Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  gennaio 29 Venerdì calendario

L’AMERICA VERDE SI CHIAMA CANADA

 una fine di gennaio bizzarra, con pioggia e nebbia, per uno dei Paesi più freddi al mondo, dove i 20 sottozero e il cielo cristallino sono la norma in questa stagione. Non che il riscaldamento globale faccia paura. Ai cambiamenti climatici i canadesi guardano più come a un’occasione di business che come a una minaccia. Hanno fiutato l’affare e da quando Obama ha pronunciato il suo discorso d’insediamento hanno spinto come pazzi l’acceleratore sulle tecnologie verdi. Ora, dopo che mercoledì sera il presidente americano ha rilanciato la sua «riforma energetica», sanno di averci visto giusto e vogliono essere leader su un mercato che da nicchia è destinato a essere la locomotiva della futura ripresa, quando arriverà.
In Canada i primi segni di disgelo sono arrivati in anticipo. Nel quarto trimestre 2009 l’economia ha ricominciato a produrre posti di lavoro, 17 mila, la disoccupazione è calata di due decimali all’8,5%. Il settore bancario ha tenuto, tanto che l’economista Pascal Gauthier, del TD Bank Financial Group, parla di storica rivincita sugli Stati Uniti: «La tradizionale prudenza canadese ha pagato, sia nel settore finanziario, che in quello immobiliare. Ci sono soprattutto meno debiti da ripagare, la premessa per una ripresa più rapida». La prudenza non ha però impedito alla provincia dell’Ontario di stipulare «l’accordo del secolo» con la multinazionale coreana Samsung per un progetto da 7 miliardi di dollari in centrali elettriche da fonti rinnovabili, solari, eoliche, idroelettriche. I coreani si sono portati a casa, in cambio, sussidi per 473 milioni, infuocando il dibattito su fino a dove si debbano spingere gli aiuti statali.
Toronto e la provincia dell’Ontario, comunque, guidano la corsa. Rappresentano quasi la metà della popolazione e del Pil del Canada. Hanno una tradizione di finanza e industria di trasformazione, ma non il gas e il petrolio che fanno ricche le province occidentali. E sono legate a doppio filo, soprattutto nel settore automobilistico, con i destini dell’ingombrante vicino americano. Il governatore Dalton McGuinty (su posizioni moderatamente liberal, mentre il premier federale Stephen Harper guida una coalizione di centro-destra) ha lanciato il suo Clean Energy act un anno e mezzo fa. Il sindaco di Toronto David Miller, del Nuovo partito democratico, è uno dei leader del gruppo della 40 città mondiali in testa nella lotta ai cambiamenti e si è fatto sentire anche a Copenhagen.
Nato in Inghilterra, fisico atletico e capelli brizzolati, Miller è orgoglioso dei risultati nel campo abitativo: «Abbiamo ridotto dell’85 per cento le emissioni dei nostri edifici». Merito delle ristrutturazioni con isolanti termici, ma soprattutto del rivoluzionario sistema per ottenere l’aria condizionate nelle estati torride, quando in città si superano anche i trenta gradi. E il Deep Lake Water Cooling System, realizzato da un’azienda che normalmente fornisce riscaldamento ai grattacieli del Downtown. La Enwawe Energy è andata a pescare le acque fredde a 83 metri di profondità nel lago Ontario, quattro chilometri al largo del lungolago di Toronto. L’acqua a quattro gradi viene pompata con enormi tubature in un centro di smistamento e poi nei palazzi dove viene utilizzata come normale acqua potabile ma alimenta anche i sistemi di scambio di calore che forniscono l’aria condizionata. Poi viene ripompata, pulita, nel lago.
Un’idea semplicissima che permette di risparmiare 79 mila tonnellate di Co2 all’anno. L’obiettivo della città è il taglio delle emissioni dell’80 per cento entro il 2050 e comporterà una rivoluzione urbana senza precedenti. Raddoppio dei viali e della superficie alberata, il più grande sistema di tram pubblici del Nord America, trasformazione del Waterfront, il lungolago in una sorta di immensa Ramblas, lunga otto chilometri, attorno alla quale sorgeranno nuovi quartieri residenziali per ripopolare la zona attorno al centro finanziario e bloccare l’esodo verso i sobborghi dove l’uso dell’automobile è obbligatorio, e ridurre lo spreco energetico con una minore dispersione della popolazione.
