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 2010  gennaio 28 Giovedì calendario

UN TETTO AGLI STIPENDI DEI BIG

Tetto massimo di 248mila euro lordi l’anno, ma forse anche più basso, 192mila euro, per gli stipendi dei vertici di società quotate in Borsa in Italia. Non potranno superare «il trattamento annuo lordo spettante ai membri del Parlamento ». E divieto di emettere stock option a favore dei banchieri. Lo ha deciso ieri sera l’assemblea del Senato, approvando un emendamento dell’opposizione, del senatore Elio Lannutti (Idv) al disegno di legge delega comunitaria. Favorevole il parere del governo, espresso dal ministro Andrea Ronchi (Politiche comunitarie).
Il provvedimento è in prima lettura, quindi non ha forza di legge. Ma fa già discutere. Questa norma mette fuorilegge quasi tutti i vertici delle società quotate. Il loro stipendio medio è vicino a un milione di euro l’anno al lordo delle tasse, con punte di quattro-cinque milioni per le grandi società. Somme più elevate per i recordman della busta paga: nel 2008 il più pagato, Roberto Tunioli di Datalogic, ha ricevuto 8,32 milioni lordi, i primi dieci più di cinque milioni ciascuno, i primi 100 sono sopra 1,4 milioni. Manager autorevoli hanno telefonato ai senatori per protesta.
Maggioranza e opposizione hanno approvato il subemendamento Lannutti, agganciato all’emendamento del governo per ampliare la trasparenza sulle buste paga degli alti dirigenti di società quotate. Anche questo approvato. Il relatore, Giacomo Santini ( Pdl), ha espresso parere favorevole alla proposta Lannutti. Il ministro Ronchi si è adeguato, «conforme al relatore».
La proposta approvata stabilisce che «il trattamento economico omnicomprensivo dei componenti dell’organo di amministrazione, dei direttori generali e dei dirigenti con responsabilità strategiche di banche ed istituti di credito, nonché delle società quotate, non possa superare il trattamento annuo lordo spettante ai membri del Parlamento». Inoltre c’è il divieto di assegnare stock option ai vertici delle banche.
Lannutti ha fatto notare che il voto è avvenuto «in trasparenza, con l’appoggio del relatore e del governo. L’emendamento è stato approvato all’unanimità:io faccio le cose al servizio del paese e dei consumatori».
Il capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri, ha corretto un po’ il tiro.«L’assemblea del Senato ”dice un comunicato firmato da Gasparri e dal vicepresidente Gaetano Quagliariello – ha dato voce al diffuso sentimento popolare di porre un tetto a quei trattamenti economici che rappresentano un’oggettiva anomalia nel difficile clima di una crisi finanziaria mondiale e che hanno rischiato di creare il divorzio tra norme etiche e mercato, gettando su quest’ultimo un ingiusto discredito. Siamo consapevoli che il principio deve integrare e non contraddire le regole del mercato. La Camera dei deputati avrà tempi e modi per garantire questo indispensabile riequilibrio».
Ronchi concorda con gli «orientamenti espressi dai capigruppo del Pdl al Senato. L’obiettivo è conciliare equità retributiva e regole del mercato. Nel passaggio alla Camera il governo farà la sua parte per assicurare questo risultato, attraverso una più attenta riflessione». « un pasticcio posto in essere dalla maggioranza e dal governo», ha commentato il senatore del Pd Giovanni Legnini, per il quale «è evidente che non si può determinare il tetto dei manager delle società quotate per legge», mentre occorre «fissare il tetto agli stipendi dei manager pubblici».
Non c’è una somma che indichi, in modo univoco, il «trattamento annuo lordo» dei parlamentari. I siti di Camera e Senato danno cifre diverse. Il Senato indica un’indennità parlamentare di 12mila euro lordi mensili, più la diaria mensile di 4.003 euro: questo darebbe un totale di 192mila euro lordi l’anno. Con le «spese per lo svolgimento del mandato parlamentare» (4.678,36 euro mensili), il totale annuo per un senatore è di 248mila euro. Le stesse voci, alla Camera, vanno da 188mila a 238.761 euro annui.