Massimiliano Del Barba, Il Riformista 29/1/2010, 29 gennaio 2010
CASO FIAT: CHI STA CON CHI
I poteri - forti, neutri, politici - sono sempre più divisi sul caso Fiat, di fronte alle ultime decisioni torinesi. In attesa che il Governo prenda una decisione definitiva sul pacchetto di incentivi a sostegno dell’industria automobilistica, si complica il puzzle di posizioni fra chi considera indispensabile sostenere il marchio torinese e chi, invece, è deciso a mantenere la linea dura nei confronti dell’azienda che vuole gli incentivi (un aiuto al consumo compensato dall’aumento del gettito Iva), ma contemporaneamente persegue una politica di internazionalizzazione.
La spaccatura corre trasversale. Ecco una schematica mappa delle squadre in campo. A comporre il partito degli anti-Lingotto è un gruppo di forze che va dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi al Movimento per l’Autonomia che chiede di «non concedere alcuna forma di incentivi alla casa automobilistica torinese», fino alla Lega, portavoce delle critiche degli industriali del Nord-Est nei confronti di una politica «che continua a concedere regali alla grande industria ignorando invece le problematiche delle Pmi, spina dorsale del sistema industriale italiano». «La richiesta di Cig non costituisce una novità nella storia del rapporto fra la Fiat e i Governi italiani di vario colore - ha detto da Bruxelles l’eurodeputato Mario Borghezio -. Il fatto nuovo è che ora gli incentivi che si vogliono ottenere dal Governo andrebbero a sostenere la produzione laddove si costruiscono gli autoveicoli di fascia bassa». Una posizione in linea con quella espressa dalla Giovane Italia, il movimento giovanile del Pdl, che ieri ha manifestato in una trentina di piazze italiane lanciando un «embargo popolare» sull’acquisto dei veicoli Fiat. Carolina Varchi, dirigente nazionale dei giovani pidiellini, ha proposto che il boicottaggio «venga allargato anche ai prodotti riconducibili al gruppo Fiat anche nel campo dell’editoria, banche e finanza». Al partito degli intransigenti si contrappone una fazione più dialoghista, il cui leader è il ministro delle attività produttive Scajola, il quale pur malsopportando il braccio di ferro imposto al Governo da Marchionne, fa sfoggio di realismo convinto che di alternative praticabili non se ne vedano.
«Tutti preferirebbero una Fiat italiana, ma sono convinto che gli incentivi siano un meccanismo perverso da cui si debba a tutti i costi uscire definendo un piano complessivo di phasing out», sostiene Benedetto Della Vedova (Pdl), alla ricerca di un punto di contatto tra quelli che non prendono parte esplicita e si riservano di decidere sulla base dei rapporti di forza e l’ala liberale del Pdl, più morbida nei confronti del manager italo-canadese, apprezzato in particolare per la sua volontà di recidere il cordone ombelical-assistenzialista.
Tra chi non ha ancora preso una decisione il più potente è il ministro dell’Economia Giulio Tremonti che sui dossier industriali è sempre molto prudente (ricorderete il caso Alitalia, dove per molto tempo lasciò a Bruno Ermolli il pallino poi passato a Corrado Passera, quasi nella indifferenza ministeriale).
Articolata assai anche la posizione del centrosinistra, diviso al suo interno fra chi, come il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino (Pd), apre agli incentivi e parla delle due settimane di cassa come di «una misura dolorosa ma che non deve essere drammatizzata dal momento che viene usata proprio per affrontare cali di domanda congiunturali» e chi, invece, come il vicepresidente democratico della commissione Industria, Costantino Garraffa, dice: «La Fiat è un’azienda transnazionale, ma lo è diventata grazie al denaro dello Stato italiano». E se l’Idv si fa portatrice della delusione covata in campo sindacale («Bisogna uscire da questo balletto – sostiene il responsabile economia dei dipietristi, Maurizio Zipponi – e avere il coraggio di pensare a un’industria italiana dell’auto in cui Fiat non la faccia più da monopolista»), a chiedere un intervento pubblico diretto è invece il portavoce della Federazione della Sinistra, Paolo Ferrero. Nel mezzo delle opposte opinioni, c’è il moderatismo di Bruno Tabacci (Api): «la dimensione internazionale dell’industria automobilistica richiede soluzioni europee».
Fuori dai palazzi della politica, ci sono i poteri forti. Certo, c’è chi fa pressione sulla Fiat perché molli la posizione di potere dentro Rcs, ma in generale le banche stanno con Marchionne, perché è un cliente grosso e di questi tempi scarseggiano. Intesa è la banca più vicina, perché Chiamparino ne è azionista, attraverso la Compagnia Sanpaolo. Ma in fondo in Italia il rapporto bancario migliore di Marchionne è ancora con Alessandro Profumo. Il sistema economico e finanziario si esprime anche attraverso i giornali, che provano a dare un po’ di linea a un dibattito molto basato sugli umori. Ovviamente favorevole all’accordo con il governo, per ovvie ragioni, la Stampa di Torino, affiancata dal Sole 24 Ore, che si è fatto carico di rappresentare la difficile situazione in cui si trova Confindustria, stretta fra le istanze anti-Fiat dei piccoli imprenditori e le pressioni dei produttori e dei fornitori di semilavorati a Fiat. Articolata la posizione del Corriere della Sera: ha attaccato la Fiat che entrò in una specie di crisi con gli altri azionisti di Rcs dopo due articoli di un commentatore di punta, Massimo Mucchetti, ma il Corriere è un luogo di sintesi, e Fiat è il secondo azionista sindacato. Ieri si è segnalato la posizione di Repubblica - di solito moderatamente attenta alle ragioni di Torino - con un articolo di Massimo Giannini che dava ugualmente torto a Marchionne e al governo. Da segnalare è l’opinione del genovese Secolo XIX che, da quando è guidato da Umberto La Rocca, ha ospitato opinioni generalmente sfavorevoli a Fiat. Una novità all’insegna del ”competition is competition” da leggersi come una mossa per differenziarsi dalla Stampa suo tradizionale concorrente e vicino di lettorato.