Sul lungolago, un’area portuale e industriale inquinata all’inverosimile, i primi moli sono stati sistemati, trasformati in porticcioli per barche a vela, uniti da ponti in legno ecologici e scivolosissimi. Gli alberelli delle future Ramblas cominciano a essere messi a dimora. «In fondo il nostro è un modello più europeo che nordamericano - spiega John Campbell, amministratore delegato della Waterfron Toronto, la società privata che sta gestendo l’immensa operazione -. Il governo provinciale ci ha imposto che il 20 per cento dei futuri appartamenti dovranno essere a prezzi agevolati per garantire l’accesso anche alla classe media». Campbell conta comunque di fare un bel mucchio di quattrini bonificando il terreno e riempiendoli con una serie infinita di condomini, «non più alti però della larghezza della strada, come a Parigi».
La città si riempirà anche di turbine a vento e pannelli solari, due settori dove l’Ontario è all’avanguardia, pur con una concorrenza che sta diventando infernale. «L’unico modo per resistere è ricerca, ricerca, ricerca», spiega Kevin Jones, presidente dell’Oceta, l’organismo provinciale che si occupa di rendere più facile la vita alle nuove imprese di tecnologia verde. Uno dei fiori all’occhiello dell’Ontario è la Morgan Solar, specializzata in pannelli solari. Per ora è un piccolo edificio a un piano alla periferia di Toronto. Nicolas e John Paul Morgan, 37 e 31 anni, però pensano in grande. Hanno in mano quello che pensano sarà il pannello solare del futuro e contano di lanciarlo entro giugno, quando il G8, seguito da G20, si terrà nella regione di Muskoka, a 200 chilometri da Toronto, e farà da cassa di risonanza in tutto il mondo.
«Per le Olimpiadi non ce l’abbiamo fatta - spiega Nicolas - ma per il G8 saremo pronti e vogliamo mostrare il primo mini-impianto funzionante». Il pannello Morgan è composto di celle quadrate in plastica con al centro un chip al silicio. L’ha inventato John Paul tre anni fa e ora mancano solo gli ultimi test per la fattibilità della produzione di massa. La cella, vista così sembra una piastrella venuta male. «Unisce due particolarità - spiega il fisico-ingegnere -: la plastica speciale, Pmma, è in grado di raccogliere tutto lo spettro della luce visibile e un po’ oltre, cosa che non fanno gli altri pannelli. Tutta la luce viene poi concentrata nel chip ultra sofisticato, di quelli che si usano nello spazio per aumentare al massimo l’efficienza. La plastica costa pochissimo, il chip moltissimo, ma la media finale è bassa». Se un pannello tradizionale può arrivare a un’efficienza del 15%, il Morgan promette fino al 30. A metà prezzo. Se è vero, sarà una rivoluzione.E’ una fine di gennaio bizzarra, con pioggia e nebbia, per uno dei Paesi più freddi al mondo, dove i 20 sottozero e il cielo cristallino sono la norma in questa stagione. Non che il riscaldamento globale faccia paura. Ai cambiamenti climatici i canadesi guardano più come a un’occasione di business che come a una minaccia. Hanno fiutato l’affare e da quando Obama ha pronunciato il suo discorso d’insediamento hanno spinto come pazzi l’acceleratore sulle tecnologie verdi. Ora, dopo che mercoledì sera il presidente americano ha rilanciato la sua «riforma energetica», sanno di averci visto giusto e vogliono essere leader su un mercato che da nicchia è destinato a essere la locomotiva della futura ripresa, quando arriverà.
In Canada i primi segni di disgelo sono arrivati in anticipo. Nel quarto trimestre 2009 l’economia ha ricominciato a produrre posti di lavoro, 17 mila, la disoccupazione è calata di due decimali all’8,5%. Il settore bancario ha tenuto, tanto che l’economista Pascal Gauthier, del TD Bank Financial Group, parla di storica rivincita sugli Stati Uniti: «La tradizionale prudenza canadese ha pagato, sia nel settore finanziario, che in quello immobiliare. Ci sono soprattutto meno debiti da ripagare, la premessa per una ripresa più rapida». La prudenza non ha però impedito alla provincia dell’Ontario di stipulare «l’accordo del secolo» con la multinazionale coreana Samsung per un progetto da 7 miliardi di dollari in centrali elettriche da fonti rinnovabili, solari, eoliche, idroelettriche. I coreani si sono portati a casa, in cambio, sussidi per 473 milioni, infuocando il dibattito su fino a dove si debbano spingere gli aiuti statali.
Toronto e la provincia dell’Ontario, comunque, guidano la corsa. Rappresentano quasi la metà della popolazione e del Pil del Canada. Hanno una tradizione di finanza e industria di trasformazione, ma non il gas e il petrolio che fanno ricche le province occidentali. E sono legate a doppio filo, soprattutto nel settore automobilistico, con i destini dell’ingombrante vicino americano. Il governatore Dalton McGuinty (su posizioni moderatamente liberal, mentre il premier federale Stephen Harper guida una coalizione di centro-destra) ha lanciato il suo Clean Energy act un anno e mezzo fa. Il sindaco di Toronto David Miller, del Nuovo partito democratico, è uno dei leader del gruppo della 40 città mondiali in testa nella lotta ai cambiamenti e si è fatto sentire anche a Copenhagen.
