Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  gennaio 31 Domenica calendario

DAI, ALZA LA CORNETTA: C’ TRONCHETTI CHE ASPETTA (*

per vedere domande e risposte aprire il frammento) - Guardi, funzionava così. Io,
quasi ogni settimana, incontravo a
Milano Giuliano Tavaroli e gli illustravo
il contenuto delle pratiche. Quando
il dossier era particolarmente importante,
Giuliano nemmeno mi lasciava
finire di parlare, che già era al telefono. Come
ho raccontato ai pm chiamava la segreteria di Marco
Tronchetti Provera o lui direttamente, visto che in
azienda era uno dei pochissimi a poterlo fare. Diceva:
’Dottore sono qui con il fiorentino, ha portato l’esito
che aspettavamo, vengo subito’. Poi s’incamminava
verso via Negri, dove Tronchetti ha l’ufficio, con il dossier
sotto il braccio”.
Eccola qui la verità del ”fiorentino”, al secolo Emanuele
Cipriani, 49 anni vissuti nell’ombra tra detective
privati, servizi segreti e grandi aziende. E anche se viene
da un imputato è una verità scomoda. Perché Cipriani,
l’uomo che raccoglieva dossier su esponenti
del mondo della finanza e della politica - dai Ds a Forza
Italia - e che schedava i dipendenti di Telecom e Pirelli,
oggi ha un diavolo per capello. Ce l’ha con Tronchetti
che nell’inchiesta sullo scandalo della security della
compagnia telefonica era ed è rimasto testimone. Ce
l’ha con i magistrati che ”non sono saliti di livello”. E
che, per giunta, gli hanno sequestrato molti milioni di
euro considerati frutto di una gigantesca appropriazione
indebita ai danni dell’azienda. Denaro che adesso
Cipriani rivuole indietro. ”Perché - protesta - è come
se mi dicessero che quei soldi li ho rubati. Ma io i
reati che ho commesso, li ho ammessi. Ladro però, no.
Era tutto fatturato. E a ogni fattura corrispondeva un
codice numerico che rimandava ad una pratica, ovvero
ad una attività che poteva essere: lecita, illecita o
parzialmente lecita. Un lavoro di cui, oltretutto i vertici
dell’azienda e Tronchetti, che adesso fa persino
finta di non sapere chi sono, erano perfettamente a
conoscenza. I miei committenti erano Pirelli e Telecom.
Tra i miei clienti, in qualche caso, ci sono stati lo
stesso Tronchetti e alcuni suoi avvocati: è tutto riscontra
bile”.
D’accordo, Cipriani, le cose staranno pure così.
Ma lei come fa a sostenere che Tronchetti fosse al
corrente dei metodi usati per raccogliere informazioni?
Agli incontri tra lui e Tavaroli lei non
par tecipava...
Sa che cosa sono i disturbatori d’assemblea?
Sì, azionisti che fanno domande scomode. In
qualche caso sono persino dei ricattatori...
Esatto, in Telecom ce ne erano molti. Ma alcuni di loro erano delle brave persone. Gente laureata, preparata
che, come mi diceva Tavaroli, Tronchetti pativa. Lo
puntavano da anni e spesso con le loro domande lo
mettevano in imbarazzo.
E allora?
Beh ogni anno Tavaroli mi chiedeva un aggiornamento
investigativo sulla loro situazione. Si andava a vedere
se c’era qualcosa di negativo su di loro. Li analizzavamo
da cima a fondo.
Questo cosa dimostra?
Mi ascolti. Le racconto un episodio che non ho riferito
ai magistrati, anche perché sul punto non mi hanno
chiesto niente. Sarà stato il 2003 o il 2004, era comunque
l’ultima assemblea da me seguita. Tavaroli riceve
una telefonata. Tronchetti che gli dice ”Mi raccomando
quello là”. Si riferiva a un docente calabrese,
Gianfranco D’Atri, su cui c’è un dossier molto particolareggiato.
Giuliano mi spiega che ”quello il Dottore
lo patisce”.
E lei cosa fa?
Un’attività pesante. Giuliano diceva: ”voglio tutto”. In
assemblea D’Atri verrà anche controllato di continuo,
in gergo diciamo mappato, dagli uomini della security
d’accordo con i loro dirigenti e alcuni vertici
dell’azienda seduti al fianco di Tronchetti.
Non mi pare un reato.
