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 2010  gennaio 29 Venerdì calendario

(4 articoli) MANHATTAN, GLI ADULTI, L’UNIVERSIT SCHIFA E TUTTO QUANTO San Francisco. Mentre scriviamo, il New Yorkers non ha ancora commentato la notizia della morte di Jerome David Salinger

(4 articoli) MANHATTAN, GLI ADULTI, L’UNIVERSIT SCHIFA E TUTTO QUANTO San Francisco. Mentre scriviamo, il New Yorkers non ha ancora commentato la notizia della morte di Jerome David Salinger. Nato 91 anni fa, americano, noto nel mondo per il romanzo Il Giovane Holden e per una vita reclusa e lontano dai riflettori. L’ultima sua opera originale risale al 1965, pubblicata appunto sul New Yorker. La rivista che è stata la ”casa” editoriale dello scrittore americano, reca ancora come notizia principale, sul suo sito, il discorso del presidente Obama al Congresso. Sul New Yorker Salinger pubblicò anche la prima delle sue novelle e la maggior parte dei suoi lavori. Da uno di questi, Slight Rebellion off Madison, trasse gli elementi per il suo successo definitivo, The Catcher in the Rye, appunto Il Giovane Holden. la storia di un ragazzo diciassettenne che si attarda a New York dopo l’espulsione dalla scuola. Spende tre giorni nella città, e tre notti. Il racconto taglia con l’accetta il flusso degli eventi che interessano Holden. Così, mentre sappiamo perché ha dovuto lasciare la scuola, non sappiamo che cosa farà dopo aver lasciato New York, e se veramente la lascerà. I tre giorni sono come estratti dalla vita del ragazzo, e ce ne offrono una parziale, limitata comprensione. Se la storia è semplice, l’atmosfera è strepitosa. La New York di Salinger resta nella memoria, grazie soprattutto ad una prosa immaginifica, malinconica e ironica allo stesso tempo. I luoghi di Holden, l’hotel Edmont dove incontra una prostituta e litiga con la sua protettrice, lo Zoo, il Museo, l’appartamento dei genitori, prima che fisici sono tappe di una Odissea spirituale. Una Odissea che non va da nessuna parte, che non porta a nessuna conclusione o decisione. E, malgrado questo, ha il potere della nebbia d’inverno, quello di trasportare in un altro mondo, e cambiare il lettore, se non il protagonista. Salinger sta lì, tra i giovani arrabbiati inglesi e la Beat Generation, a precorrere i tempi degli anti-eroi e della ribellione giovanile. A tracciare un territorio, quello della letteratura dei giovani, sui giovani, che diventerà presto mandatoria. A presidiare un’angoscia esistenziale che diventa pietra di paragone per le generazioni successive. Quello che - prima degli altri - Salinger fa, è dare la parola a questa voglia ancora incompresa di ribellione. Per la prima volta, gli adulti non correggono, non insegnano, non reprimono. Il giovane è quello che è, nella sua interezza anche criticabile. il giovane che parla, in prima persona. Salinger non giudica, semplicemente offre visibilità a questa rabbia scettica, a questa disillusione sopita, lasciando che essa stessa si esprima nel suo gergo, nelle sue forme. Magari sincopate, magari incomplete, addirittura bugiarde. Holden è un grande bugiardo, anche se non sapremo mai se volontario. Ed è proprio dal New Yorker, e dalla svolta che ebbero le riviste letterarie, a cavallo degli anni Sessanta, che dovremmo forse tornare, per comprendere un altro aspetto della mitologia che si è creata intorno a Salinger, la sua scomparsa dalla scena artistica americana. A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, e poi definitivamente nel decennio successivo, Salinger si negherà al pubblico e ai media (con un paio di notabili eccezioni). Ovviamente, non c’è niente di più interessante di un uomo noto per la sua intelligenza e sofisticazione per attrarre l’attenzione. E così, anche nei decenni successivi Salinger fu preso per la giacchetta e coinvolto in faccende, soprattutto di natura editoriale e legale. Ma in generale, la reclusione rimase, e così l’interesse del pubblico. Ma intanto l’America di Salinger era passata. L’avvento della televisione determinò