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 2010  gennaio 24 Domenica calendario

ECCO COME FUNZIONANO I DERIVATI ODIATI DAGLI USA

Hedge fund, proprietary trading e private equity. Il giro di vite di Barack Obama sulle banche statunitensi ha tre bersagli principali. La guerra indetta dal presidente statunitense rischia però di trasformarsi in un gioco al massacro. «Io sono pronto per lo scontro», ha detto due giorni fa Obama. Il timore è che, con l’impeto di regolamentare qualsiasi attività finanziaria capiti a tiro, si producano più danni che benefici. Non bisogna dimenticare che, dopo anni di politiche keynesiane, è stato il liberismo economico di Ronald Reagan a permettere lo sviluppo così virtuoso dell’Occidente. Questo anche grazie agli strumenti contro i quali ora Obama si scaglia. Il tutto per mercati con volumi per svariati trilioni di dollari.
Le banche speculano. E lo fanno soprattutto per generare ricchezza attraverso i vantaggi competitivi che hanno nei confronti degli altri operatori di mercato. Per tal scopo esistono i fondi speculativi, o fondi hedge, particolari strumenti d’investimento nati intorno al 1949. Il loro sviluppo come mezzo per la realizzazione di profitti da parte di grossi investitori è soprattutto avvenuto intorno agli anni Ottanta. Merito della deregulation finanziaria di Reagan e sostenuta anche da Paul Volcker, ex presidente della Federal Reserve e attuale numero uno del Economic Recovery Advisory Board, il comitato per la ripresa economica del presidente Barack Obama. La sua natura non convenzionale lo rende particolarmente indicato a investitori con grandi patrimoni. Non è un caso che per accedere a un hedge fund in media occorrano più di 500mila euro.
L’obiettivo medio di un fondo hedge non è quello di seguire un benchmark, ma di raggiungere un rendimento positivo assoluto, capace di battere in ogni caso il mercato in cui agisce. Proprio per questo utilizza strumenti ad alto coefficiente di rischio, come l’arbitraggio. Con questa pratica un fondo acquista beni o attività finanziarie su un dato mercato per poi rivenderle in un altro in modo tale da sfruttare il gap di prezzo o di valuta. Un’operazione simile a quella del carry trade, la compravendita di stock valutari per garantirsi un profitto con le differenze fra le singole monete.
Tuttavia, i fondi hedge hanno avuto anche dei momenti bui. Il più noto è il caso di Long Term Capital Management, fondo nato nel 1994 da John Meriwether, ex guru della Salomon Brothers. Nel team di Ltcm entrarono anche due premi Nobel per l’Economia, Robert C. Merton e Myron Scholes. Nel 1998, con il default russo, l’esposizione del fondo era tale che la Federal Reserve non poté far altro che intervenire a sostegno. Nell’arco di quattro mesi Lctm perse oltre 4,6 miliardi di dollari e la Fed di New York organizzò un pool di banche per ripristinare il deficit. Nel complesso furono iniettati nelle casse di Lctm 3,625 miliardi di dollari. Alcuni mesi dopo il bailout venne fuori che l’esposizione complessiva del fondo, prima della crisi, era di 1,2 trilioni di dollari.
Discorso analogo a quello compiuto per gli hedge fund è quello riguardante il proprietary trading. La compravendita di azioni e derivati è in grado di generare profitti rilevanti, ma può esporre a rischi incontrollabili. In questo caso, invece che agire per conto terzi, le banche utilizzano i propri soldi. In questo caso, i vantaggi possono essere evidenti. Dato il maggiore grado di informazioni su cui una banca può contare nel confronto coi privati, può avanzare su posizioni con una propensione al rischio più elevata. L’esperienza ha insegnato che spesso così non è. Nel migliore dei casi, la perdita può essere contenuta e riguardare solo il valore nominale del bene acquisito. Nel peggiore, può scatenare una spirale negativa con passività molto maggiori alla cifra investita. Questo è a causa del leverage, o leva finanziaria. Il rapporto fra indebitamento proprietario e di terzi per finanziare i propri impieghi raggiunge un livello anche di 1 a 4000. Ciò si traduce con un dollaro investito e potenziali profitti (o perdite) per 4mila dollari. Moltiplicando il primo valore, quello fornito dagli istituti di credito, è facile comprendere quali siano i rischi che può correre una società troppo esposta. Ma, ricordando l’economista Nouriel Roubini, «la crisi ha evidenziato quanto le colpe non siano della finanza, ma degli uomini».
L’offensiva lanciata da Obama ha scatenato molte reazioni nell’universo finanziario. JP Morgan Chase ha quantificato in 13 miliardi di dollari le passività che potrebbero essere patite dalle principali banche a seguito del giro di vite. E così è iniziata una corsa verso nuovi strumenti derivati, più raffinati e politicamente accettati. Non è un caso se Morgan Stanley ha lanciato ieri una nuova iniziativa. Jenkin Leung, ex top manager della defunta Lehman Brothers, si occuperà con David Barrett della raccolta di capitale «per i clienti hedge fund in cambio di una commissione». Nuovi strumenti, vecchio obiettivo: il profitto.