Nato in Inghilterra, fisico atletico e capelli brizzolati, Miller è orgoglioso dei risultati nel campo abitativo: «Abbiamo ridotto dell’85 per cento le emissioni dei nostri edifici». Merito delle ristrutturazioni con isolanti termici, ma soprattutto del rivoluzionario sistema per ottenere l’aria condizionate nelle estati torride, quando in città si superano anche i trenta gradi. E il Deep Lake Water Cooling System, realizzato da un’azienda che normalmente fornisce riscaldamento ai grattacieli del Downtown. La Enwawe Energy è andata a pescare le acque fredde a 83 metri di profondità nel lago Ontario, quattro chilometri al largo del lungolago di Toronto. L’acqua a quattro gradi viene pompata con enormi tubature in un centro di smistamento e poi nei palazzi dove viene utilizzata come normale acqua potabile ma alimenta anche i sistemi di scambio di calore che forniscono l’aria condizionata. Poi viene ripompata, pulita, nel lago.
Un’idea semplicissima che permette di risparmiare 79 mila tonnellate di Co2 all’anno. L’obiettivo della città è il taglio delle emissioni dell’80 per cento entro il 2050 e comporterà una rivoluzione urbana senza precedenti. Raddoppio dei viali e della superficie alberata, il più grande sistema di tram pubblici del Nord America, trasformazione del Waterfront, il lungolago in una sorta di immensa Ramblas, lunga otto chilometri, attorno alla quale sorgeranno nuovi quartieri residenziali per ripopolare la zona attorno al centro finanziario e bloccare l’esodo verso i sobborghi dove l’uso dell’automobile è obbligatorio, e ridurre lo spreco energetico con una minore dispersione della popolazione.
Sul lungolago, un’area portuale e industriale inquinata all’inverosimile, i primi moli sono stati sistemati, trasformati in porticcioli per barche a vela, uniti da ponti in legno ecologici e scivolosissimi. Gli alberelli delle future Ramblas cominciano a essere messi a dimora. «In fondo il nostro è un modello più europeo che nordamericano - spiega John Campbell, amministratore delegato della Waterfron Toronto, la società privata che sta gestendo l’immensa operazione -. Il governo provinciale ci ha imposto che il 20 per cento dei futuri appartamenti dovranno essere a prezzi agevolati per garantire l’accesso anche alla classe media». Campbell conta comunque di fare un bel mucchio di quattrini bonificando il terreno e riempiendoli con una serie infinita di condomini, «non più alti però della larghezza della strada, come a Parigi».
La città si riempirà anche di turbine a vento e pannelli solari, due settori dove l’Ontario è all’avanguardia, pur con una concorrenza che sta diventando infernale. «L’unico modo per resistere è ricerca, ricerca, ricerca», spiega Kevin Jones, presidente dell’Oceta, l’organismo provinciale che si occupa di rendere più facile la vita alle nuove imprese di tecnologia verde. Uno dei fiori all’occhiello dell’Ontario è la Morgan Solar, specializzata in pannelli solari. Per ora è un piccolo edificio a un piano alla periferia di Toronto. Nicolas e John Paul Morgan, 37 e 31 anni, però pensano in grande. Hanno in mano quello che pensano sarà il pannello solare del futuro e contano di lanciarlo entro giugno, quando il G8, seguito da G20, si terrà nella regione di Muskoka, a 200 chilometri da Toronto, e farà da cassa di risonanza in tutto il mondo.
«Per le Olimpiadi non ce l’abbiamo fatta - spiega Nicolas - ma per il G8 saremo pronti e vogliamo mostrare il primo mini-impianto funzionante». Il pannello Morgan è composto di celle quadrate in plastica con al centro un chip al silicio. L’ha inventato John Paul tre anni fa e ora mancano solo gli ultimi test per la fattibilità della produzione di massa. La cella, vista così sembra una piastrella venuta male. «Unisce due particolarità - spiega il fisico-ingegnere -: la plastica speciale, Pmma, è in grado di raccogliere tutto lo spettro della luce visibile e un po’ oltre, cosa che non fanno gli altri pannelli. Tutta la luce viene poi concentrata nel chip ultra sofisticato, di quelli che si usano nello spazio per aumentare al massimo l’efficienza. La plastica costa pochissimo, il chip moltissimo, ma la media finale è bassa». Se un pannello tradizionale può arrivare a un’efficienza del 15%, il Morgan promette fino al 30. A metà prezzo. Se è vero, sarà una rivoluzione.
Giordano Stabile