una correzione di rotta, al New Yorker così come alle altre riviste letterarie. Gli ambienti sofisticati, le descrizioni sottili degli animi e degli spiriti, erano soppiantati dalle immagini trasmesse dal tubo catodico. La reazione fu una narrativa soggettivata, l’esternazione dell’io narrante che ridà una prospettiva alle storie là dove la televisione le appiattiva. Le riviste divennero il veicolo di viaggi personali, di racconti sul filo della memoria e dell’emozione. L’autore partecipante divenne il marchio della nuova stagione e il viatico di una nuova generazione di autori. Certo, anche Il Giovane Holden è scritto in prima persona. Ma una prima persona narrativa. E anche se Salinger ammetterà il carattere autobiografico del romanzo, poteva sempre nascondersi dietro al suo protagonista così come, nella vita, si nascondeva nei suoi luoghi reclusi. La svolta letteraria determinava un’emersione pubblica dello scrittore che Salinger non poteva accogliere, né perseguire. Resta così l’incanto di una atmosfera, quella newyorkese, che non passa. ps: mentre ”chiudiamo” l’articolo, ecco la prevedibile elegia a Salinger sul sito del New Yorker. I tredici racconti pubblicati dallo scrittore sulla rivista. Enrico Beltramini, Il Riformista 29/1/2010 L’INVISIBILE CHE CAMBI LA LETTERATURA- Jerome David Salinger era un eremita, ma importante come un Papa. Viveva recluso, ha cambiato il corso della storia della letteratura. Indirettamente, anche della musica e della politica. Negli omicidi Lennon e Kennedy, infatti, compare ”Il giovane Holden”. Ieri è giunta la notizia della sua morte, aveva 91 anni. Questo capolavoro assoluto, uscito nel 1951, ha regalato a Salinger una fama immediata e difficile da gestire, che lo ha spinto a lasciare quella New York che era letteralmente impazzita per Holden Caulfield, il protagonista del suo romanzo, i cui tormenti sono disseminati come molliche di pane per Manhattan. Si trasferisce a Cornish, tra i boschi, nel New Hampshire, con la moglie - dalla quale poi divorzierà - scegliendo di viere autosegregato. Non voleva neanche ricevere le lettere dei fan, non accettò le proposte di portare al cinema il Giovane Holden. Costruì attorno a sé un vero e proprio mistero. In un certo senso, praticò l’«asparizione» che Guy Debord auspicava nella Società dello spettacolo (del ’67) Negli ultimi cinquant’anni, ha rilasciato pochissime interviste. Nel 1953, ad una studentessa per la pagina scolastica The Daily Eagle di Cornish, nel 1974 a The New York Times (che lo definì «la Garbo della letteratura»). Burrascosa la sua vita privata, percepiva come traditore chiunque violasse la sua privacy. Non ha mai effettuato apparizioni pubbliche, né pubblicato nulla di nuovo dal 1965, anno in cui apparve sul New Yorker un ultimo racconto. Attorno a Salinger sono nate tante leggende, la più eccitante delle quali ipotizza che Salinger abbia continuato a scrivere, nascondendo poi i testi inediti in una cassaforte. Uno scrittore fantasma, ma realmente esistito, a differenza dell’altro grande autore misterioso, Thomas Pynchon, che per molti è solo uno pseudonimo. Salinger ha cambiato la storia della letteratura mondiale con un romanzo che è diventato la bibbia laica degli eterni adolescenti. Ma ha cambiato anche la storia della musica mondiale, ispirando l’assassino di John Lennon, Mark Chapman, e facendo capolino anche nel complotto più oscuro d’America, l’omicidio Kennedy, visto che Lee Oswald fu trovato con una copia del Giovane Holden quando fu arrestato. La trama, in realtà, non ha nulla di criminale, anzi, il finale è commovente, quasi edificante. Holden Caulfield è uno studente adolescente che, turbato dalla morte di un suo fratellino, Allie, abbandona il collegio dal quale sta per essere cacciato. All’insaputa dei genitori fa il vagabondo per New York, a Manhattan. Tra hotel da due soldi, locali, prostitute deluse, sbronze con amici, scontri con papponi, professori che vogliono approfittare sessualmente di lui e domande senza risposta che ti lasciano