Sì. Ma io ho un colpo di fortuna. Riesco ad affiancargli
una mia fonte. Una persona che mi anticipa quasi tutte
le domande che farà a Tronchetti. un’operazione stile
servizi segreti, loro la chiamerebbero un’operazione
di manipolazione. Nella notte precendente all’as -
semblea giro le informazioni a un uomo della security
che, come mi viene detto, le veicola a Tronchetti. Il
risultato è che il dottore risponde a tutto con tranquillità.
Insomma fa una bellissima figura. Mi spieghi
lei come poteva pensare che fossero informazioni ottenute
lecitamente?
Storiaccia. Ma non chiude il cerchio...
Dice? Io mi sono occupato di business che per Pirelli e
Telecom valevano molti milioni di dollari. Le richieste
d’informazioni ”ordinar ie” riguardavano di solito i fornitori
o gli aspiranti fornitori: facevamo delle analisi
per capire se erano affidabili. In altri casi, chiamiamoli ”straordinar i”, le richieste erano mirate e dirette all’ac -
quisizione di notizie anche strategiche per Pirelli e Telecom.
A richiederle erano i cosiddetti ”clienti interni”.
I mega dirigenti, spesso della direzione legale o
del personale, che ne parlavano con Tavaroli o gli inviavano
delle mail che, a volte, mi girava.
E allora?
Questo dimostra che l’azienda era perfettamente al
corrente delle modalità, anche illegali, del mio lavoro.
E non solo perché Tavaroli mi diceva che le pratiche
più importanti e sensibili riguardavano affari che ovviamente
Tronchetti seguiva personalmente. Il punto
è che venivano spesso raccolte informazioni di natura
bancaria e patrimoniale. E visto che il segreto bancario
esiste, mi pare che tutti potessero capire che ci si
trovava di fronte a qualcosa d’illecito. Per non parlare
poi delle schedature di massa...
Schedature di massa?
Sì, se lo ricorda lo scandalo dei primi anni Settanta
sulle migliaia di dipendenti Fiat su cui l’azienda di Torino
aveva fatto fare dei dossier?
Cer to.
Beh, anche noi avevamo fatto qualcosa di simile. Nelle
operazioni Scanning e Filtro abbiamo controllato chi
aspirava ad entrare in Telecom e in Pirelli. Controlli
anche sui precendenti di polizia. I risultati li mandavo
alla security che li girava ai dirigenti del personale.
E i dossier sui politici, invece, a che cosa servivano?
Quello sul sottosegretario alle riforme Aldo Brancher
lo facemmo perché Tavaroli mi disse che il ”d o t t o re ”
doveva incontrare il leader della Lega, Umberto Bossi.
E che per questo – Tronchetti aveva bisogno della
sponsorizzazione di Brancher”. Lui mi spiegò che doveva
essere pesante, che doveva sapere tutto di lui. Io
così partii da una società off-shore che lo collegava a
una serie di operazioni speculative. Da lì sono arrivato
andato a finire su di lui.
Ma Tronchetti lesse il dossier?
Quando ne riportai l’esito a Giuliano fu una di quelle
volte in cui lui gli telefonò per dirgli ”è arrivato il fiorentino,
vengo subito da lei”. Ma adesso leggo che
Tronchetti sostiene di non aver quasi mai visto Giuliano
e che Tavaroli si è approfittato della sua fiducia. E
il bello è che la magistratura gli ha creduto. Forse perché Tavaroli nei suoi interrogatori lo ha
accuratamente tenuto fuori da tutto. Mentre lo
ha tirato in ballo durante sei chiacchierate con
Giuseppe D’Avanzo di Repubblica. Si è chiesto il
perché di questo atteggiamento da parte di Tav
a ro l i ?
Me lo sono chiesto, e non l’ho condiviso. Dico solo
che Tavaroli, a distanza di due anni dalle sue dichiarazioni
a Repubblica, ha chiesto il patteggiamento e
ha chiuso tutto con 4 anni e mezzo di pena. Una pena
di fatto già espiata, visto che tre anni sono stati condonati.
Insomma forse alla luce del suo patteggiamento
la risposta ciascuno se la può dare da solo.
Cosa pensò quando vide le sue affermazioni?
Dopo aver chiuso il giornale, dissi ”Finalmente si è
deciso a parlare”. Siccome ero contentissimo insistetti
con i miei avvocati perché andassero in procura dal
dottor Fabio Napoleone a chiedere che cosa sarebbe
accaduto. Uno dei miei legali mi riferì la risposta: ”Io
sono qua, se Tavaroli viene lo verbalizzo”. Mi cascarono
le braccia...
Per lei, quindi, non si è voluto indagare a fondo.
