si chiama pork barrel, cioè la carne di maiale conservata sotto sale in un barile che si regalava agli schiavi quando si comportavano bene. E di «pezzi di carne» a categorie, corporazioni, lobby nel corso delle lunghe stagioni di governo del centrodestra, quella tra il 2001 e il 2006 e quella ricominciata nel 2008, ne sono stati gettati in abbondanza. Con una spesa corrente, cioè senza contare gli investimenti e quanto paghiamo per gli interessi su Bot e Cct, che è cresciuta di 2 punti percentuali rispetto al Pil durante il Berlusconi 2, c’è poco da stare allegri. Eppure le dichiarazioni avevano un sapore granitico: «Nell’ufficio del ministro c’è la scrivania di Quintino Sella. Quella scrivania sarebbe liberata se il pareggio di bilancio non fosse raggiunto nel 2003», scolpì Tremonti varando il Documento di Programmazione economica e Finanziaria del 2002. 
Sebbene sui numeri di oggi (il deficit ha toccato il 5 per cento del Pil) pesi la crisi internazionale si può dire che l’obiettivo di risanare le finanze pubbliche si sia allontanato a dismisura. Forse qualche intento di vero risanamento della spesa pubblica poteva affiorare nel 1994, ai tempi del primo thatcherismo di Forza Italia: di quei propositi si ha oggi solo un’immagine sbiadita. Il centrodestra di governo, non nega nulla a nessuno: dai commercianti ai forestali, dai pensionati ai diseredati, dai camionisti ai palazzinari. Grandi lobby e emarginati. Poco a tutti. Niente di risolutivo. Con l’esito di far crescere la spesa pubblica.
Resta famosa l’ironia di Tremonti sui finanziamenti per le api, subito dopo la costituzione del nuovo governo Berlusconi nell’estate del 2008: i fondi agli apicoltori furono tagliati. Qualche mese dopo ricomparvero 2 milioni per la moria delle api ad opera del ministro dell’Agricoltura Luca Zaia. Con la Finanziaria 2009 il registro non è cambiato: «Mance per 200 nel solo 2001» milioni commentò il capogruppo dell’Udc nella Commissione Bilancio Amedeo Ciccanti. Altro che pork barrel! I soldi per gli emendamenti dei parlamentari il cosiddetto «fondino» alla fine furono trovati. Magari con la pistola alla tempia di Tremonti, ma uscirono fuori. Risultato: pesca e acquacoltura, museo tattile, ancora una volta il Belice, soldi per gli esuli dalmati, i defibrillatori. In vista delle regionali non si è negata una lira a nessuno.
L’assalto alla diligenza strisciante del resto non si è mai fermato. I tecnici spiegano che le micromisure sono un fatto di malcostume politico ma non sono quelle il vero problema della spesa pubblica italiana. Inarrestabile in settori che potrebbero essere frenati e non lo sono stati. Come ad esempio i forestali, oggetto di una vicenda che sembra non finire mai: il leghista Calderoli che si era messo in testa di chiudere il rubinetto nel 2004 fu riportato a più miti consigli. E nella Finanziaria del 2005 uscirono i 160 milioni richiesti.
E gli statali? Brunetta tuona contro i fannulloni. Ma se si avesse la voglia di analizzare quello che ha fatto il centrodestra durante i suoi governi ci si accorgerebbe che la manica è stata sempre larga. A partire da quel famoso «patto della lavanderia» (così chiamato perché l’allora segretario della Cisl Savino Pezzotta si introdusse dal retro in un hotel della capitale per incontrare il vicepresidente del Consiglio Fini) della notte tra il 4 e il 5 febbraio del 2002: ruggiva la protesta della Cgil per il tentativo del centrodestra di liberalizzare i licenziamenti e il governo di accordo con la Cisl diede un abbondante aumento ai pubblici dipendenti. «Scelte che aumentano la spesa pubblica», sentenziò ufficialmente la Confindustria. 
Non c’è voce che tenga nei bilanci dei governi del centrodestra. Una a caso? Autotrasporto. Durante l’ultima finanziaria 2010, senza clamore e senza proteste, sono stati assegnati 400 milioni all’autotrasporto. Tutti hanno paura della sindrome cilena e del blocco delle autostrade. Ma soprattutto chi ha il coraggio di dire no a Paolo Uggè, già presidente della Fai Conftrasporto, deputato di Forza Italia e sottosegretario ai Trasporti.
 una storia senza fine. Un nuovo passo indietro e lo scenario è lo stesso. Dicembre, 2004, Parlamento, discussione della Finanziaria: spunta una sorta di «manovra parallela». Stavolta i soldi vanno alle manifestazioni per le celebrazioni di Cristoforo Colombo, al calcio femminile, ai campionati di sci alpino nella Valtellina. Centinaia di milioni.
Ma questo è l’iceberg, l’assalto alla diligenza che alimenta la cronaca parlamentare. Il vero sfondamento, spiegano i tecnici, è dovuto alla rinuncia a porre un freno all’escalation delle spese. Simbolica è la storia della Consip, l’agenzia statale che avrebbe dovuto tagliare di un quarto le spese dello stato per beni e servizi, centralizzando gli acquisti: è stata svuotata. E nel 2003 Tremonti, su indicazione della Lega e di Forza Italia, decise che le gare per matite e carta igienica potevano essere distribuite su più vincitori facendo lotti più piccoli. Stessa solfa per la cosiddetta regola del 2%, introdotta in extremis nel 2004, e per i vari decreti taglia spese: si passa il rasoio trasversalmente, si taglia il buono e il cattivo. Con un altro risultato negativo: quando il bilancio non riesce più a trattenere il respiro esplode. 
Così la spesa si gonfia e nessuno si ricorda perché. Quale pensionato rammenta l’aumento delle pensioni minime a 516 euro subito dopo l’introduzione dell’euro? Svanito, corroso dalla diminuzione del potere d’acquisto. Eppure costò 2,4 miliardi. E il bonus figli una tantum da 1.000 euro del 2004? Nessuna traccia visibile e non risulta un incremento delle nascite. Costo 284,3 milioni. Per non parlare del bonus famiglia e della social card: Tremonti disse il 28 novembre del 2008 che il costo era di 3 miliardi. Gocce nell’oceano, senza effetto.