Arturo Parisi, Corriere della Sera 31/01/2010, 31 gennaio 2010
PARISI: CONSORTE SBAGLIA, LA «BANCA DEI DS» AVREBBE UCCISO IL PD
Caro Direttore, a proposito della tentata scalata dell’Unipol alla Bnl, o, per dirla con parole non mie, dell’idea di dare una banca ai Ds, leggo sul suo giornale una ricostruzione di Giovanni Consorte che mi chiama di nuovo personalmente in causa. Capisco che Consorte non riesca ancora a capire come i suoi amici politici, che lui aveva pensato come i principali beneficiari, prima tifarono ma poi contribuirono ad affossare l’operazione. Mi farebbe invece piacere se Consorte capisse il mio punto di vista, prima dello spettacolo giudiziario annunciato con gran corredo di testimoni politici. L’unica cosa esatta è, nella sua ricostruzione, il fatto che di quella operazione io fui nel centrosinistra uno dei primi avversari, certamente uno di quelli più aperti. Tutto il resto è distorto: le date, le posizioni delle persone, gli argomenti. Nella calda estate del 2005 non solo il Pd non era nato, ma il vertice del partito nascituro era profondamente diviso soprattutto sulla opportunità della sua nascita. Da una parte stavano i capi di Ds e Dl, da Fassino e D’Alema, a Rutelli e Marini, che difendevano con accanimento le loro divisioni, dall’altra io e una pattuglia di ulivisti che si battevano con ostinazione per un partito nuovo. vero che Rutelli condivideva con me la resistenza all’idea di Consorte, che «sognava una banca per i suoi Ds», ma il cattolicesimo è meglio lasciarlo da parte. Ad entrambi era invece chiaro che nulla di nuovo e nulla di stabile potesse venire da un incontro tra un partito che restava l’espressione organica di un sistema fatto di banche, di imprese cooperative, di sindacati, e legami internazionali precostituiti, e un altro portatore solo delle sue idee e dei suoi valori. Era chiaro soprattutto a me che pensavo ad un vero partito nuovo e non solo ad una alleanza tra diversi. Così chiaro da avermi indotto a chiedere già nel 2000 al congresso Ds, di sciogliere quel sistema per cercare insieme il Partito democratico. Quello che Consorte non capiva era soprattutto che la banca di un partito vecchio non solo era un ostacolo sulla strada di un partito nuovo, ma, prima ancora, l’opposto dell’idea del rapporto tra società e Stato che quel partito si proponeva. Poteva un partito ispirato ad una concezione pluralistica della società, e, quindi, ad una distinzione tra economia, stato, partiti, chiese etc., difendere, rafforzare, espandere, addirittura modelli e prassi che venivano dal passato? Poteva un partito in campo contro Berlusconi e la sua commistione di affari e politica, progettare una iniziativa che come lui dice si proponesse di diventare «braccio finanziario del governo» guidato dall’idea che «potere politico ed economico» non possono essere disgiunti? Rilegga Consorte il mio «allarme» raccolto allora da Dario Di Vico sulle «commistioni tra politica ed economia». Scoprirà che il caso Bnl Unipol era purtroppo solo uno degli esempi. Il denominatore dei casi denunciati era un altro. Come si poteva accusare Berlusconi di mescolare affari e politica, e poi fare politica e affari come lui, o addirittura con lui? Perché questa è, all’essenza, la questione morale. Dire una cosa e fare esattamente l’opposto. Dare a intendere di essere una cosa e poi essere un’altra. Ieri come oggi.
Arturo Parisi