Massimo Gaggi, Corriere della Sera 29/01/2010, 29 gennaio 2010
BENVENUTO «HOMO ZAPPIENS»
Genitori, anziché combatterlo, abituatevi al multitasking dei vostri figli. L’uso simultaneo di più strumenti elettronici, il cambiamento del loro modo di apprendere, giustifica il timore che i nostri ragazzi maturino con una ridotta capacità di concentrarsi e di pensare criticamente. Ma, a quanto pare, il dado è ormai tratto. Al Forum di Davos, da dove scrivo questa nota, studiosi della comunicazione e neuroscienziati parlano addirittura di una sorta di cambiamento antropologico: il passaggio dall’homo sapiens all’homo zappiens, cioè i giovani nati e cresciuti nell’era digitale che sono abituati fin dalla più tenera età a vivere «sempre connessi» e che hanno una capacità di gestire varie attività contemporaneamente – fare un videogioco e scambiare messaggi con un amico mentre si guarda la tv – ignota a noi adulti.
Fino a qualche tempo fa anche a livello scientifico prevalevano i moniti: il multitasking è innaturale, il cervello è una struttura sequenziale, fa bene solo una cosa alla volta.
Poi, però, sono arrivati i primi studi specifici sulla generazione dei born digital dai quali è emersa la loro capacità di sviluppare percorsi mentali diversi da quelli degli adulti e ora neuroscienziati come Adrian Kheok e anche computer scientist e studiosi della comunicazione come Alex Pentland del Mit di Boston o Takeshi Natsuno dell’Università di Yokohama sostengono che la diversa capacità dei giovani di gestire il multitasking è ormai nei fatti, emerge anche dalle risonanze magnetiche che mostrano lievi modificazioni della corteccia cerebrale nei lobi frontali, quelli preposti alla gestione di questi processi.
un mondo nuovo, con vantaggi e svantaggi nel quale, secondo loro, i genitori devono sforzarsi di capire i cambiamenti in atto, senza abdicare al loro ruolo formativo. Un mondo nel quale la tecnologia cambia i comportamenti di tutti, non solo dei giovani: spinge al lavoro collettivo in azienda, produce nuove tribù di individui compatte ma isolate, abolisce lo stesso concetto di solitudine perché il seguace di Facebook o Twitter è sempre connesso, anche in cima a una montagna. Poi, però, conosce i suoi vicini di casa molto meno di chi non si serve delle reti sociali.
Quanto ai giovani, va evitato il loro disimpegno, ma bisogna anche spingere la scuola a sostituire almeno in parte il nozionismo con la capacità di ricerca, lo sviluppo di nuovi modi di creare e apprendere, anche attraverso il gioco. Un cambiamento che ci lascia perplessi ma che è iniziato molti anni fa con l’impatto della cultura delle immagini sull’elaborazione del pensiero critico. In futuro forse avremo meno geni, meno individualismo e più lavoro collettivo. Parola del professor Kheok, uno che di multiculturalismo (oltre che di multitasking) se ne intende, essendo un australiano (di nascita) che insegna a Singapore e in Giappone ed è figlio di madre greca e padre malese-cinese.
Massimo Gaggi