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 2010  gennaio 31 Domenica calendario

GODARD

Il più feroce di tutti i film della Nouvelle Vague, lo definì alla sua uscita, il 16 marzo di cinquanta anni fa, il critico di Le Monde Jean de Baroncelli. Sulle stesse pagine, l´intervista a Jean-Luc Godard regalava al lettore paradossi d´effetto («è un documentario su Jean Seberg e Jean-Paul Belmondo») e complicatissime semplificazioni: « un film mio che non ho fatto io. soltanto la variazione su un tema di François Truffaut, che ha avuto l´idea di sceneggiarlo». Ma, da subito, bout de souffle oltrepassa lo schermo e diventa film-manifesto, magari con un sospetto di sberleffo snob: filosofia travestita da marachella - e talvolta viceversa -, come saranno d´ora in poi tutti i film di Godard. Di cui tutti oggi conoscono tutto, cioè quasi nulla. Perché bout de souffle e gli altri film gemelli, da Le petit soldat a Alphaville, a La chinoise, Vivre sa vie, Week-end - titoli ancor oggi a diffusione planetaria - non sono che la fiammata di successo della sua prima stagione, nel fiore degli anni Sessanta e della Nouvelle Vague: uno spicchio, anche se il più popolare, della sua infinita produzione, cangiante e contraddittoria, sempre più ostica alle platee ma sempre ostinatamente, problematicamente viva. Quasi un cinema allo specchio, in orgoglioso esilio, come l´autore, autorecluso a Rolle, nella "sua" Svizzera, dove sta terminando Socialistes, probabile evento del prossimo Cannes.
Ma a far luce in Italia sull´ampio, derelitto trait-d´union del cinema-Godard da ieri a oggi, intervengono due "integrali", a staffetta: la prima, a cura di Roberto Turigliatto, organizzata dal Cec a Udine e Pordenone, che si conclude con un convegno il 5 e 6 febbraio; la seconda, organizzata a Bologna dalla Cineteca, sotto la direzione di un altro esperto, oltre che militante della Nouvelle Vague, Jean Douchet, dal 4 febbraio fino a giugno, quando verrà ripresa dal Museo del Cinema a Torino e dalla Cinémathèque di Losanna, completando così l´affettuoso e puntiglioso omaggio all´autore che il 3 dicembre compirà ottant´anni. In entrambe le rassegne, la produzione del regista, anche la più distante per temi e tecniche, ritrova la sua unità organica, la sua logica interna fino a capovolgere le prospettive. Rivisto a ritroso, tutto, dai film de combat dal ”68 in poi alle ricerche video, trova il suo posto e la sua necessità. Le Histoire (s) du cinema, gli otto film-saggio 1988-1998, cinque ore d´immagini, divenute anche un´opera in quattro volumi Gallimard, smettono di apparire una faticosa, certosina appendice d´autore, ma illuminano e decifrano i primi guizzi intellettuali del critico arguto dei Cahiers e capofila della Nouvelle Vague.
Il sottinteso che percorre le Histoire (s) è il riconoscimento del cinema come arte, con implicita la questione aperta dai Cahiers e grazie ai Cahiers già mezzo secolo prima: "come" può essere arte e a cosa può servire. Godard non ha fatto che illustrare questa vocazione del cinema, «esplorandone le possibilità - dice Douchet -, respingendone costantemente i limiti». Anche il procedimento di base, quasi la "ricetta" delle Histoire (s) - «l´idea che i film che sono stati fatti discendono dai film che sono stati visti» -, se da una parte s´inerpica lungo sillogismi-shock cari all´autore («l´arte nasce da ciò che distrugge: dunque, bruciamo i film»), dall´altra si chiarisce in un´affermazione di incontestabile rigore: «Non è tanto il passato che conta quanto l´uso che se ne fa». Esempio, beffardo, dello stesso Godard: «Un uomo, una donna, un´automobile: ecco un Viaggio in Italia. Sostituiamo la Jaguar con una tazza di tè, e Ozu sostituisce Rossellini». (Si potrebbe aggiungere: al posto della Jaguar, «Sali sull´Alpha, Roméo!» ed ecco Le Mépris).
Manovrare le visioni, scambiare consapevolmente i tasselli della storia, per renderla più diretta, più "presente". la grande intuizione del Resnais di Nuit et brouillard, di Hiroshima mon amour, «film che era impossibile prevedere in base a quel che già si sapeva del cinema», scriveva Godard sui Cahiers. già, quella di Resnais, una delle Histoire (s) di Godard e non è un caso che ora il Festival di Clermont-Ferrand gli dedichi le riflessioni della nuova sezione "Court d´histoire" ("corto" di storia, titolo godardiano). «La storia è tutta qui - annota Godard -: è avvicinamento, è montaggio». Montaggio mentale, prima di tutto, da bout de souffle in poi: «Ai tempi dei Cahiers, anche se non sapevamo fare film, sapevamo di poterli fare». Sagace e limpido, in proposito, l´antico scritto di Serge Daney che apre il volume La politique des auteurs (edito dai Cahiers nel 2001): «Godard, Truffaut, Rivette... una volta divenuti cineasti sono rimasti critici, fatto più che naturale poiché, critici, parlavano già da cineasti. così che quella che stava per divenire regola generale cominciò come eccezione francese: la Nouvelle Vague è la prima generazione di cineasti cinefili nella storia del cinema».