Constato quello che è accaduto. Si potevano sentire
molte altre persone da me menzionate come a conoscenza
del ”m o d u s - o p e ra n d i ” nelle aziende Pirelli e
Telecom. Pensi solo ai dirigenti che ricevevano i report
sul personale d’assumere. Si potevano fare perquisizioni,
per riscontrare le mie dichiarazioni. Mi fa
poi riflettere il fatto che le registrazioni di alcuni miei
interrogatori sui dossier più sensibili politicamente
sono state depositate, ma senza trascriverle. Agli atti ci
sono i verbali riassuntivi in cui mancano dei nomi che
sono quasi certo di avere fatto.
Cosa intende dire?
Le faccio un esempio: il dossier su Lorenzo Cesa, il
segretario dell’Udc. Durante un interrogatorio il dottor
Napoleone mi dice sorridendo che per certi versi
ho anticipato delle situazioni che poi sono emerse nelle
indagini di Luigi De Magistris Poseidone e Why Not.
Io gli ho risposto, con altrettanta simpatia: ”Ha visto
perché mi pagavano bene? Perché dicevano che ero
b ravo ”. Lui si è messo a ridere. Ma era la verità. La
procura però per capire perché mi era stata commissionata
l’indagine avrebbe dovuto prendere l’agenda
di Tronchetti, come avevo suggerito, mi pare ovvio.
Anche il dossier Oak, quello su presunti conti
esteri dei Ds fu disposto in vista di un appuntamento
politico?
No, quella fu un’inchiesta lunghissima. La chiese Tavaroli
per Tronchetti in occasione dell’acquisto del
pacchetto di maggioranza di Telecom, insomma subito
dopo il suo ingresso.
Tavaroli ha detto a verbale che si era partiti perché
si credeva che Oak Fund riguardasse dei dirigenti
di Telecom.
No, le dico come è andata. L’ho già detto ma nessuno
mi ha creduto. Lui mi chiama e mi dice che devo rientrare
dalle ferie ”perché il Dottore ha comprato Telecom”.
Siamo a fine agosto 2001. Tavaroli ha Il Sole 24
o re sul tavolo. Prende la penna e dice guardando la
composizione di Bell, la società Lussembughese, che
controllava parte del capitale: questi sono loro. C’era
scritto Oak fund: fondo quercia. Io dico ”ah bene, è
uno scherzo?’, lui mi dice – no io ho contezza che sono
loro. Il Dottore vuole sapere chi ha in casa’. E io esco
con l’articolo in mano, chiedendomi: e adesso come
faccio a partire?
Già, come ha fatto?
Come quasi sempre. Dall’inizio, analizzando le notizie
su fonti aperte e banche dati accessibili a tutti. Se ci
fossero qui i mie faldoni anche lei se ne renderebbe
conto. Chiamai a rapporto le mie fonti, tra cui la mia
fonte principale per operazioni internazionali, il famoso
investigatore inglese ”John Poa” e siamo andati
avanti gradino per gradino. Abbiamo fatto più di 10
report, con altrettanti schemi riassuntivi, perché il
Dottore voleva solo schemi ed ”executive summary”,
Tavaroli me lo diceva sempre. Il lavoro che fai, lo fai
bene. Ma i documenti me li metti dietro. Ed è così
venuto fuori un sistema finanziario di altissimo livello.
Le famose società finanziarie...
Il problema, hanno scritto i giornali, è che l’ultimo
documento, quello decisivo, è macchiato...
No, non è l’ultimo documento. E’ un documento, allegato
a uno degli ultimi ”executive summary”, ottenuto
da una fiduciaria estera di un paese off-shore. Ma è su carta intestata e dentro viene lasciato il corpo.
Insomma si legge una frase, se ricordo bene, del tipo:
secondo la vostra richiesta vi diciamo che dietro questo
conto ci sono queste persone. Poi sono macchiate
solo le firme degli amministratori della fiduciaria.
Quindi potrebbe essere falso...
Me lo ha detto anche il dottor Napoleone. Ma io gli ho
risposto: peccato che negli ultimi report, tra documenti
bancari, telex e carta con le firme macchiate ci
saranno una trentina di allegati. Ipotizziamo che mi
abbiano truffato al 50 per cento, ma mi pare che basti.
E poi tenga conto che le mie fonti sono persone con
cui ho lavorato per più di dieci anni e non mi hanno
mai dato un’informazione sbagliata. Le stesse aziende
Pirelli e Telecom ne hanno certificato l’af fidabilità.
Che cosa vuol dire fonti certificate ?
Significa che ci sono stati dei dirigenti costretti alle
dimissioni sulla base dei miei dossier. Dirigenti che
oggi non si sono costituiti parte civile contro di me.
