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 2010  gennaio 29 Venerdì calendario

«LA CLEMENZA DI TITO», UN CAPOLAVORO CHE CI RIPORTA ALLE MAGIE DEL SETTECENTO

La clemenza di Tito è l’ultimo capolavoro di Mozart nel genere serio e il vertice del suo teatro musicale insieme con l’Idomeneo. Tra le due opere la differenza fondamentale è questa, che nella prima l’elemento drammatico è molto più spinto e corrusco e il finale, alla francese, è fatto di quei celebri balletti tra le pagine sinfoniche dell’autore delle più alte, nella Clemenza la luce non è corrusca ma uniformemente e dolcemente diffusa come su di una superfice marmorea. L’ambizione della perfezione classica e l’atmosfera neoclassica vi formano un tutt’uno. Ma l’elemento tragico, in stile sublime, vi è così presente che noi daremmo tutto Il flauto magico in cambio del Finale I della Clemenza con l’incendio del Campidoglio e il coro interno procurante in noi brividi. Mai la contemplazione della morte s’era spinta fin qui, se non in Bach ( Ode funebre) e in Händel ( Ode funebre) scritte in uno stile affatto diverso da Mozart e fra loro stesse.
Quanto al Flauto, si tratta d’una deliziosa «operetta» in stile viennese sulla quale troppi bisturi si sono accaniti per ermeneutica e simbolica fino a ricostruire fragili impalcature onde contemplare l’autentica (autentica!) Weltanschauung («visione del mondo») di Mozart. Il «divino fanciullo» s’era fatto infiltrare in ambienti massonici per trovare denaro in prestito e sovvenzioni pel giuoco del bigliardo, il quale a quell’epoca rappresentava la più autentica sua Weltanschauung. Altro che piramidi, ritratti, draghi, sacerdoti e «la Verità»! In testa ai cretini credenti in queste faccende metto, beninteso, me, che per lungo periodo ho creduto persino nella simbolica dei Sacramenti sotto il velame delli versi oscuri.
Con la sublime Clemenza si è aperta l’altro ieri la stagione del Teatro San Carlo di Napoli. Con autorità dirigeva il maestro Jeffrey Tate, padrone d’un ritmo solenne come s’addice alle cose sublimi. Purtroppo la serata, con le repliche a seguire, segnava anche l’addio dell’illustre direttore dal nostro Teatro, ove aveva dato grandi prove anche nella qualità del cosiddetto «direttore Musicale». Il triste è anche in ciò, che ad affiancare Tate il commissario governativo Salvatore Nastasi aveva nominato il maestro Maurizio Benini, uno dei nostri migliori direttori specializzato nell’Opera italiana: il duo sarebbe stato perfetto.
Nella Clemenza, intanto, canta una compagnia finissimamente assortita. Gregory Kunde non è più l’esile tenorino che conoscemmo anni fa, ma un Tito autorevole e scenicamente e vocalmente, atto a mostrare il tormento fra dolcezza e implacabile giustizia nel cuore d’un uomo ch’è già più vicino agli dèi di ogni altro mortale. Il chiodo della compagnia sono i due personaggi di Vitellia e Sesto. Teresa Romano fa mirabilia nella più bella aria dell’opera, accompagnata da un vero virtuoso ch’è il nostro primo clarinetto, Luca Sartori. Monica Bacelli, impeccabile insieme e appassionata, mostra col gesto e con la voce i tormenti che si posson trovare in chi tradisce l’ottimo dei Principi e crede addirittura averlo ucciso. Ella raffigura con arte impareggiabile la sua vergogna nel trovarsi Sesto di fronte a colui che pensa aver ucciso e il ribrezzo di sé per le offerte di perdono che dal Principe gli provengono. Benissimo gli altri, Elena Monti, Francesca Russo Ermolli e Vito Priante. Si comprenderà il mio più che positivo giudizio sulla regia quanto ad attitudine degl’interpreti e loro moto scenico (Luca Ronconi), meno quanto essa ha richiesto a Margherita Palli, segnatamente la sovrumana poltrona rosa che costituisce il trono, sulla quale lo stesso Tito pare un nanerottolo. Ma il più gran peccato sta nel non essersi affidata la responsabilità dei costumi alla dolce Margherita, in luogo di Emanuel Ungaro.
La serata rappresentava una seconda inaugurazione del Teatro sotto la gestione di Nastasi. S’è scavato a lato, a fondo, in cielo, grandiosamente, e ne sono usciti, oltre al nuovo palcoscenico computerizzato, abissi sormontati da ponti, una sala prove per il ballo, una per l’orchestra, una per il coro (l’ho trovata occupata da un delizioso e bravissimo maestro che istruiva una congrega di bimbe su di una canzoncina). I cd. «bagni» sono saliti di sette unità con distinzione dei sessi, ma i vigili del fuoco si sarebbero incaponiti contro i pisciatoi a muro. Che cosa importi al benefico corpo la presenza degli orinatoi non comprendiamo; oltretutto, in caso di principio d’incendio, i mingenti darebbero il primo contributo.
Paolo Isotta