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 2010  febbraio 01 Lunedì calendario

MUNDELL «METTIAMO IL DOLLARO IN UNA GABBIA» - I

mercati finanziari rischiano di ricadere nella crisi, se le autorità monetarie e politiche non si mettono d’accordo per limitare le oscillazioni del dollaro dentro una banda di 1,20-1,50 per euro. Per i risparmiatori in cerca di rifugio l’oro non è un’opzione, a meno che non scenda almeno del 20%. Mentre le azioni cinesi sono davvero un interessante investimento. Lo spiega il Nobel per l’Economia Robert Mundell, appena tornato da uno dei suoi lunghi viaggi in Asia. CorrierEconomia l’ha incontrato nella sua casa newyorkese, a due passi dalla Columbia University dove continua a insegnare.
A dieci anni dalla sua nascita, come giudica l’euro? Che rischi ha di spaccarsi per la crisi greca?
«L’euro è stato uno straordinario successo: ha garantito la stabilità monetaria ai Paesi che l’hanno adottato, anche ai meno virtuosi. Le tensioni causate dai problemi della Grecia hanno una minima probabilità, direi l’1%, di portare a una crisi. Se la Grecia uscisse dall’Unione monetaria sarebbe uno choc, ma è già successo in passato, per esempio quando l’Urss si è dissolta e gli ex membri hanno lasciato il rublo».
Che critiche muoverebbe alla Banca centrale europea?
«La mancanza di cooperazione con quella americana, la Federal Reserve, nel gestire il cambio euro/dollaro: è stata la vera causa della crisi finanziaria del 2008. In soli tre mesi, fra il luglio e l’ottobre 2008 il dollaro si è rivalutato del 30%, dal minimo di 1,60 per euro a 1,23. Un’oscillazione enorme che ha fatto rincarare i titoli che Lehman aveva e cercava di vendere. Ritiratisi i possibili acquirenti, la banca d’affari è stata lasciata fallire dal governo Usa: un terribile errore, perché per il Tesoro salvarla sarebbe stato meno costoso che arginare il successivo panico».
Il presidente americano Obama ha annunciato che vuole imporre alle banche la «Regola Volcker», il divieto di speculare con fondi propri per chi fa attività tradizionali (depositi, prestiti). Eviterà nuove crisi?
« No. Obama può strillare quanto vuole contro le banche ma non serve, se non capisce che la minaccia alla prosperità globale viene dall’instabilità del dollaro. Quello che deve cambiare è la politica valutaria incostante della Fed e soprattutto il suo non coordinamento con la Bce. L’euro è passato da 1,18 dollari a 0,82 per risalire a 1,60: variazioni assurde. Fed e Bce dovrebbero porre limiti, al rialzo e al ribasso del dollaro – per esempio fra 1,20 e 1,50 – e muoversi insieme per rispettarli».
Ma questo non scatenerebbe l’attacco degli speculatori?
«Se le banche centrali decidono di stabilizzare i cambi, frenano le aspettative e quindi la speculazione».
Il dollaro sta risalendo: buona o cattiva notizia?
«Buona per l’Europa, ma fino a un certo punto, oltre al quale può provocare una ricaduta nella crisi e spingere alla bancarotta le banche più fragili. E ce ne sono parecchie».
Ai vertici dei Paesi del G20 si è parlato di una Nuova Bretton Woods o di un nuovo sistema monetario internazionale: si farà?
«Nessun leader politico ci crede davvero. Certo, è difficile immaginare un’unione monetaria tipo euro che comprenda Paesi percepiti come nemici. Ma si potrebbe creare una valuta unica oppure un sistema fisso di cambi per gli alleati della Nato, che rappresentano il 45% dell’economia globale. E il resto del mondo si potrebbe ancorare».
Secondo altri economisti la crisi è stata causata dai tassi troppo bassi e da un eccesso di liquidità che hanno gonfiato varie Bolle speculative. Non è d’accordo?
«No. Le bolle ci sono sempre state e sempre ci saranno. Il
2002-2008 ha visto il più grande boom economico della storia. I Paesi emergenti sono stati inondati di liquidità e hanno scommesso su un futuro migliore».
Fra gli emergenti, che cosa pensa della Cina?
«Come "fabbrica del mondo" ha contribuito ad aumentare il benessere e il potere d’acquisto ovunque. La sua decisione di mantenere il renminbi stabile e agganciato al dollaro ha prodotto grandi benefici per l’Asia. Nel 2005 Pechino decise di rivalutare il renminbi sul dollaro, ma di fronte al rialzo della valuta Usa nel 2008 ha fermato il processo e ha così limitato i danni all’economia cinese».
E’ necessario un riequilibrio del cambio renminbi/dollaro?
«Da dieci anni il Fmi fa pressioni sulla Cina per lasciar libero il renminbi di fluttuare, ma sarebbe un pessimo servizio all’Asia e per le aree più povere
della Cina, quelle occidentali. I cinesi non lo permetteranno, perché vedono che cosa è successo con il cambio euro/dollaro. Per riequilibrare i rapporti Usa-Cina i governi dovrebbero parlare di ridurre il surplus cinese, stimolando là i consumi e i risparmi in America».
Un risparmiatore può fidarsi delle azioni cinesi?
«La Cina è già oggi la terza economia mondiale dopo gli Usa e l’Europa, davanti al Giappone. A questi ritmi in venti anni supererà l’Europa, mentre ci vorrà più tempo per raggiungere l’America, che continua a crescere anche demograficamente. Va bene investire in azioni cinesi, ma solo una parte del portafoglio».
E l’oro?
« un investimento assurdo, non è vero che rende sempre. Era arrivato a 873 dollari nel 1980 con l’inflazione al 13% negli Usa, ma quel prezzo oggi in termini reali è 2.200 dollari, il doppio delle quotazioni attuali. Per diversificare, si può comunque comprare un po’ d’oro se scende almeno sotto i 900 dollari l’oncia, meglio sotto gli 800-700».
C’è chi invoca un rialzo dei tassi della Fed per combattere l’inflazione.
.. « L’inflazione è sempre una minaccia quando le banche centrali stampano moneta per finanziare i crescenti debiti pubblici. Ma oggi è il momento sbagliato per una stretta. La ripresa è ancora debole e va rafforzata. Lo stimolo di Obama non ha intaccato la disoccupazione, ha solo ingigantito il debito pubblico. La Fed dovrebbe guardare a tre indicatori per cogliere i sintomi di aspettative inflazionistiche: il prezzo dell’oro, quello del petrolio e il cambio euro/dollaro. Ma Ben Bernanke non ci fa caso».
Non le piace che sia stato confermato a capo della Fed?
« Non ha mai chiesto scusa per i suoi errori, quindi li ripeterà. Ma non so chi potrebbe far meglio, perché la maggioranza degli economisti la pensa come lui».
E come vede la candidatura del governatore della Banca d’Italia Mario Draghi alla guida della Bce l’anno prossimo?
«Sarebbe un’eccellente scelta. Il problema è che, venendo da un Paese con un debito pubblico superiore al 100% del Pil, può dare l’impressione che la sua politica monetaria sarebbe meno rigorosa, e io temo che per combatterla Draghi adotterebbe una linea più stretta del dovuto. Sarebbe stato un ottimo capo del Fmi, ma può davvero diventare il governatore della Bce grazie alle credenziali guadagnate come presidente del Forum sulla stabilità finanziaria».
Maria Teresa Cometto