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 2010  gennaio 29 Venerdì calendario

TETTO STIPENDI, PAROLA ALLA CAMERA

L’assemblea del Senato ha approvato ieri il disegno di legge comunitaria 2009, confermando così tra i contenuti il tetto allo stipendio dei manager al vertice di società quotate, che non può superare il trattamento economico dei parlamentari, cioè un massimo di 248mila euro lordi l’anno.
Una norma controversa, sulla quale dovrà pronunciarsi la Camera, che ha ricevuto criticata da dirigenti d’azienda e dal presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia: « una fesseria totale che va eliminata al più presto. Il tetto non ha alcun senso, anche perché sono manager delle aziende private ». Le ipotesi di modifica o abolizione del tetto, genericamente ventilate da ambienti della maggioranza dopo l’approvazione unanime dell’emendamento di Elio Lannutti (Idv), con parere favorevole del relatore di maggioranza e del governo, non hanno visto laluce. C’è un lavorìo per modificare una norma, di stampo populista, che abbatterebbe anche del 90% lo stipendio dei vertici di imprese quotate. Ma in Parlamento molti restano convinti dell’opportunità del tetto alle buste paga dei top manager.
Il senatore del Pdl Giacomo Santini, relatore del provvedimento, non arretra. «Spero che la Camera capisca che non è un’iniziativa demagogica e al di là dei partiti è un’istanza che viene dai cittadini. (...) Non tutti nella maggioranza erano d’accordo, mi sono assunto la responsabilità di proporre questo emendamento come segnale di attenzione verso una moralizzazione di certi livelli salariali che in questo momento in un paese civile non possono essere tollerati. Il governo sta pensando alle modalità con cui applicare queste norme, per questo ha chiesto un po’ di tempo, chiaramente non tirandosi indietro sul principio di umanizzare questo tipo di rapporto di lavoro di pochi grandi manager, che saranno una dozzina, e di tentare di far capire loro che in un paese in crisi è difficile sostenere un sistema come questo ».
Non è chiaro a quale «dozzina » si riferisca Santini. Almeno 50 manager italiani di società quotate nel 2008 hanno guadagnato più di 2,5 milioni lordi, oltre 250 più di 700mila euro, più di mille guadagnano più dei parlamentari.
Per Franco Bernabé, a.d. di Telecom Italia, 1,78 milioni lordi lo stipendio 2008, «è un sintomo della pressione popolare, un sintomo populistico e direi anche incostituzionale, quindi non credo che la cosa andrà avanti. Ma è un sintomo di cui bisogna tener conto».
«Spero sia un errore perchè è una misura da Unione Sovietica. Non possono intervenire sul valore economico di un contratto tra privati», afferma Stefano Parisi, a.d. di Fastweb, 2,83 milioni lordi guadagnati nel 2008.
Maurizio Dallocchio (Bocconi) ha «dubbi di legittimità costituzionale » sul tetto, che provocherebbe «un fuggi-fuggi dalle società quotate» all’estero dei migliori dirigenti. Lo dice anche la Federmanager, che parla di «provvedimento da Soviet ». Antonio Baldassarre, ex presidente della Consulta, risponde che «non è incostituzionale, anzi è pienamente legittimo » perché «risponde a una situazione contingente, di crisi economica e forte disparità con altre fasce retributive». G. D. • «LIMITE INACCETTABILE ALLA LIBERT ECONOMICA» - «Una simile norma non ha precedenti all’estero. In Usa ed in Germania sono stati introdotti tetti retributivi (rispettivamente di 50mila dollari e di 500mila euro, ndr.) ma soltanto per le società che hanno ricevuto aiuti pubblici». Il giurista Guido Ferrarini- autore, nell’ultimo anno di numerosi studi sui sistemi retributivi in vigore nelle principali legislazioni dell’Ocse- non nasconde la sua sorpresa di fronte all’emendamento alla legge comunitaria, approvato mercoledìal Senato con l’avallo del Governo, che ha posto un limite quantitativo ai compensi da erogare agli amministratori delle società quotate.
Si tratta - spiega- «di un limite inaccettabile alla libertà economica. In questo modo le società non saranno più libere di cercare nel mercato quelle risorse manageriali di cui hanno bisogno per crescere. Le analisi sul campo mostrano una chiara correlazione tra i compensi ai manager e la capitalizzazione societaria. Ad esempio un recente studio ha stimato che, in un periodo di 20 anni le retribuzioni sono aumentate di 6 volte ma la capitalizzazione di Borsa è cresciuta allo stesso modo. Occorre poi considerare che in molti casi la ricerca di simili professionalità non è circoscritta al nostro paese ma avviene a livello internazionale ciò che aumenta il danno potenziale cui le società nostrane sono esposte per effetto di questa norma».