un vuoto dentro (dove vanno le anatre di Central Park quando il laghetto gela?), decide di fuggire, a Ovest. Ma solo dopo aver salutato la sorellina, la piccola Phoebe che, però, quando trova con una valigia pronta per andare con lui, gli spezza il cuore. I desideri di fuga sembrano svanire, Holden capisce d’essere the catcher in the rye. ll titolo nasce da una poesia attribuita a Robert Burns, Comin’ Through the Rye, che Holden cita, storpiando, quando risponde alla sorella Phoebe cosa vuole fare da grande: essere «colui che salva i bambini, afferrandoli un attimo prima che cadano nel burrone, mentre giocano in un campo di segale». Ma catcher nel baseball è il ricevitore, difensivo, come fosse il terzino, o il libero a calcio. E rye è un whiskey di segale. Dunque «the catcher in the rye» poteva essere tradotto in italiano «il libero nella grappa». Il giovane Holden è un romanzo di formazione, sì, ma dal finale aperto, sospeso. La ”linea d’ombra” può non essere solo un traguardo da superare, ma anche un percorso da seguire, una linea da costeggiare, senza oltrepassarla. Il libro sta tra I dolori del giovane Werther di Goethe e On the road di Kerouac, pubblicato nel 1957, versione urbana. diventato il vangelo apocrifo dei disadattati, sociali e sentimentali, per le sue pagine piene di commovente purezza e inesperienza. Tutti l’hanno letto e amato perché tutti si sono sentiti come Holden, almeno una volta nella vita. Tra i tanti disadattati che l’hanno amato, due sono diventati tristemente celebri. Lee Oswald e Mark Chapman. Ma se il primo poteva essere solo un lettore occasionale, il secondo ha sempre dichiarato di essersi ispirato al romanzo di Salinger. Lo aveva in tasca quando sparò a John Lennon, nei giorni precedenti si firmava Holden Caulfield nei registri di presente e si mise a leggerlo sulle scale della casa newyorkese del musicista, dopo avergli sparato. Disse che Lennon era diventato un phony, un falso, un ipocrita, un bugiardo - la parola che definisce tutti quelli che Holden odia. Salinger, il catcher, sapeva che non poteva salvarli tutti i bambini che giocavano nella segale. Soprattutto quelli cresciuti troppo e male. Luca Mastrantonio, Il Riformista 29/1/2010 NEI LAGER NAZISTI POI FECE COME GRETA GARBO- Immagini. La morte per cause naturali a 91 anni appena compiuti dello scrittore Jerome D. Salinger, nato il primo gennaio del 1919 a Manhattan da un commerciante di carni ebreo di origini polacche, è l’ultima definitiva scomparsa di un personaggio schivo e maniacale nel far perdere di sé le tracce. Il New York Times dice addio «all’eremita» della letteratura americana «allo scrittore diventato famoso per non voler essere famoso, e che ha voltato le spalle al successo e all’adulazione, diventando la Garbo della letteratura». Nel 1998 fu quasi un evento la foto pubblicata sul New York Post, uno scatto stile paparazzo che ritraeva Salinger con la giovane seconda moglie Colleen O’Neill, immortalato a passeggio vicino alla sua villa a Cornish, nel New Hampshire. Uno scatto rubato come tutti gli altri, da quelle scattate in aula al processo con cui Salinger riuscì a bloccare la biografia scritta dal critico inglese Ian Hamilton («Mi chiamo Salinger, mi occupo di narrativa, non saprei come meglio definire il mio lavoro. Seguo i miei personaggi nella loro naturale evoluzione» rispose al giudice) a quella che lo pizzica curvo su un carrello da supermarket, nel suo eremo di Cornish. L’unica immagine autorizzata dallo scrittore è rimasta sempre quella ufficiale che campeggia nella quarta di copertina dell’edizione americana del Giovane Holden, il suo capolavoro, pubblicato nel lontano 1951. Un libro dal titolo intraducibile e dalle mille sfumature e rimandi, The catcher in the rye che rimarrà il romanzo manifesto dietro al quale Salinger si nasconderà con successo per 50 anni. Fughe. La prima risale ai tempi dell’università che abbandona per imbarcarsi su una nave da crociera. In seguito lavorò a Vienna nella filiale dell’impresa del padre, da