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 2010  gennaio 31 Domenica calendario

QUARANTOTTO, ARRUFFAPOPOLI, LURCHI... LE PAROLE PERDUTE DEL MITO DI FONDAZIONE

L´espressione «oggi c´è l´Italia», notava Alberto Arbasino, significa soltanto che questa sera gioca la Nazionale di calcio. Nessuno penserebbe al D´Azeglio e al Cavour, ricordati perlopiù come piazze, viali e licei. Quando appunto «c´è l´Italia», i calciatori sono oramai costretti a cantare l´Inno nel pre-partita, in coro con il pubblico, perché la telecamera li passa in rassegna come farebbe un comandante militare e chi non muove la bocca sa che verrà criticato come mercenario e ignorante. Lì, ogni volta, si riscontra che il popolo italiano non è tanto portato per il canto quanto vorrebbe il luogo comune e che il testo dell´Inno risulta impervio a quasi tutti gli inneggianti.
Fra i tanti equivoci e strafalcioni, il verso «stringiamci a coorte» viene usualmente eseguito come «stringiamoci a corte», e la formazione di battaglia diventa un affettuoso ammasso cortigiano (a modo suo, pure pertinente).
Proprio quella O che viene a mancare a «stringiamci» e invece si raddoppia in «coorte», con il suo buco alfabetico, potrebbe essere presa a simbolo del linguaggio del Risorgimento e di come noi ce lo ricordiamo o lo ravviviamo. Il Risorgimento è un mito di fondazione la cui epica si è però accartocciata dopo gli accidenti che le ha riservato la storia: Caporetto, il Fascismo, la fuga del Savoia, la sintomatica fine dello storico Partito d´Azione, fino ai nostri giorni: il «federalismo» ringhioso della Lega, la criminalità organizzata che alligna poco disturbata nei territori già attraversati dai Mille, un certo restringersi teo-con e teo-dem delle rive del Tevere. E per fortuna che parlare male di Garibaldi sarebbe proverbialmente proibito...
Proprio il Risorgimento è la prima parola risorgimentale che non se la passa benissimo. Basta accostarle il Rinascimento per vedere la differenza di prestigio. Gabriele D´Annunzio non avrebbe mai intitolato il grande magazzino "Risorgente", non ci sono dubbi al proposito.
Mentre i titoli dei giornali e dei tg sono sempre pieni di urli e gridi («L´urlo di Haiti», per esempio), a nessuno viene in mente che l´espressione «grido di dolore» fu resa proverbiale da Vittorio Emanuele II; così «Mentana» evoca più il giornalista che la battaglia e «carbonara» è ovviamente una pasta più che una riunione di cospiratori. Del Quarantotto, nel significato di «situazione confusa», si sono perse le tracce dai tempi di quel Carosello sincretico e trans-storico («Arriva Lancillotto, succede un quarantotto»).
Più irridenti che irredenti, non ci rendiamo conto che il Risorgimento è all´origine della nostra retorica nazionale. Oltre al grido di dolore, ora sono tornati i «martiri», gli «eroi», le «spedizioni», i «reduci». Se nessuno chiama più «barabba» i delinquenti o i traditori, e nessuno considera più il patriottismo come la mazziniana religione nazionale - anche per non irritare i suscettibilissimi prelati -, pure ogni tanto si sente apostrofare qualcuno come «arruffapopoli» (neologismo del Giusti), risuona di tanto in tanto un «non expedit» o un «non possumus» e i borbottii anti-borbonici sono ininterrotti.
E pensare che è di conio o almeno di diffusione ottocentesca e molto spesso risorgimentale una larga fetta del linguaggio politologico spesso tuttora in uso con «radicale», «progressista», «conservatore», «moderato», «assolutista», «costituzionalismo», «oscurantismo», «liberale», «repubblicano», «comunista», «socialista», «separatista», «destra», «sinistra». Si parla di «rivolte», meno frequentemente di «moti»; continuano i «proclami» e i «plebisciti»; «unità» e «indipendenza» avranno magari cambiato significato ma non centralità.
Dalla scomparsa di Gianni Brera è invece difficile immaginarsi che qualcuno rispolveri il fantastico «tiremm innanz»; analoga sorte è toccata a quei tormentoni come «obbedisco» o il veramente eccessivo «qui si fa l´Italia o si muore»; la diminuita importanza e minacciosità dell´Austria ha anche fatto sostanzialmente scomparire gli «austriacanti» e gli appellativi popolari che toccavano agli allora dominatori. «Caiserlicchi», «mangiasego», «segoni», «patatucchi», «plùfferi», «tognini», «lurchi» sono termini che si possono leggere solo in Gadda o nelle storie della lingua italiana.