Giornali vari, 25 gennaio 2010
Anno VII - Trecentoseiesima settimana - Dal 18 al 25 gennaio 2010Haiti Ad Haiti i morti sicuri, cioè quelli di cui è stato trovato il corpo e che sono stati seppelliti, erano – a venerdì 22 gennaio - 111
Anno VII - Trecentoseiesima settimana - Dal 18 al 25 gennaio 2010
Haiti Ad Haiti i morti sicuri, cioè quelli di cui è stato trovato il corpo e che sono stati seppelliti, erano – a venerdì 22 gennaio - 111.499. I feriti 193.900. Le persone disastrate dal sisma tre milioni, su una popolazione di nove milioni di abitanti. Gli estratti vivi 123, un numero record secondo tutti quelli che se ne intendono. Le ricerche sotto le macerie sono terminate venerdì 15 gennaio. Lunedì questi dati erano già modificati e il Corriere della Sera scriveva di 150 mila sepolti e 350 mila vittime. Quanto alla fine delle ricerche, era appena stata annunciata che dalle macerie dell’hotel Napoli Inn è stato estratto Wismond Exantus Jean-Pierre, di 24 anni, cassiere dell’albergo, sopravvissuto bevendo coca-cola e mangiucchiando «qualcosa qua e là».
Restano in piedi a questo punto una serie di questioni capitali. Il mondo ha mandato ad Haiti, per sottrarla all’apocalisse, più di un miliardo di dollari, una somma che potrebbe arrivare a un miliardo e mezzo. Chi distribuirà questi soldi e secondo quali criteri? Come si impedirà alle mafie locali di crescere grazie a questo finanziamento a fondo perduto? La malavita è già all’opera nell’isola, soprattutto nel ratto dei bambini, migliaia dei quali sono allo sbando, essendosi trovati a un tratto senza padre né madre. Guido Cornale, l’uomo dell’Unicef sul posto, ha raccontato: «Il nostro staff ha notato donne eleganti che sulla pista dell’aeroporto salivano su un aereo in compagnia di un bambino per poi scendere da sole». I bambini della cui scomparsa si è certi sono al momento quindici: si trovavano negli ospedali e qualcuno li ha portati via. Il destino che li attende è di essere soppressi per alimentare il traffico d’organi o di venire consegnati alle reti mondiali dei pedofili (morte sicura anche in questo caso, dopo che avranno dato piacere ai loro assassini) oppure di finire schiavi da qualche parte. La schiavitù era praticata ad Haiti anche prima del sisma. Nell’isola si contavano 225 mila restavek, parola derivata dal francese che significa ”resta con”. Si trattava di figli di disperati che venivano ceduti come domestici ai ricchi perché le loro famiglie non erano in grado di mantenerli. Otto volte su dieci si trattava di bambine, dato che le bambine imparavano prima e meglio a occuparsi della casa. Il fenomeno, dopo la catastrofe di due settimane fa, sembra destinato a triplicarsi. Sull’isola, a prevenire e a reprimere questi orrori, non sono rimasti in vita che 2.500 poliziotti.
Stati Uniti Obama si è buttato sulla missione di salvare l’isola e i suoi abitanti con una foga che molti giudicano sospetta. Il presidente francese Sarkozy ha fatto una questione dell’invadenza americana, rassegnandosi alla fine a star zitto in nome del superiore interesse dell’umanità. Chávez ha accusato gli americani di voler chiudere la partita nei Caraibi, trasformando Haiti in una base militare a stelle e a strisce. Una preoccupazione in questo senso serpeggia, anche se non viene espressa, in parecchi governi. D’altra parte, gli haitiani – che hanno cominciato a far cortei chiedendo pane, acqua e tutto quello che serve per uscire da una situazione disumana – invocano solo gli americani, gridano il nome di Obama, non vogliono sentir parlare né di Onu né di Nato né, soprattutto, dei francesi, che furono i crudelissimi padroni dell’isola in passato. Washington ha fatto arrivare a Port-au-Prince 12.500 soldati e sta in generale producendo uno sforzo straordinario per soccorrere quegli infelici. Ma con esiti dubbi, almeno sul piano dell’organizzazione dei soccorsi. Guido Bertolaso, spedito sull’isola da Berlusconi, intervistato da Lucia Annunziata, ha parlato di «una situazione patetica, che poteva essere gestita molto meglio».