Eppure in quei fascicoli si parla di loro conti esteri, di
bonifici bancari oltre frontiera, insomma di infedeltà
aziendale. tutta gente che è stata dimissionata con
tanto di lettera di benemerenza di Tronchetti. Insomma,
erano Telecom e Pirelli che mi confermavano che
le mie fonti erano buone, perché quei dirigenti erano
stati visti ”in difficoltà” da Tronchetti. E allora, se erano
buone quando io facevo cacciare i dirigenti, perché
non dovevano essere buone su Oak?
Le polpette avvelenate si vendono anche così...
Certo, però io ho trenta allegati....
Solo che ora nessuno per legge può indagare per
sapere se il contenuto dei dossier era falso omeno.
Nel 2006 il parlamento con una legge bipartisan
ne ha ordinato la distruzione..
Interviene Francesco Caroleo Grimaldi, avvocato di
fiducia di Cipriani, assieme a Vinicio Nardo: ”Sulla base
dei dossier non si può aprire un’indagine. Ma sulla
base delle dichiarazioni del nostro assistito sì. E infatti
ci lascia interdetti che oggi si colpisca l’autore delle
investigazioni e che viceversa restino immuni chi ha
dato l’incarico delle investigazioni e i soggetti destinatari
di ipotesi di reato oggetto delle investigazioni”.
Cipriani continua: ”Io penso che se era difficoltoso
fare le verifiche sull’estero, c’era abbondante materiale
su persone fisiche e societarie italiane che avevo
individuato come fiduciari italiani, alcuni dei quali addirittura
lombardi. Queste cose andavano verificate.”
Credo di sì, anche se in procura spiegano che i
fatti contenuti nel suo dossier non erano recenti.
E che l’eventuale ipotesi di reato, la violazione
della legge sul finanziamento pubblico ai partiti,
era già caduta in prescrizione. Comunque, Cipriani,
le informazioni sui Ds a che servivano?
Tavaroli diceva che le avrebbe gestite il dottore nelle
sue attività romane. Perché Telecom , sosteneva, era
un patrimonio romano ed un ”fe u d o ” di una certa area
politica. Io ne prendevo atto e pensavo che loro volessero
sapere come gira la musica per avere argomenti
di interlocuzione.
Un ricatto?
In carcere i magistrati mi hanno chiesto: ”ma voi chi
r icattavate?”. Ho risposto io nessuno e sfido chicchessia
a dire se è mai stato ricattato da me. Le pratiche non
erano per me, ma per chi le commissionava: lo chieda
a loro. Comunque io, con tutto quello che penso di
Tronchetti, sono convinto che non sia un ricattatore.
Certo, però, che conoscere le notizie serve: si dice da
sempre che l’informazione è potere.
Lei aveva anche legami di amicizia e lavoro con
Marco Mancini, il capo del controspionaggio...
Sì, da quasi trent’anni. Ma su questo, oggi, c’è il Segreto
di Stato. Posso dire, come ho già fatto con la
procura, dopo aver chiesto ai magistrati che s’informassero
se potevo rispondere, che ho fatto delle attività
per conto del Sismi. A verbale ho parlato di due
operazioni perché ritenevo, e ritengo, che non ponessero
problemi si segretezza anche se erano riservate.
Del resto non ho parlato. Comunque la mia collaborazione
col servizio risale all’epoca del colonnello
Umberto Bonaventura. Era un supporto finalizzato
all’attività informativa, operativa e logistica italiana ed
estera. Il mio interlocutore di solito era Mancini anche
perché io avevo delle fonti che lui non aveva.
Così tra legge che impone la distruzione dei dossier,
il segreto di Stato, i silenzi di Tavaroli e quelli
della stampa di queste storie nessuno parla
più...
I poteri forti esistono. Quando Tavaroli, nelle sue dichiarazioni
a Repubblica ha descritto il network ”ro -
mano” che può influenzare strategie e decisioni di
rango politico ed economico, sulla base di quanto mi
narrava, ritengo avesse ragione. Tronchetti ha giocato
bene le sue carte. Ha trovato i canali attraverso cui
poteva essere ascoltato. La situazione è questa. E il
fatto che sia diventato vice-presidente di Mediobanca
dopo aver lasciato Telecom, per me, la dice lunga. Comunque
facciano come credono. A me importa solo
che non mi facciano passare per un ladro. Le mie società
non erano una cartiera, non facevano fatture false.
Lavoravano per Pirelli, Telecom e per le migliori
industrie italiane, con un portafoglio clienti di tutto
rispetto. E io oggi voglio solo indietro quello che mi
spetta.
Peter Gomez