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 2010  gennaio 31 Domenica calendario

IL CLUB DEI MONOD-TEISTI

«L’intento autentico del vostro illustre fondatore sembra che non fosse tanto di far spiccare certi uomini sopra ad altri ma di consacrare agli occhi di tutti i più alti valori della cultura umana: la pace , l’arte e la conoscenza.
Valori che non possono espandersi altrimenti che alleandosi tra loro. Perché la conoscenza stessa non è accessibile se non in quanto fondata su un’etica così come su un’estetica; etica ed estetica che, a loro volta, sono arricchite dalla conoscenza ». Con queste parole, il 10 dicembre 1965, Jacques Monod iniziava il suo "Banquet Speech", che seguì il conferimento del Premio Nobel per la Fisiologia o Medicina (insieme con François Jacob e André Lwoff) per le scoperte sul controllo genetico della sintesi enzimatica e della replicazione dei virus batteriofagi.
Al di là dell’omaggio ad Alfred Nobel, le sue parole esprimono un punto di vista sulla scienza per cui Monod è considerato non solo uno dei fondatori della biologia molecolare, ma anche uno dei pochi scienziati che sono stati influenti maître à penser del XIX secolo. Un intellettuale capace di lasciare tracce profondissime in almeno un’intera generazione, quella che ha avuto la ventura di leggere Il Caso e la Necessità.
Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, pubblicato esattamente quarant’anni fa a Parigi da Les Editions du Seuil, e praticamente in contemporanea in Italia nella Biblioteca della EST di Mondadori, grazie a una delle tante intuizioni di Edgardo Macorini. Monod era nato a Parigi il 9 febbraio di cento anni fa. Il clima culturale che respirò nell’infanzia lo influenzò non poco: il padre, di famiglia ugonotta, era uomo di vasta cultura: pittore ed esperto d’arte, era anche musicista dilettante, nonché un erudito positivista e un darwiniano convinto; la madre era un’americana di ascendenza scozzese che gli trasferì una cultura laica, cosmopolita e anticonformista. Acquisita una solida educazione classica e artistica, tra cui la passione per il violoncello, sviluppò presto anche un interesse per la biologia. Nel 1936 andò a studiare al California Institute of Technology con Thomas Hunt Morgan, il leader degli studi citogenetici sulla drosophila . Tra un esperimento e l’altro, a Pasadena, organizzò un’orchestra e un coro,che diresse con tale brio da ricevere un’offertadi lavoro permanente.
Rientrato a Parigi si dedicò allo studio dei processi di crescita delle colture batteriche, collaborando all’Institut Pasteur con Lwoff. Questi aveva evidenziato che ceppi batterici potevano crescere a velocità diverse in ambienti contenenti zuccheri diversi. Era un problema tipicamente darwiniano: come fanno i batteri ad adattarsi al substrato? Monod per un certo periodo si rifiutò di pensare darwinianamente, e ragionò come un cripto- lamarckiano. E questo anche dopo il 1944, anno in cui Max Delbrück e Salvator Luria dimostrarono che gli adattamenti dei batteri ai substrati sono il risultato della selezione naturale, esercitata dal terreno di coltura che avvantaggia i mutanti preesistenti ovvero con un gene che gli consente di nutrirsi.
Ma Monod non pensava solo ai batteri. Era preso anche da un senso morale e civile che investì nella Resistenza antinazista, per cui guadagnò vari onori militari. Dopo la liberazione riprese le ricerche al Pasteur, portandovi un clima di fermento intellettuale, non solo sul piano scientifico, fondato sul confronto critico delle idee. I seminari di quello che era chiamato il "Club dei Monod-teisti" furono una palestra che egli dirigeva con carisma avvincente e un rigore logico implacabile (qualcuno dirà applicato soprattutto alle altrui teorie).
Le ricerche condotte insieme a Lwoff, Jacob, Pardee, Changeux e altri ricercatori che lavoravano o passavano per il Pasteur, crearono una scuola di biologia molecolare che si confrontò alla pari con quelle inglesi e statunitensi, e che egli guidò alla scoperta, tra altre cose, del meccanismo genetico che regola le sintesi enzimatica nei batteri, e del fenomeno dell’allosterìa ,ovvero del meccanismo di cambiamento della conformazione tridimensionale grazie a cui gli enzimi "sanno" cosa fare.
Le riflessioni filosofiche a cui parallelamente Monod si dedicava, interagendo con decine di scienziati e pensatori, di cui sembra si sia perso lo stampo, confluirono nel 1970 nel celeberrimo
Le Hazard et la Nécessité . I presupposti dell’opera si possono leggere nella Prefazione, quando Monod, superando il problema delle due culture e anticipando la "terza" scrive: «Oggi è poco prudente per un uomo di scienza inserire il termine "filosofia", sia pure "naturale", nel titolo o nelsottotitolo di un’opera:è il modo migliore per farla accogliere con diffidenza dagli scienziati e, per bene che vada, con condiscenza dai filosofi. Ho un’unica scusante, che però ritengo legittima, ed è il dovere che si impone agli uomini di scienza, oggi più che mai, di pensarelapropriadisciplinanelquadrogenera-ledellaculturamodernaperarricchirlononso-lodinozioniimportantidalpuntodivistatecni-co ma anche di quelle delle idee, provenienti dal loro particolare campo d’indagine, che essi ritengono significative dal punto di vista umano. Il candore di uno sguardo nuovo (quello della scienza lo è sempre) può talvolta illuminare di luce nuova antichi problemi». E, più avanti: «... Mi assumo anche la piena responsabilità degli sviluppi di ordine etico, se non politico, che non ho voluto evitare, per quanto pericolosi o ingenui o pretestuosi possano sembrare mio malgrado: la modestia si addice allo scienziato, ma non alle idee che sono in lui e che egli ha il dovere di difendere.».
L’opera, di grande qualità letteraria, ridiscuteva coraggiosamente il posto dell’uomo nel mondo da una prospettiva rigorosamente scientifica e fece conoscere Monod al di fuori dell’allora ristretto ambito dei biologi molecolari.
Il caso e la necessità era una interpretazione allo stesso tempo filosofica e scientifica, aggiornata alla luce della biologia molecolare della teoria della selezione naturale di Darwin. stato raramente notato che Monod dedicò alcune pagine a quella che chiamò "l’altra frontiera", il cervello. In un’epoca in cui le neuroscienze si trovavano nella loro infanzia, Monod anticipava alcuni degli sviluppi che lo studio del cervello ha vissuto nei quarant’anni seguenti. Chi oggi affronta il problema del rapporto tra mentee corpo, le sfide della genetica e dell’epigenetica nell’apprendimento culturale, è in grado di farlo grazie alla lezione di Monod.
Nell’ultima parte del libro,quella più filosofica e "anticipatrice", Monod descriveva, come forse mai prima d’allora, la visione moderna sull’origine dell’uomo,del linguaggio e del pensiero in termini di un "incidente" che avrebbe potuto non verificarsi. E sottolineava, anche con crudezza,come la storia dell’umanità corrisponda in parte al disperato tentativo di negare la propria contingenza. Di fronte a questa situazione angosciante, Monod proponeva un "rimedio": una nuova etica, che non può che essere l’etica della conoscenza basata sul postulato di oggettività, la sola che possa permettere all’uomo di non ripiombare nelle " tenebre". A 100 anni dalla nascita e a quarant’anni dalla pubblicazione de Il Caso e la Necessità, la lezione scientifica, umana e morale di Monod rimane attualissima, nonché una risposta a chi oggi sostiene che la scienza non è stata e non è in grado di produrre un’etica.