Salvatore Bragantini, CorrierEconomia 01/02/2010, 1 febbraio 2010
ECCO PERCHE’ LA RICETTA DI OBAMA PUO’ FUNZIONARE
Dai primi scricchiolii della crisi sono passati trenta mesi. Il sistema bancario, dopo aver sfiorato l’abisso, torna a macinare utili, grazie al sostegno pubblico e ai bassi tassi a breve. Nel frattempo, l’impulso della crisi, passando dalla finanza all’economia reale, incide sui bilanci delle banche, per gli accantonamenti sui crediti dubbi. Quando un pauroso incidente causa una lunga coda di auto, questa si trasmette all’indietro anche dopo la rimozione del blocco originario. Come evitare ora nuovi gravissimi incidenti e oneri a carico dello Stato, senza costringere tutti a marciare a passo d’uomo? La via maestra è elevare i requisiti di capitale, e porre un tetto al leverage, ai debiti. Non esiste, però, un numero magico che dà la sicurezza. Dato che condizione sine qua non per fallire è l’esistenza di debiti (copyright Tancredi Bianchi), il rischio è ineliminabile; a meno di costringere tutti ad andare a piedi. Onde gli alti lai bancari, per il timore che i limiti di Basilea 3 siano troppo alti, e danneggino chi valuta bene il rischio. I nuovi requisiti entreranno in funzione dal 2012, per evitare di strozzare ora il nuovo credito. giusto, ma echeggia qui la famosa invocazione: fammi virtuoso Signore, ma non subito. Prima Draghi’ poi a Davos Trichet, presidente della Bce’ chiedono prudenza sui dividendi. Tremano gli investitori, da noi le Fondazioni soprattutto. Per i dividendi, saltati o quasi l’anno scorso, anche quest’anno tira un’aria gelida, come previsto ( Corriere 23 ottobre 2009); tanto più che parte degli utili deriva dal sostegno pubblico, anche indiretto. Non c’è un «silver bullet», la bacchetta magica. per questo che le critiche alle proposte di Obama mancano il bersaglio (vedi Corriere del 24 gennaio). La scarsa concorrenza negli Usa genera profitti eccessivi, sottratti alle imprese; di qui l’intento di fermare la corsa alla concentrazione. Ma, si dice, il vero problema è l’interconnessione; Lehman ha causato il maxi incidente perché, non troppo grossa, ma interconnessa. Non si capisce però cosa proponga chi fa tale obiezione. Non praticabile il divieto di interconnessioni «eccessive», si può solo imporre alle banche un testamento. Ciò consentirebbe di smontare con ordine gruppi complessi insolventi, in base ai programmi dagli stessi predisposti. Certo, il testamento aiuterà i malcapitati che dovranno orientarsi nella giungla, ma lasciar fallire la Lehman di domani solo perché Fuld ha fatto il compitino, sia pur bollinato dai regolatori, richiederebbe una bella dose di audacia!
La crisi è stata causata dall’incapacità di valutare correttamente i rischi, dovuta all’interessata euforia che si impadronisce periodicamente dei mercati, e alla passività della Federal Reserve, incapace di portar via il whisky quando la festa si fa troppo calda; salvo poi servirne ancora dosi abbondanti, per fugare la tristezza, quando subentra alla sbornia. Contro la psicologia umana e l’istinto del gregge l’antidoto non esiste. Obama, come Alessandro Magno, ha reciso il nodo gordiano; deve solo perfezionare la proposta, coprendo, oltre alle banche, tutte le istituzioni di importanza sistemica, per evitare che le Goldman Sachs e le Morgan Stanley rifugiatesi, nella tempesta, sotto l’ombrello della Federal Reserve, possano, tornato il sereno, sottrarsi alle nuove norme, rinunciando al nome di banca. Così integrata, la proposta sarebbe la vera «Regola Volcker» (dal nome dell’ex governatore della Fed); fu proprio il «Gruppo dei 30» da lui presieduto (ne fa parte Tommaso Padoa-Schioppa), a lanciarla, in questi termini, un anno fa. Quanto all’Italia, trascuriamo le leggi da sagra di paese, come quella che pone un tetto alla retribuzione dei vertici delle società quotate, pari a quella dei parlamentari, vieta in banca le stock option e impone trasparenza retributiva ben sotto il consiglio di amministrazione, i cui compensi sono già comunicati. Se il grave pondo del laticlavio non impedisse a chi lo porta di informarsi, si saprebbe la vuotaggine di norme che penalizzano le quotate. Forse è troppo chiedere che il governo affronti la nostra vera emergenza, la perdita di competitività, su cui grava un debito pubblico che oggi fa più paura di ieri, per il soffio del grecale. Il governo, anziché giocare per le tribune, elimini la norma che costringe le banche a pagare le tasse sulle perdite su crediti: ciò genera crediti fiscali che non accrescono il patrimonio, dato che se la banca va in crisi esse svaniscono. Prendiamola bassa, e rimediamo, almeno, a quest’assurdo.
Salvatore Bragantini