Proprio per evitare che, sugli stipendi dei manager, si possano alterare condizioni concorrenziali, il Financial Stability Board ”sottolinea ancora il giurista – «ha tra l’altro stabilito che gli interventi dei singoli paesi siano coordinati tra loro».
A livello internazionale le iniziative assunte nell’ultimo anno «si sono concentrate, più che sul quantum, sulla struttura delle remunerazioni, facendo largo affidamento allo strumento dell’autoregolamentazione. infatti estremamente pericoloso fissare per legge la struttura dei compensi poichè quest’ultima incide sugli incentivi con i quali, in ogni società, vengono motivati i manager. Anche su questo punto l’Italia è un’eccezione poichè nell’emendamento votato al Senato è contenuto anche un divieto di attribuire stock option agli amministratori del settore bancario».
Ferrarini non ha invece nulla da dire sull’emedamento che il Governo aveva in precedenza proposto alla "comunitaria" con il quale sono stati promossipiù elevati standard di trasparenza, anche in relazione alle "politiche" seguite dalle aziende quotate per compensare i propri amministratori. «Sulla trasparenza l’imposizione per legge è accettabile ed anzi accettata in molti paesi. Su questo punto – conclude il giurista – il governo si è mosso nella giusta direzione». Riccardo Sabbatini • ERMOTTI: «ARGOMENTO DELICATO MA DA NON AFFRONTARE PER LEGGE» - Il tetto agli stipendi dei manager, ventilato a varie latitudini, è inevitabile argomento di discussione anche all’interno del World Economic Forum di Davos. L’opposizione a una misura di questo tipo tra i protagonisti del mondo economico è forte. Ed il passo attuato dal Senato a Roma a favore del tetto ha fatto accendere i riflettori anche su manager di banche e imprese italiane.
«Penso che quanto è successo a Roma nei giorni scorsi – dice Sergio Ermotti, vice amministratore delegato di UniCredit
’ sia in effetti un incidente, destinato con ogni probabilità a essere superato. Però è vero che in molti Paesi le remunerazioni dei manager sotto accusa, perchè indicate spesso come troppo elevate, fuori misura. La questione certo va discussa, ma sarebbe comunque sbagliato affrontarla attraverso le leggi. Il legislatore non dovrebbe occuparsi di remunerazioni in nessun ramo. Specialmente se poi intende metterle in linea con quelle dei politici». Per Ermotti i punti chiave sul tema bonus e remunerazioni, più in generale, sono due: la autoregolamentazione e l’aggancio ai risultati di lungo termine. «L’autoregolamentazione – afferma il top manager di UniCredit – è un punto di rilievo. Proprio perchè lo Stato non può fare tutto e quindi non può risolvere la questione con leggi,occorre l’iniziativa degli azionisti e di chi governa la banca o l’impresa.Le remunerazioni dei manager vanno inoltre chiaramente messe in relazione con i risultati societari non di breve, ma di lungo termine».
Sulla stessa lunghezza d’onda è Mario Moretti Polegato, azionista e presidente della Geox Spa. «Bisogna portare il management – dice il patron dell’impresa veneta attiva nelle calzature e nell’abbigliamento’ verso una situazione in cui le remunerazioni siano legate ai risultati di medio e lungo termine, tra i 3 ed i 5 anni. Fare questo significa tra l’altro portare i manager a costruire il futuro dell’azienda e a giocarsi su questo la loro credibilità. E questo non solo nelle grandi aziende, ma anche nelle Pmi.
Per Moretti Polegato, che ha portato in Borsa la Geox, il carattere familiare delle imprese va gradualmente superato ed uno degli strumenti principali per fare questo è appunto la valorizzazione del management. «Bonus e stipendi – afferma – vanno decisi in modo ragionevole, non bisogna esagerare. Detto questo, occorre però anche precisare che spesso le imprese familiari registrano conflitti negativi, ad esempio per la leadership o per la successione. Bisogna quindi imprimere un carattere manageriale dell’azienda. Non si possono dunque rendere di fatto impraticabili le stock options, come sta accadendo, visto l’onere fiscale. Si deve avere equilibrio nelle remunerazioni ai manager, ma non si può vietare di seguire la via dell’azienda e del mercato». Lino Terlizzi