cui scappò un mese prima dell’Anschluss nazista. Nel 1940 tornato in America, frequentò il corso di scrittura della Columbia, dove il suo insegnante gli pubblicò The Young Folks il primo racconto nel 1940. Doveva essere il titolo di una raccolta ma non se ne fece nulla. Si avvicinò al buddismo Zen, ebbe una relazione con Oona O’Neill, figlia del drammaturgo, che lo lasciò per Charlie Chaplin. Poi venne arruolato e sbarcò in Normandia, partecipò alla battaglia delle Ardenne, e venne assegnato al controspionaggio. Fu tra i primi a entrare nei lager tedeschi. Al ritorno spedì al New Yorker il racconto Una perfetta giornata per i pescibanana con cui ottenne un contratto di prelazione per i suoi futuri lavori. Così riuscì a pubblicare nel 1951 il romanzo con protagonista il personaggio del giovane inquieto Holden Caulfield. In Italia uscì per l’editore Casini nel 1952 col titolo Vita da uomo, per poi esplodere con l’edizione Einaudi del 1961, tradotto felicemente da Adriana Motti. L’Holden venne a lungo corteggiato da Hollywood, iniziò Billy Wilder, poi Jerry Lewis, fino a Spielberg, senza alcun esito. Ritiro. Con pubblicazione di Nove racconti nel 1953, lo scrittore cominciò a ritirarsi dalla vita pubblica e a difendere la propria privacy dall’assedio continuo di lettori, giornalisti e curiosi a cui si aggiunsero nel corso degli anni le biografie di un ex amante, Joyce Maynard, e della figlia Margaret (avuta da Claire Douglas, da cui venne lasciato nel 1966) ossessionate dall’isolamento totale raggiunto dallo scrittore. Una disciplina intaccata saltuariamente da fonti e voci di seconda mano come lettere e verbali e da indiscrezioni editoriali, mai avverate. Pubblicò ancora nel 1961 Franny e Zoooey e nel 63 Alzate l’architrave, carpentieri. Sul New Yorker nel 1965 l’ultimo racconto. Le interviste furono rare e mai pacifiche: nel 1953 a una studentessa per la pagina scolastica del The Daily Eagle di Cornish, nel 1974 al New York Times. Come la Garbo e Howard Hughes, invisibile e presente, il mito di Salinger continuava a parlare tramite gli avvocati. Nel giugno dell’anno scorso aveva vietato la pubblicazione di 60 Years Later: Coming Through the Rye, un seguito aprocrifo. E di sicuro inutile. Stefano Ciavatta, Il Riformista 29/1/2010 LA TOP TEN DEGLI INVISIBILI La lista degli scrittori ”eremiti” è molto ricca. ”Times” ne ha stilata una dei ”top 10”, e al primo posto svetta J.D. Salinger. Decimo Marcel Proust. Sono diverse le celebrità, non solo nel campo della letteratura, che si sono distinte per la loro volontaria sparizione dalle scene. Come Greta Garbo o Syd Barrett, uno dei fondatori dei Pink Floyd. Nel campo delle parole scritte spicca Thomas Pynchon, che regna in un modo ”anonimamente” supremo. Non si sa quasi nulla, infatti, dell’autore di alcune delle opere più misteriose del XX° secolo. E Pynchon stesso gradirebbe che il mistero restasse tale. Sin dalla pubblicazione del suo primo libro, nel 1963, Pynchon ha evitato rigorosamente ogni forma di contatto con i media e di lui circolano solo poche fotografie. Si è negato a tutte le manifestazioni pubbliche tranne, nel 2004, quando è apparso nei ”Simpsons”. Pynchon prestò la voce al suo personaggio che compariva sulla scena con una busta in testa. Altra eremita è Harper Lee. Dalla pubblicazione nel 1960 del suo best-seller, ”To kill a Mockingbird”, che ha venduto 10 milioni di copie in tutto il mondo, la Lee non si mostra in pubblico né rilascia interviste. Quando nel 2007 le fu chiesto di parlare all’Accademia delle Lettere dell’Alabama, lei, ottuagenaria, rispose: «Be’, allora è meglio restare in silenzio». Infine un’altra donna, Emily Dickinson. Anche lei, separata dal mondo, si dedicava alla scrittura. Parlava ai suoi ospiti da dietro le porte e seguì il funerale di suo padre dalla sua stanza da letto. Di circa 1.800 poemi a sua firma, poco meno di una dozzina furono pubblicati mentre la Dickinson era in vita. Cosa che forse accadrà anche con J.D. Salinger. Anna Mazzone, Il Riformista 29/1/2010