Banche Obama ha altri problemi sia all’interno che all’estero. Perse le elezioni in Massacchussets il presidente s’è trovato a un tratto senza maggioranza in Parlamento e la sua riforma sanitaria è ora a rischio. Tensione anche con le banche, il cui raggio d’azione la Casa Bianca vorrebbe limitare. Barack ha anche annunciato l’intenzione di tassare gli istituti. Le Borse mondiali – e curiosamente specialmente quelle europee – hanno reagito male a questa guerra dichiarata dal presidente inanellando una serie di sedute negative. Intanto è venuto meno anche il sostegno al governatore Bernanke, il cui mandato alla testa della Federal Reserve scade il 31 gennaio e che potrebbe non essere riconfermato dal Senato: un altro smacco per Obama. Anche il ministro del Tesoro, Tim Geithner, è in difficoltà. Nel Paese è sempre più forte l’opinione che la crisi in cui si trovano gli Stati Uniti sia stata provocata proprio dalle banche e che i salvataggi ideati da Bernanke e Geithner siano stati finanziati dai contribuenti. Con quei soldi, ottenuti a costo bassissimo, gli istituti hanno poi realizzato fior di profitti, mentre i posti di lavoro sono andati costantemente diminuendo, un calo che non accenna a fermarsi.
Google Sono in tensione anche le relazioni con la Cina per via della presa di posizione di Google. Non siamo più disposti, hanno annunciato i vertici della società, a subire le censure di Pechino. Quindi o la Cina garantisce al web la stessa libertà di cui il web gode nel resto del mondo oppure ce ne torneremo a casa lasciando il paese privo del nostro servizio. Le autorità cinesi hanno risposto con prudenza, lasciando che a replicare fosse un viceministro: «L’incidente di Google non deve essere legato alle relazioni tra Cina e Usa, altrimenti si rischia di sopravvalutarlo. I rapporti tra i nostri due paesi restano sostanzialmente stabili. Se Google o qualsiasi altra impresa straniera ha dei problemi in Cina, questi devono essere risolti in accordo con la legge cinese, e il governo cinese vuole essere di aiuto nel risolvere i loro problemi». Senonché sull’argomento è poi tornata Hillary Clinton, facendo propria la battaglia di Google e mostrando che la minaccia di lasciare la Cina era stata concordata con la Casa Bianca. Il segretario di Stato, in un discorso di 40 minuti diffuso in tutto il mondo attraverso la Rete, ha detto che la lotta per difendere la libertà su Internet è lotta per un diritto fondamentale dell’uomo, di cui gli Stati Uniti intendono farsi carico: «A tutti deve essere consentito di criticare un governo senza conseguenze». Pechino, che tiene in pugno la Casa Bianca grazie alla montagna di dollari e di titoli Usa custoditi nelle sue cassaforti, ha reagito all’intervento di Hillary, che ha di fatto innalzato il livello dello scontro, rilanciando a sua volta in durezza: gli Stati Uniti la smettano o Google sarà oscurata comunque.
Processo breve La legge in cinque articoli che accorcia i tempi del processo penale (quella del cosiddetto ”processo breve”) approvata in un mare di polemiche al Senato non vedrà probabilmente mai la luce alla Camera, dato che l’opposizione di Fini e parecchi mugugni interni anche al centro-destra hanno consigliato la via di un’intesa più larga sull’altro provvedimento, quello del cosiddetto ”legittimo impedimento”. Questa sarebbe però una legge costituzionale, quindi dall’iter piuttosto lungo. Sia il centro-destra che il centro-sinistra sono nel frattempo dilaniati dalle polemiche relative alle candidature per le Regionali. Punti di massima tensione: per il Pd il Lazio, dove l’autocandidatura della Bonino subito accettata da Bersani ha provocato una levata di scudi da parte dei cattolici; e la Puglia, dove nelle primarie svoltesi domenica sera, Nichi Vendola ha travolto col 75% dei consensi Francesco Boccia, candidato del duo Bersani-D’Alema. Per il Pdl il problema è soprattutto Casini e la sua volontà di allearsi qua con questi e là con quelli. Berlusconi vorrebbe liberarsene una volta per tutte, altri sostengono che senza l’Udc non si vince, ecc.